[Letto su KippleBlog]
La pubblicazione a puntate di un testo teatrale di Alessio “Galessio” Brugnoli, che leghi il Premio Kipple 2011 Il canto oscuro a il Premio Kipple 2014, Lithica, è una ghiotta occasione da leggere. Sul blog di Alessio la prima parte, e anche la seconda:
Capitolo I
Amo i dirigibili, il loro essere lievi, sopra le nuvole. Mi donano l’illusione di essere libero, lontano dalla fuliggine che avvelena Roma, nascondendo le forme di chiese e palazzi. Lontano dal rumore incessante dei computatori, che coprono ogni conversazione: un canto oscuro, ipnotico, che entra nella mente, rendendoci simili a ingranaggi e agli automi con cui gli imbonitori affascinano la plebe, nei giorni del mercato di Piazza Navona. Mi viene da sorridere: una volta avevo dedicato ai computatori la mia vita. Ora li sfuggo, come se fossero araldi di morte. Guardo l’orizzonte, sognando di essere un falco. Comincio a tossire e la realtà riprende il sopravvento. Il ticchettio di passi; dalla loro voce, riconosco Francesca. Mi porge un fazzoletto, tutte trine e merletti, con agli angoli ricamata un aquila scaccata, come quella che domina in ogni angolo di questa aeronave, stemma della famiglia Conti.
“Tieni, ciuco”
Lo premo sulla mia bocca, sporcandolo di sangue.
“Mi dispiace…”
Lei mi sorride, dandomi due pacche sulla schiena.
“Marco, si laverà… E’ stato fatto per essere usato, mica per ingombrare”
“Era un regalo di Andrea o del Principe Padre”.
“Ma quando mai… Non hanno capa per queste cose… In realtà me lo diede Beppe”
Mi arriccio i baffi, mentre lei sospira, per poi sistemarsi il bustino.
“Francesca, chissà come stanno, lui e Andrea… Attirano disgrazie, come i fulmini la croce del Campidoglio”
Un paio di colpi di tosse. Un dolore al petto. Mi tremano le gambe. La mia amica sorride, arricciandosi un tirabaci.
“Marco, quei due sono comme ‘a maruzza: tutto chello ca tene s’ ‘o pporta ‘ncuollo… Se la staranno spassando a Nuova York, quei due disgraziati, alla faccia nostra… Però tu, brutta capa tosta che non sei altro, ti vuoi decidere a ritirarti in un sanatorio ?”.
Smetto di guardare le nuvole. Do un pugno al corrimano.
“Finito il viaggio, andrò al sanatorio Berghof a Davos, sulle Alpi svizzere… Me ne hanno parlato molto bene”.
Francesca mi agita l’ombrellino da passeggio, di un lavanda stinto, sotto la punta del mio naso.
“Guarda che se non lo fai, te lo spacco in fronte, promesso…”
La abbraccio, dandole un bacio sulla guancia.
“Uhè, sciammannato, che fai ? Guarda che così mi comprometti e ti tocca pure sposarmi…”.
Attacco a ridere, come le iene che il papa re ha infilato nelle gabbie presso il nuovo zoo, ai prati di Castello.
“Così, quel tuo spasimante, Filippo Tommaso, mi sfida a duello…”.
“Lui ? Mica è come Andrea, che avrebbe evitato i suoi guai, se si fosse fatto gli affaracci suoi.. Tra l’altro, a Filippo gli sta dando pure di volta il cervello… Ha chiuso la sua rivista di poesia, si è rintanato in casa e sta scrivendo un manifesto letterario, pieno di pazzariellate come
Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo
O
Un’ automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”
Quasi mi strozzo per la saliva.
“Francesca, ma se l’unica volta che ha guidato un’Isotta Fraschini si è ribaltato ?”
Mi fa una smorfia, arricciando le labbra…
“E’ stato per evitare due ciclisti… Comunque hai ragione, la botta in testa c’entra qualcosa… Che farai, scimunito, quando sarai dimesso dal sanatorio ?”.
Mi tolgo la bombetta dal capo. Comincio a giocare con la falda, storcendola.
“Aprirò una gelateria”.
Francesca poggia sulla tempia l’indice della mano, roteandolo.
“Ma la tisi ti ha preso ai nervi…”.
“Tanto la cattedra non me la ridaranno mai… Con i nuovi computatori, a valvole termoioniche… Io sono un ferrovecchio, figlio del vapore e degli ingranaggi… Non c’è spazio per me nel futuro… Meglio cambiare vita, cara Francesca… Così mi sono messo d’accordo con un immigrato piemontese, un certo Fassi… Abbiamo affittato la Casa Tonda, su all’Esquilino, accanto alla vigna dei Celestini… La trasformeremo in un locale alla moda, con un bel chiosco, in cui orchestrine suoneranno valzer e brani di operette… E quando ti stancherai di studenti somari, di codici e pandette, potrai salirci e cantare…”
“Un bel sogno, vecchio mio”.
“L’unica cosa che mi è rimasta…”
“Marco, molti non hanno neppure più questo”.
Le porgo il braccio.
“Professoressa Ecate, che dice, è ora di andare a pranzo ? Il mio stomaco brontola…”
“Professore Ajello”
“Emerito, mi raccomando…”
“Le dicevo, professore, che sono d’accordo con lei…”
Camminiamo, imitando i passi di una promenade, prigionieri di una musica immaginaria, sino a giungere all’ingresso del secondo ponte. Saluto tre passeggieri, vestiti di nero. Per tutto il viaggio sono state sulle loro, senza scambiare una parola con nessuno. Spesso hanno mangiato in cabina. Si girano verso di noi. Francesca comincia a urlare come una gallina sgozzata. In mano hanno una pistola.
“Signori, vi invito a seguirci nel primo ponte, nel salone da ballo”.
Siamo tutti accalcati, come semi di melograno: i passeggeri, compreso un vecchio prussiano che si regge a stento in piedi, le cameriere, i cuochi e persino la donna addetta al regolo calcolatore. Non abbiamo mangiato e l’acqua scarseggia. Il parquet comincia a diventare scomodo. Guardare il ritratto che Boldini fece alla mamma di Andrea, gran bella donna, tra l’altro, né lui, né la sorella le somigliano, mi sta annoiando. Francesca è seduta accanto a me. E’ più pallida del suo cappello parigino. Mi abbraccia.
“Marco chi sono ?”.
“Amici tuoi… Mazziniani, anarchici, forse…”
“Tesò, Non offendere ! Noi non crediamo nella violenza… Vogliamo l’Unità d’Italia tramite riforme federali”.
“Senti, Francesca, non mi va di litigare di politica… Ho fame, tossisco a non finire e mi hanno pure sequestrato… Fortuna che volevo concedermi una tranquilla vacanza in Grecia…”
La mia amica comincia a ridere senza ritegno… Tutti si girano, a guardarla perplessi. Io divento più rosso del sangue che macchia le maniche della mia camicia.
“Su, su, non ci stiamo facendo mancare nulla: il Partenone, la gita con i ciuchini e adesso un’avventura degna di Beppe e Andrea… Chissà che faccia faranno, quando lo sapranno… Poi, almeno con i noi, i rapitori non fanno un grande affare… Io non ho gli occhi per piangere e tu…”.
“Francesca, pagherà tutto il principe Conti… Il dirigibile è il suo…”
“Meglio mi sento… Gli voglio tanto bene, al papà di Andrea, mi piace andare a teatro con lui, ma è una pinza e una tenaglia.. Se aspettiamo il suo riscatto, rischiamo di morire di vecchiaia…”
“Magari, vecchia mia, più che ai soldi saranno interessati a qualche concessione politica: un’amnistia, le dimissioni del Cardinal Colacchia…”
Non faccio in tempo a terminare con le mie elucubrazioni, quando due dirottatori entrano nel salone da ballo: uno ci tiene sotto mira con la pistola, dall’esperienza che mi sono fatto nella Legione Straniera, dovrebbe essere una Luger 7,65 mm Parabellum, simile a quella usata nell’esercito svizzero. Canticchia
Libertà l’è morta
L’altro, invece, apre il magazzino, con un mazzo di chiavi da fare invidia a San Pietro. Mi guarda, scuote il capo, poi punta due ragazzotti che dalla parlata, mi sembrano sudditi del Granducato.
“Tu e tu, prendete quei bidoni”.
Obbediscono, pur accompagnando i loro sforzi con bestemmie e coloriti insulti diretti alla maremma. Francesca si copre le orecchie, per non sentirli: eppure a lezione o durante gli esami, il suo linguaggio è anche peggiore. Rientrano dopo un quarto d’ora, portando con sé del pane, fette di carne fredda e bottiglie d’acqua. Tutti si accalcano attorno al cibo. Io invece, mi avvicino ai toscani.
“Allora, che cosa c’era nei bidoni ?”
Il più alto si batte la fronte con il palmo della mano
“O professore, quelli lì son proprio tocchi, vero Lorenzo ?”
Il suo compagno, basso e tozzo, annuisce
“Che bischerata ! Ci siamo spaccati la schiena per due cose degne di Calandrino e Gianni Schicchi… In uno c’era solo ruggine, nell’altro una polvere grigiastra, fredda al tatto… E ce l’hanno fatta spargere in giro. Ma chi li capisce è bravo”
Aggrotto la fronte, evidenziando le troppe rughe.
“Cazzo…”
Francesca mi da uno scappellotto.
“Contegno, Marco, modera il linguaggio… Un poco di contegno”
“Vogliono bruciarci vivi, porca mignotta ladra”.
“Madre Santissima del Carmine, ma che stai dicendo ? Hai battuto la testa pure tu ?”
“No, Francesca, tu dedicati allo ius che la chimica è cosa mia… Idrogeno più ossido di ferro più alluminio, uguale boom ! Con il contorno di tante fiamme, per farci fare la fine delle lumache alla brace nella fiera di San Giovanni “
I toscani bestemmiano, gli altri piangono o, a cominciare da Francesca, si tracciano con il segno della croce. Mi trovo davanti la computatrice, Zerlina, mi pare si chiami, che si sistema i fregi che decorano la sua tunica azzurra.
“Professore, non sta esagerando ? Perché dovrebbero bruciarci vivi ? Fossimo papi, cardinali, baroni… Qui siamo tutti borghesi, poco più che immondizia… Va bene la lotta di classe, va bene tutto, però mi pare esagerato”.
Mi metto la testa tra le mani.
“Noi, non siamo noi l’obiettivo… Deve essere qualcosa di grosso, che può essere colpito da un dirigibile in fiamme… Ma cosa può esserci di simile a Roma”
Francesca tira fuori un rosario dalla borsetta e comincia a scorrere i grani
“San Gennaro, proteggici tu… La cupola di San Pietro”.
La computatrice si carezza di capelli.
“Sarà il caso di avvertire Roma… Signori, c’è qualcuno tra voi che non soffre di vertigini ?”.
[…] elemento di collegamento tra i due Premio Kipple, Il canto oscuro e Lithica, di prossima uscita. Qui i primi due capitoli; buona […]
"Mi piace""Mi piace"