Archivio per febbraio 26, 2013
26 febbraio 2013 alle 21:11 · Filed under Catarsi, Connettivismo, Cybergoth, Empatia, Energia, Experimental, Inumano, Oscurità, Quantsgoth, Surrealtà and tagged: Application Programming Interface, Infection, Luce oscura, Nefandum psichico, No more human, Olosensorialità, Ridefinizioni alternative, SCO
Ho raccolto le polveri chimiche del suono e ne ho disperso i rivoli intorno a me, a mo’ di pentacolo cosmico: sembra di raccontare mille e più notti, ma il senso di meraviglia sperimentato è puramente inumano, sganciato dalle logiche biologiche.
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26 febbraio 2013 alle 18:46 · Filed under Deliri, Letteratura, Oscurità, Passato, Quantsgoth and tagged: Adolf Hitler, Infection, Lankelot.eu, Luce oscura, Nazismo, Nefandum psichico
Lankelot.eu ospita la recensione a un libro che parla di nazismo, ma quello vero, quello visto con gli occhi di una bambina berlinese che, negli ultimi giorni della follia uncinata, è ospitata nel bunker in cui delira Adolf Hitler. Chi ha visto il film La caduta sa di cosa parlo, e basta un accenno della recensione per far risalire in gola tutto il fetido che doveva esserci in quell’angusto locale, in cui regnava il crepuscolo degli dei.
I ricordi della Schneider sono fatti di immagini nitide e puntuali. I suoi occhi sono quelli di una bambina che raccoglie e descrive tutto con la stessa semplicità e con lo stesso stupore di quel tempo. Il bunker ha un aspetto quasi spettrale. Un labirinto di corridoi umidi e freddi con un impianto di aerazione difettoso e rumoroso. I bambini vengono gestiti con rude autorevolezza. Avranno dei letti su cui dormire e un armadietto in cui riporre le proprie cose. Devono lavarsi i denti con il dentifricio, che qualcuno non ha mai nemmeno sentito nominare, ed ognuno di loro viene visitato da un medico. “Il Führer non sopportava che qualcuno gli rammentasse che la popolazione tedesca stava morendo di fame e che i bambini berlinesi che avrebbe ricevuto fossero smunti e denutriti. Per cui, avevano deciso che fosse il caso di darci un po’ di colore mettendoci sotto la lampada al quarzo. Il resto del soggiorno sarà poi scandito dalla somministrazione di vitamine e olio di fegato di merluzzo. Non dovevano allignare fame e malattia nella Germania sognata dal Führer“.
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26 febbraio 2013 alle 14:46 · Filed under News, Segnalazioni, Sperimentazioni, Tecnologia and tagged: Application Programming Interface, Ridefinizioni alternative, Teoremi incalcolabili
[Letto su Neural.it]
Muovendo dall’ipotesi formulata dal neuroscienziato cognitivista Michael A. Persinger in forza della quale esisterebbe un legame così stretto tra gli esseri umani e la terra al punto che il campo geomagnetico della terra influirebbe direttamente sulla coscienza umana, Martin Howse, mentore della piattaforma micro_research , si è proposto l’ambizioso progetto di impiegare elementi della superficie terrestre per dar vita a nuovi strumenti tecnologici maggiormente connessi con quel substrato sul quale si incrociano diverse forme di esistenza: quella umana, quella animale, quella vegetale e chissà quali altre. In particolare Howse ha realizzato un earthboot ovvero uno specifico device (collegabile attraverso la porta USB) che consente a (quasi) tutti i computer di avviarsi direttamente dalla terra. Stimolato da tale primo successo ha dato vita ad una serie di sperimentazioni volte alla realizzazione di un “earth computer” ovvero di un computer i cui componenti comuni (memoria, alimentazione, CPU ecc.) sono realizzati con materiali organici prelevati dal substrato terrestre. Il progetto più sorprendete è tuttavia Earthcode che, concepito come una sorta di monumento codificato, è immaginato come una grande installazione, destinata a durare molti anni, all’interno una foresta: un grande braccio meccanico che impatta sul territorio scavando il suolo in risposta a variazioni dell’ambiente circostante (alternarsi delle stagioni, crescita della flora, movimenti della fauna locale ecc.) codificate da computer ai quali è demandato il compito di controllare e azionare la scavatrice. Sarà questa l’ultima e definitiva frontiera della land art?
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26 febbraio 2013 alle 11:50 · Filed under Creatività, Deliri, Kipple, Letteratura, Notizie, SF, Surrealtà and tagged: Antonio Caronia, Domenico Gallo, Infection, P.K. Dick, Ridefinizioni alternative, Roberto Bommarito, Ucronia
[Letto su KippleBlog]

Uno degli autori più complessi, non solo di fantascienza, del secolo che ci siamo lasciati alle spalle è senza dubbio
Philip K. Dick. I suoi racconti contengono diversi livelli di lettura. Le sue esperienze personali, soprattutto quelle di carattere mistico, hanno fornito all’autore le chiavi per svelare gli aspetti più nascosti della realtà, al punto da farci dubitare quanto appunto la realtà sia, paradossalmente, davvero reale. Forse è impossibile comprendere del tutto un autore così complesso, ma un’analisi approfondita delle sue opere può lo stesso aiutarci a entrare nella dimensione dickiana e forse farci vedere alcune delle cose che l’autore desiderava mostrarci.
Philip K. Dick, la macchina della paranoia fa proprio questo.
Antonio Caronia e
Domenico Gallo hanno scritto questa stupenda enciclopedia dickiana, curata benissimo sia nell’aspetto grafico che nei contenuti, distribuita secondo i principi
Creative Commons, che di sicuro delizierà tutti gli amanti dell’autore. Nell’introduzione leggiamo: “Solo chi è alla ricerca spasmodica di un senso e di un ordine può dare voce e respiro all’insensatezza e al disordine del mondo.
Philip K. Dick cercò quest’ordine e questo senso lungo tutta la vita. Nel 1979 annotava nel suo interminabile diario notturno, l’
Exegesis: “è evidente che all’epoca di
The Dark-Haired Girl stavo disperatamente cercando un centro (omphalos) per la mia vita, ma non c’ero riuscito; ero ancora ‘apolide’. Adesso ho trovato l’autenticità – sein”. Si trattava ancora una volta di una situazione instabile. Dick non approdò mai davvero a una situazione di quiete interiore, né a un’ipotesi sul mondo che lo soddisfacesse appieno. Per questo fu capace di descrivere alcuni tra i più formidabili, strutturati, paranoici incubi di tutto il Novecento.”
Per leggere il resto basta cliccare
qui dove potrete scaricare gratuitamente il PDF.
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26 febbraio 2013 alle 08:05 · Filed under Editoria, Energia, Fantastico, Interviste, Letteratura, Notizie, Oscurità, Quantsgoth, Sociale and tagged: Antropologia, Archeologia, Editrice GDS, Giovanni Agnoloni, Infection, Luce oscura, Proteste, Ridefinizioni alternative, Sumeri, Vito Introna
Bella intervista quella che ha fatto Giovanni “Kosmos” Agnoloni a Vito Introna, nell’occasione del suo romanzo Pazuzu, in uscita per i tipi di GDS. Vi sottolineo un estratto dalla chiacchierata (complimenti, Vito); e sottolineo anche le valenze archeologiche e antropologiche, sumere, approfondite dall’autore.
Su LaPoesiaEloSpirito.
– La maschera di Pazuzu è un romanzo weird impregnato di italianità. Come hai coniugato questi aspetti?
Ho tentato una sperimentazione non facile, mescolando la mia fede comunista ad antichi miti sumeri e caldei. Ne è venuto fuori un romanzo lungo e complesso, trasudante ironia grazie alla chiara strafottenza dell’antipaticissimo protagonista.
– In che misura lo “straniamento” generato dal weird può aiutare a conoscere meglio il mondo e ad affrontare i problemi dell’attualità?
Dipende dal concetto che si ha di weird. Trattandosi di una letteratura poco nota e dai confini labili, tutto è rimesso alla penna dell’autore. Weird non è disimpegno dalla realtà, ma essenzialmente uno sberleffo al mondo reale e contemporaneamente una mano tesa alla “soft sci-fi”. In quest’ottica il weird può rivelarsi lettura formativa e d’impegno. In caso contrario si ricade nel più comune urban fantasy.
– Quanto c’è di psicologico nel tema della maschera, per il modo in cui tu lo tratti nel libro?
Direi moltissimo. In un futuro prossimo, le dinamiche sindacali sono assai simili a quelle odierne e la lotta al precariato e alla disoccupazione abbrutisce la povera gente. Silio, il protagonista, è un degno rappresentante di questo nuovo proletariato e soffre, lotta, vince e perde come tutti i suoi colleghi, restando solo in una società che vuole i lavoratori isolati, divisi e facili da asservire.
– Mi incuriosisce anche l’aspetto delle valenze “archeologiche” dell’avventura che i protagonisti si trovano a vivere. Frutto di una tua personale fascinazione per l’argomento?
Sì. I miti sumeri e caldei nell’odierna letteratura fantasy sono spesso trattati con eccessiva disinvoltura. Al di là della falsa Enuma Elish corrotta, che qualche buontempone vorrebbe all’origine del Necronomicon, Pazuzu in Italia è conosciuto solo grazie al film dell’Esorcista 2, che ne offre un ritratto totalmente falsato rispetto all’antica religione sumera. Nel romanzo cerco di ricostruire un ritratto un po’ più realistico di questa divinità, all’epoca ritenuta estremamente ambigua e non necessariamente crudele e malevola.
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