Su L’indiscreto un viaggio tra i miti del Fantastico alla ricerca della continua ridefinizione del copro umano e delle sue funzioni. Un estratto:
Le vicende del dottor Victor Frankenstein e della sua innominata creatura sono, infatti, riportate da Walton, un testimone, uno spettatore, attraverso delle lettere alla sorella. Con il suo sguardo terzo coglie insieme il creatore e la creatura, il loro rapporto intimo e conflittuale. Questo sguardo terzo ci restituisce a pieno il dispositivo moderno dell’immaginario: la possibilità di cogliere la rottura dell’ordine quotidiano da distanza di sicurezza. Che rottura sia, lo mostra l’immagine della creatura: di una bruttezza ripugnante, terribile, orrenda che provoca un sussulto profondo nel creatore: “un orrore e un disgusto soffocanti mi opprimevano il cuore” osservando “il miserabile mostro che avevo creato”, “con quegli occhi acquosi, quasi dello stesso colore delle orbite bianche e spente che li contenevano, e con quella pelle avvizzita, e quelle labbra nere e tirate” (Shelley, 1818: 70, 69). E la stessa creatura non è esente dal riconoscersi come una rottura della normalità, come causa di disordine da cui deriveranno calamità: “quale fu l’orrore quando vidi la mia immagine riflessa in una pozza limpida! […] Quando mi convinsi pienamente di essere in realtà il mostro che sono, fui pervaso da un’amarissima sensazione di sconforto e vergogna. Ahimè! Ancora non conoscevo per intero le conseguenze fatali di questa triste deformità” (Shelley, 1818: 140). Dunque il corpo del mostro è l’oggetto scandaloso con cui si confronta la società borghese dell’epoca pre-vittoriana. Un corpo assemblato rappezzando pezzi anatomici di cadaveri, attraverso un commercio con il-già-morto, con membra destinate alla putrescenza.
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