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Piero Scanziani, “Entronauti” | The Omega Outpost


Sul blog di Oedipa_Drake la recensione a Entronauti, di Piero Scanziani, un libro che non conoscevo ma che mi ha aperto conferme sulla mia visione del mondo. Vi lascio ad alcune note della recensione:

Il protagonista, l’autore stesso, è un giornalista, a cui il suo caporedattore chiede con insistenza un pezzo sull’India, che viene accordato a patto di poter andare a New York – meta che è solo la prima tappa di un premeditato, lungo viaggio di ricerca.
L’itinerario si snoda tra Occidente e Oriente, passando per Stati Uniti, Francia, Grecia, India, Londra, Cina, Giappone, India e infine verso il Monte Athos: lunghe ore di volo, decine di personaggi incrociati, tutti che come il tassello di un imponente mosaico, lo accompagna verso la meta, la ricerca di una risposta sulla vita e sulla morte.

“Dediti alle sole scienze profane, abbiamo obliato i circuiti mentali che appartenevano alle scienze sacre. Senza introspettive, ma l’introspezione è anch’essa rigorosamente sperimentale. Il sacro esiste e se l’uomo non lo vive, impallidisce, anemico e sconsolato.”

Il protagonista intraprende una vera e propria enquête di classica memoria alla ricerca dei più grandi saggi di tutto il mondo, trovandone di ogni genere, con stili di vita completamente differenti, ma ciascuno aggiungerà un pezzetto prezioso alle riflessioni dell’autore, al suo evolversi interiore, al suo confrontare le diverse culture, il diverso modo di approcciarsi alla spiritualità e, soprattutto in questo, il grande divario tra Oriente e Occidente, ove lo spirito ormai sembra cosa morta, trascurabile. Ogni nuova meta non porta conversioni, ma nuove domande. Non c’è tensione ultraterrena, anzi, c’è tutto l’uomo con le sue pulsioni umane, il suo grido interiore che anela pace, un senso definitivo.
L’ultima tappa è la scalata del monte Athos, ove incontra Nicodemo, che vive in una cella a strapiombo sul mare raggiungibile con una pericolante carrucola, depositario forse della rivelazione ultima.

“Gli domando:
‘Aspetti la morte?’
‘La morte? La morte non c’è’. […]
Alzo lo sguardo verso una stella. Forse anch’essa è morta, da milioni di anni. Ma la sua luce no, cammina eternamente nello spazio e il nostro occhio l’incontra, viva. La stella non è morta e nulla muore: ciò che muore, cade nella vita.”

Don DeLillo, “Il Silenzio” – The Omega Outpost


Su OmegaOutpost una bella recensione di Oedipa_Drake a Il silenzio, ultimo romanzo di Don DeLillo che affrotna tematiche simili a quelle trattate da Giovanni Agnoloni con la sua trilogia – o quadrologia – sulla Fine di Internet, ma con sfumature sostanzialmente diverse; mentre Giovanni aveva una visione più olistica della realtà, DeLillo affronta il lutto derivato da una morte della civiltà – in questo caso quella della connessione – con uno sbigottimento quasi solipsistico. Vi lascio ad alcuni significativi stralci della recensione:

– Guardo lo specchio e non so chi è la persona che ho davanti, – diceva Martin. – La faccia che mi guarda non sembra la mia. Ma in fondo perché dovrebbe? Lo specchio è davvero una superficie riflettente? E la faccia che vedo io è la stessa che vedono anche gli altri? Oppure è qualcosa o qualcuno di mia invenzione? Sono le pillole che prendo a dare vita a quest’altra versione di me? Guardo quella faccia con interesse. Sono interessato, ma anche un po’ confuso. Capita mai anche agli altri? La faccia di ognuno di noi. Cos’è che vedono gli altri quando camminano per strada e si guardano a vicenda? La stessa cosa che vedo io? Tutte le nostre vite, tutto questo guardare. La gente che guarda. Ma cos’è che vede?

L’ultimo, atteso, romanzo di Don DeLillo ci proietta nella Manhattan del 2022, quando improvvisamente tutti gli apparecchi tecnologici e le reti (internet, cellulari, televisioni, …) si spengono. Gli schermi diventano neri e non si comprende la causa né l’estensione di questo fenomeno spiazzante. In questo contesto si intrecciano le vicende di una coppia che si trovava su un aereo, costretto a un atterraggio di emergenza, e di alcuni loro amici che li stavano aspettando per una cena durante la serata del Super Bowl.

La storia si sviluppa in una manciata di pagine e la brevità della trama fa da specchio al contenuto, allo stile, al linguaggio: scarni, minimalisti al massimo.
Chi segue e ha già letto il grande scrittore americano, non può fare a meno di notare un netto cambiamento nella sua produzione, corrispondente a un mutamento del suo stile e intenti.
Per anni i suoi romanzi arrivavano quasi all’eccesso di trama, con il suo voler delineare una visione della storia come una serie iperconnettiva di accadimenti e macchinazioni – in particolare eventi che segnavano una rottura tra il prima e il dopo, aprendo nuove possibilità al domani. Come altri grandi autori americani, c’era in DeLillo questa urgenza di raccontare, di dire, di fondare una storia solida, immagine di una realtà che aveva radici e prospettive, una direzione e un significato, e in cui l’uomo aveva il suo ruolo.

Già da alcuni anni tutto questo in DeLillo si è fatto via via più rarefatto, è mutato, la scrittura si è come ripiegata su se stessa e, quando si apre verso l’esterno, è verso un futuro ambiguo, labile, talora vuoto.
Forse il mondo attuale, con tutte le sue precarietà, ha raggiunto DeLillo, che di conseguenza non riesce – e non può – descrivere una realtà in un costante processo di abbattimento e di reimmaginazione, bensì ne vede, ne percepisce primariamente le crepe, le fragilità che conducono a un’incertezza dai contorni distopici. Le opere più recenti, e Il Silenzio ne è il culmine, sono tendenzialmente gnomiche, meditative e ascetiche nello stile e nel tono. L’approccio eziologico dei suoi romanzi di inizio e metà carriera virano verso una posizione più “profetica”. Da chiarire che siffatto “enunciato profetico” è anomalo, paradossale, come si nota bene ne Il Silenzio, è cristallizzato e freddo: non proietta prospettive sul futuro, ma pone atipicamente domande, interrogativi impliciti che non possono che non aver risposta, e di conseguenza lasciare al lettore un senso incompiuto. Perché non si hanno più risposte certe. O forse proprio risposte non ce ne sono.

Questo approccio si allaccia a uno dei temi chiave del libro.
In superficie Il Silenzio è un romanzo sulla disconnessione. Tuttavia, a un’analisi più accorta, DeLillo è interessato soprattutto all’ombra della coscienza digitale, all’impronta che la rete, la tecnologia, la costante connessione lascerebbe qualora i nostri telefoni e schermi si spegnessero. Parte dell’idea centrale del libro è che, attaccati costantemente ai nostri apparecchi, stiamo perdendo la capacità di filtrare coerentemente le informazioni, di scegliere ciò che è importante e ciò che non lo è in base alle nostre inclinazioni. La tecnologia e i suoi algoritmi lo fanno per noi, hanno parzialmente sostituito il nostro libero arbitrio, tanto che senza di essi, la realtà crolla in una involuzione, lascia attoniti alle prese con se stessi, il proprio essere soltanto umani che non siamo più in grado di gestire. Le connessioni sono state interrotte. Il denaro, la guerra, la politica, la tecnologia generano un individualismo tossico che lascia soli e ignari.

Giovanni De Matteo, “Sulle ali della notte” | The Omega Outpost


Bella recensione al nuovo lavoro di Giovanni “X” De Matteo, Sulle ali della notte, edito da DelosBooks. La recensione è a cura di Oedipa_Drake, e non faccio fatica a crederle quando afferma ma quanto è diventato bravo a scrivere Giovanni? Un estratto:

La storia, benché autoconclusiva e gustabile come stand alone, si inserisce nel mondo della Sezione Pi-Quadro, uno spin off che si focalizza sugli psicomanti, polizia segreta russa, e Kryuchkov in particolare.

Nella sua brevità, la narrazione è perfettamente compiuta, riesce a catturare l’attenzione con la sua componente di azione, intrigo e suspense, ma anche ad ammaliare grazie agli scorci descrittivi e gli zoom sulla complessa interiorità del protagonista.
Le due componenti – drammatica e descrittiva – si incastrano in perfetto equilibrio, rendono gli eventi e le emozioni estremamente vivide e tridimensionali, tanto che il lettore, coinvolto sempre più a fondo, si sente spettatore di eventi effettivi che le parole e l’immaginativa rendono reali e palpabili.
Ogni parola è una studiata tessera di un puzzle, che ha senso in sé, ci dice qualcosa di preciso, essenziale e mai ridondante, andando ad incastrarsi poi nell’insieme di più ampio respiro che è il racconto stesso.

Uno degli aspetti che maggiormente mi hanno colpito, poiché è cosa che adoro nei romanzi, è quello che chiamo resa emozionale delle descrizioni, dell’ambientazione.
Non c’è inquadratura fine a se stessa: oltre a plasmare l’ideale cornice degli eventi, i dettagli del worldbuilding o delle scene che De Matteo si sofferma a delineare, sono il puntuale correlativo oggettivo dell’interiorità del protagonista, in primis, e del vulcanico scatenarsi di trepidanti emozioni – dalla papabile tensione dei momenti di più fervida azione, alle pause, toccanti e profonde, che indugiano sulla psicologia e sul sentire di Kryuchkov – che la trama sa suscitare.

Il Gufo: mitologia e simbolismo | The Omega Outpost


Articolo esaustivo sulla presenza del gufo nelle credenze e nelle mitologie del passato, non solo Classico e arcaico. Oedipa_Drake ci porta nei meandri di queste leggende sviscerandone le caratteristiche antropologiche, sfiorando in più punti il flame magico. Un passo:

I Romani lo reputavano un uccello di cattivo auspicio, annunciatore di sventure e decessi; inoltre era associato ai maghi che praticavano la magia nera.
Da notare, inoltre, che il nome “strige” in greco significa “gufo“, con il quale allora veniva talvolta confuso; sembra, infatti, che proprio l’aspetto e il verso del gufo diedero lo spunto per l’invenzione della romana “strige bevitrice di sangue“.
La morte sia di Augusto che di Cesare, si tramanda, vennero preannunciate dal verso di un gufo, così come prima che l’imperatore Aurelio Commodo perisse, un gufo era entrato nella sua camera. Agrippa, dopo essere caduto in disgrazia presso Tiberio, venne arrestato a Capri mentre un gufo reale era posato sui rami dello stesso albero al quale egli era legato; un augure germanico lì presente, profetizzò che sarebbe stato rilasciato divenendo re dei Giudei, aggiungendo tuttavia che quando avesse visto nuovamente il medesimo gufo, la sua morte sarebbe stata vicina. In quel modo avvenne: mentre Agrippa sedeva sul trono di Cesarea, avvistò proprio tale uccello su una delle corde tese attraverso il teatro; non appena lo riconobbe, fu colpito da malattia e dopo cinque giorni morì.
Ovidio scrisse a proposito del gufo: “Evita lo sguardo degli uomini e la luce. Nasconde la sua vergogna nell’oscurità e da tutti gli altri uccelli è scacciato dal cielo”, ricordando, successivamente, che era invocato da Medea mentre preparava le sue pozioni magiche.
La strega di Orazio, Canidia, usava piume di gufo nei suoi incantesimi: “Et uncta turpis ova ranae sanguine, / Plumamque nocturnae striges”.
Nelle “Metamorfosi” di Apuleio la strega Pànfile, spalmatasi un unguento, si trasforma in gufo; nel decimo libro delle “Metamorfosi” di Ovidio viene di nuovo indicato quale nunzio di morte (“Per tre volte il piede, inciampando, l’ammonisce di ritrarsi, / per tre volte il funebre gufo l’avverte col suo verso di morte”).

Arte come breccia nel muro: Street Art Utopia | The Omega Outpost


Sul blog di Oedipa_Drake è comparso un corposo post relativo alla Street Art. È un fenomeno artistico che prolifera maggiormente ovunque vi siano situazioni di caos urbano, ed è sintomatico del disagio vissuto con desideri catartici di miglioramento.

Street Art Utopia non è un’etichetta (in questo campo sarebbe azzardato e inopportuno), né un movimento o un gruppo organizzato, bensì una sensibilità, un’espressione sociale, culturale e artistica, atta a presentare i più audaci e mirabili artisti dediti alle forme più innovative di street art, 3D street art e graffiti writing (su quest’ultima un profilo è tracciato nell’articolo Graffiti, un excursus storico di 7di9).
Street Art Utopia non è nemmeno mera decorazione, svago, esibizione tecnica; il suo intento è metamorfizzare le strade della nostra quotidianità, renderle di nuovo vive, trasformare elementi apparentemente banali in vie di fuga verso punti di vista inediti. Trasfigurando ciò che è anonimo, dischiudendo su un muro o sul cemento incredibili scorci figurativi e prospettici, degni dei più virtuosi prospettivisti barocchi, essa spalanca possibilità illimitate di comunicazione, manifesta la propria verità, rivoluziona il modo di vedere – suggestioni che mi riportano alla memoria Picta muore di Dario Tonani e, per l’angolazione atipica con cui può essere osservata e vissuta la città, il mirabile romanzo Zazie nel metro di Raymond Queneau.

Laszlo Moholy-Nagy | The Omega Outpost


[ M ] László Moholy-Nagy - Z/T (1939)

Gran bel post di Oedipa_Drake su Laszlo Moholy-Nagy e sul movimento d’avanguardia della Germania prehitleriana.

László Weisz, in arte Laszlo Moholy-Nagy, fu un pioniere delle arti visive in tutte le loro sfaccettature.

Nato in Ungheria nel 1895, dopo aver studiato legge all’Università di Budapest e aver combattuto durante la guerra nell’esercito austroungarico, nel 1919 scappò dall’Ungheria per ragioni politiche e si rifugiò in Germania.
La Berlino negli anni Venti era la più grande città industriale tedesca, ma soprattutto il centro di un intensa vitalità artistico-politica. Poco dopo la guerra, infatti, qui si svilupparono le maggiori avanguardie internazionali, tra cui l’espressionismo e il dadaismo, movimenti che miravano a spostare l’attenzione dalla pittura figurativa verso opere nelle quali linee e forme geometriche si combinavano con elementi iconografici.
Cenni di biografie da tenere sempre ben presenti, per tracciare la storia recente delle nostre minute avanguardie, quelle che più di ogni altro si sono spinte in avanti per ridefinire il nostro ruolo nelle moderne società.

Le Druidesse Celtiche | The Omega Outpost


Bel post di Oedipa_Drake riguardo alle druidesse, alle sacerdoti celtiche, misticamente legate alle energie della natura. Lascio volentieri le parole a Francesca, che sa spiegare assai meglio di me, con dovizia di particolari e cultura, l’argomento; un estratto:

Nel mondo celtico si trovano diverse figure femminili che hanno ricoperto ruoli di spicco, quale quello di guerriere, regine, diplomatiche.
Appare controversa, invece, la questione del ruolo delle donne come druidesse, anche se non mancano in merito le testimonianze a favore. Una fonte che sfuma nella fantasia è la credenza bretone che le corrigan, ovvero le fate, fossero un tempo druidesse, come ad esempio le nove vergini profetesse che vivevano sull’Île de Sein. Nella conquista dell’isola di Môn (l’Anglesey odierno), Tacito, invece – per riportare un esempio di attestazione a sfavore – descrisse delle donne vestite di nero, dai capelli scarmigliati e molto simili alle Furie, che brandivano fiaccole dalla riva per scoraggiare l’approdo dei nemici, e le distingueva dai druidi sottolineando esplicitamente che non fossero druidesse. Il passo di Tacito per quanto riguarda un’età ancora poco o nulla contaminata dall’ingerenza romana, appare un caso pressoché isolato.

Tutto il lungo articolo è percorso da preziose informazioni, impossibili da riassumere, che scavano nelle fonti letterarie dl passato, anche remoto; vi invito a leggere il tutto con attenzione, e calma.

China Miéville, “Embassytown” | the Omega Outpost


Bella recensione di Oedipa_Drake al romanzo Embassytown, di China Miéville. Il tema del romanzo è incentrato sul linguaggio, che può essere veicolo anche di doppiezza, di fraintendimenti – e chi conosce bene le regole del linguaggio sa quanto sia facile mistificare il messaggio stesso.

La storia è narrata direttamente dalla protagonista, Avice Benner Cho, attraverso il suo peculiare punto di vista, filtrato dalla sua percezione e dalle sue emozioni, e dal ricordo degli eventi passati. È spiazzante, soprattutto all’inizio: ci si ritrova in una realtà altra, senza punti di riferimento o dettagli grazie ai quali ricostruire questo mondo intrigante ma sconosciuto, che si svela soltanto nello svolgersi della storia. La complessità – e bellezza – del romanzo non è dovuta solamente a questo aspetto – una vaghezza studiata e cesellata – ma soprattutto allo stile e alle scelte linguistiche, talora ardite, arricchite da termini presi da altre lingue o costrutti inediti o particolari. È un romanzo che non tende a spiegare minuziosamente, che non si profonde in passi retorici, ma mira a coinvolgere in maniera appassionata e magnetizzante, per far riflettere e trasmettere il proprio messaggio proprio grazie ad un forte coinvolgimento empatico, emotivo e figurativo.

Leggi il seguito di questo post »

Thomas Pynchon, “Contro il giorno” | the Omega Outpost


Un bel post recensione sul lavoro di Thomas Pynchon, Contro il giorno, è comparso sul blog di Oedipa_Drake. La valutazione piena è fuori di dubbio, a parere della blogger, e qui sotto ne inserisco uno stralcio; certo è che l’autore merita piena fiducia:

Non certo per la mole fisica di 1127 pagine, ma poiché ogni pagina, paragrafo, parola racchiude tutta la complessità della vita, un prisma di metafore e rimandi (interni ed esterni al romanzo stesso). Da un fievole nucleo si dipartono storie di personaggi e nazioni, relazioni politiche internazionali e rapporti umani segnati da tutto lo spettro dei sentimenti, vicende labirintiche e aggrovigliate delle quali spesso non è subito comprensibile il senso comune. Solo procedendo nella lettura, le fila vengono un poco dipanate. Solo un poco, sì. Infatti, in questo universo multiforme, nel quale − proprio come nel nostro − è facile perdersi (o smarrire se stessi), nemmeno nel finale si ha una chiosa rassicurante, risolutiva, consolatoria (perché, per dirla con Pirandello “la vita non conclude”) – peculiarità, oltretutto, di tanta narrativa postmoderna.

The Omega Outpost


Così si chiama il nuovo blog di Oedipa_Drake, indimenticata interprete grafica di molti lavori connettivisti, sensibile e leggiadra presenza nella cultura in Rete, anche umanamente parlando.  Qui il post di apertura. I miei auguri, e complimenti 🙂

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