HyperHouse
NeXT Hyper ObscureArchivio per ottobre 28, 2016
Melodia surreale
Ho usato la simbologia eterica per condensare concetti materici infiniti, ed ecco il suono farsi melodia surreale.
Indefinito ma reale
Riformando le perfezioni di un concetto astratto, i contorni della serie segnalata si modificano con clock quantico indefinito, ma reale.
Lo strano incontro tra Conan Doyle e Houdini | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine un articolo che indaga maggiormente – la prima segnalazione qui – il rapporto di amicizia tra Conan Doyle e Houdini; eccone un estratto:
Nel 1922 Doyle si recò negli Stati Uniti, invitato a tenere una serie di letture sullo Spiritualismo. La sua presenza attirò molte persone, le sale di lettura dove Sir Arthur appariva erano sempre strapiene. Fu in questo periodo che si rafforzò l’amicizia tra lo scrittore e Houdini. Doyle, cercando di fare breccia nello scetticismo del prestigiatore, finì per credere che quest’ultimo avesse poteri psichici.
Durante il loro soggiorno ad Atlantic City i coniugi Doyle invitarono la famiglia Houdini a passare del tempo insieme. Fu organizzata una seduta privata per Houdini, la moglie dello scrittore avrebbe ottenuto un messaggio da parte della madre del mago usando il potere medianico della scrittura automatica. A partecipare furono Sir Arthur, Lady Doyle e Houdini. Se i primi si convinsero di aver profondamente impressionato il loro ospite, Houdini rimase piuttosto perplesso.
La madre del mago, pur avendo abitato in America per 50 anni, aveva difficoltà a parlare, leggere e scrivere in inglese; il messaggio riportato da Lady Doyle era invece scritto in un inglese perfetto. La lettera cominciava poi con il segno della croce, difficilmente la moglie di un rabbino avrebbe usato un tale simbolo. Houdini aveva anche pensato alle cose familiari di cui discuteva con la madre e non era stato fatto cenno a nessuna di esse. Infine, la seduta si era svolta nel giorno del compleanno della madre di Houdini e anche in questo caso non c’era stato nessun riferimento alla data.
Le porte dell’inferno si aprono a Palazzo Diamanti – Carmilla on line
Su CarmillaOnLine un approfondimento di una segnalazione che ho dato pochi giorni fa, relativamente al romanzo Il cuoco dell’inferno, di Andrea Biscaro. Eccone alcuni dettagli:
“Pigliate una bella fetta di storione, tenetelo per circa due ore in una concia composta da vin bianco, sale, pepe, spezie e agro di limone; indi ritiratela da suddetta concia, steccatela con qualche foglia di ramerino […]”
oppure
“Piglia libbre cinque di farina bianca e due pani bianchi grattati, e messedali bene insieme con la farina, e poi habbi l’acqua che boglia, e impasta insieme tre uova e fa la pasta che non sia dura né tenera, e lasciala rafreddare un poco […]”
oppure
Pigliate l’arigusta, legatele la coda, ripiegata sul ventre, e ponetela a cuocere in recipiente adattato, gettandovela quando l’acqua bolle, ed avvertendo che vi rimanga affatto immersa […]
oppure
“A fare dieci piatti di maccheroni alla napoletana: Piglia libbre 8 di fiore di farina, e la mollena d’un pane grosso boffetto mogliato in acqua rosata, e uova fresche quattro, e once 4 di zuccaro; e bene impasta ogni cosa insieme […]”
Le ricette tratte da Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale — che uscì postumo e fu più volte ristampato fino ai primi decenni del Seicento —, costellano il nuovo thriller di Andrea Biscaro. Ferrarese, classe 1979, attualmente residente all’isola del Giglio, Biscaro è un nome noto della narrativa nazionale. Un bel po’ di romanzi all’attivo tra cui Cromo (La Ponga) pubblicato qualche mese prima di questo, ma anche il noto Nerone. Il fuoco di Roma (Castelvecchi, 2011) e chissà cos’altro, dato che è anche ghostwriter.
L’utilizzo di queste raffinate preparazioni è un gustoso escamotage narrativo per introdurre a una delle corti più fascinose della storia. Gli Estensi ferraresi, in questo caso Ercole I e il fratello Sigismondo, negli anni in cui è ambientato questo thriller, avevano di che banchettare: Messisbugo, responsabile della preparazione dei piatti e autore del libro di cui sopra era il loro pregiatissimo Scalco di corte; Ariosto (ricorre quest’anno il cinquecentenario del suo capolavoro) allietava le ore di nobili e dei notabili; il figlio di Ercole I ovvero Alfonso I d’Este sposò l’ambita Lucrezia Borgia; Biagio Rossetti, l’architetto cresciuto alla bottega di Antonio Brasavola, aveva completato la cosiddetta Addizione Erculea che trasformò Ferrara nella “città ideale”. Pace e prosperità a cavallo tra Quattro e Cinquecento garantivano la potenza di questi sovrani illuminati, che poco avevano da invidiare ai Medici. Tanto fu lo splendore architettonico che l’ammodernamento urbanistico garantì nei secoli alla città — la stessa che ci godiamo oggi per i Buskers, qualche bellissima mostra come quella in corso sulla Ferrara dell’Ariosto, o per l’importante festival annuale di Internazionale — che chi la ritiene la New York dell’epoca non sbaglia: una città all’avanguardia che entusiasma il visitatore anche immaginario, come il lettore de Il cuoco dell’Inferno.
Le grandi personalità del passato “funzionano” egregiamente come personaggi e questa non è un’operazione da poco, soprattutto in un thriller esoterico-gastronomico. Manca alla lista un personaggio (realmente esistito) fondamentale: l’astrologo di corte, Pellegrino Prisciani, che ispirò il ciclo del Salone dei mesi di Palazzo Schifanoia e qui intento a consigliare i Duchi d’Este, ma….
Una notte, mentre gli augusti ospiti della corte finiscono gli ultimi manicaretti, un ambiguo duo bussa alle porte del palazzo estense. Se la porta degli Angeli si schiude per questi messaggeri male in arnese è perché questi portano come credenziale la parentela stretta con Messisbugo, lo Scalco di corte che è anche il protagonista della nostra storia.
Il fratello del cuoco sostiene di essere un sensitivo, che tramite i suoi poteri ha scoperto che una gemma inserita dal Prisciani in una delle bugne del neonato Palazzo Diamanti (pensate a che emozione dovesse suscitare questa meraviglia architettonica ai visitatori dell’epoca) è stata inserita male: al posto di una funzione benaugurale, questo diamante sarebbe stato capace di aprire nientemeno che le porte dell’inferno. Ma anche se ai tempi queste cose venivano tenute in gran conto, il Frate (ovvero il sensitivo di cui prima) non viene creduto, benché in buona fede. Le porte dell’inferno dunque non tardano a schiudersi.
E qui inizia la parte più piacevole di questo gioiellino narrativo: la descrizione del corredo demoniaco che dalla potenza del diamante e dell’omonimo Palazzo si sprigiona. Per non guastarvi la suspence non vi sveliamo chi l’ha messo lì, la motivazione e come il diamante abbia funzionato come innesco apocalittico.