Su L’indiscreto un articolo che tratta di matrimonio a tempo, una soluzione – forse – alle complessità sempre più esasperate dell’animo umano, in odor di superamento da Singolarità (che nome stupendamente appropriato all’argomento) della razza.
Nel 1966, l’antropologa americana Margaret Mead suggerì una versione del matrimonio a due fasi – un “impegno individuale” adatto agli studenti universitari, che può venir sciolto facilmente oppure trasformarsi in un “impegno parentale” qualora la coppia sia pronta e disposta ad assumere gli obblighi che implica l’avere dei bambini. Nel 1971, la legislattrice del Maryland Lena King Lee propose la “Legge di Rinnovo Contrattuale del Matrimonio”, così che le coppie potessero annullare o rinnovare il loro matrimonio ogni tre anni. Nel 2007, un legislatore tedesco ha proposto un contratto di sette anni; nel 2010, un gruppo di donne delle Filippine ha proposto un contratto matrimoniale di 10 anni; e nel 2011, i legislatori di Città del Messico hanno suggerito una riforma del codice civile che permetterebbe alle coppie di decidere la durata del loro impegno, con un minimo di due anni.
Evidentemente il matrimonio tradizionale era in via di revisione. Nonostante le intenzioni però, non è mai stata approvata alcuna legge, e l’idea dei matrimoni rinnovabili è rimasta tale. Ma i matrimoni temporanei sono stati praticati con successo per secoli, tra gli indiani peruviani nelle Ande, nell’Indonesia del 15° secolo, nel Giappone antico, nel mondo islamico e altrove. E sembra che potremmo essere pronti a metterli nuovamente in pratica.
In un recente sondaggio, molti millennials si sono dichiarati aperti a un “matrimonio beta”, in cui le coppie dovrebbero impegnarsi a vicenda per un certo numero di anni – due anni sembrava essere la quantità “giusta” – dopo di che si potrebbe rinnovare, rinegoziare o annullare, come ha scritto Jessica Bennett su Time lo scorso anno. Anche se non trattava di un sondaggio scientifico, il dato segnala una volontà di interpretare il matrimonio come qualcosa di diverso dal “finché morte non vi separi”, che, di fatto, è spesso falso. Nel 2013, stando a quanto riporta lo US think tank Pew Research Center, il 40 per cento degli sposi era già stato sposato almeno una volta. Dal momento che il 10 per cento dei primi matrimoni non superano nemmeno i cinque anni, un contratto di matrimonio rinnovabile ha più senso che mai.
Il nostro attuale contratto – “finché morte non vi separi” – avrebbe potuto funzionare quando la gente non viveva così a lungo (secondo la scrittrice e sociologa americana Stephanie Coontz, il matrimonio medio nel periodo coloniale durava meno di 12 anni); o quando molte donne morivano di parto, consentendo agli uomini di sposarsi più volte (cosa che facevano); o quando gli uomini avevano bisogno delle donne per cucinare, pulire e badare alla casa, mentre le donne degli uomini per la sicurezza economica. Ma al giorno d’oggi non sono più questi i motivi per cui ci sposiamo. Ci congratuliamo con le coppie per i loro anniversari e ci facciamo romantici via via che gli anni passano – 15, 25, 50, 75. Ma sono anni di felicità coniugale? Non sempre; molti matrimoni a lungo termine sono senza amore, senza sesso, e, a volte, pieni di rabbia e risentimento. Ma se durano fino a quando un coniuge muore, che successo!
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