Due segnalazioni prese dal blog di Emmanuele “Peja” Pilia che riguardano la nuova pubblicazione di D Editore, ovvero Panarchia, di Gian Piero De Bellis. La prima è su L’indiscreto, e si sviluppa in questo modo:
Tra i nuovi arrivi nella galassia libertaria c’è una formula che convince perché propone, finalmente, di prescindere davvero dal territorio. Prenderlo per quel che è, suolo calpestabile da genti diverse, non necessariamente coese, potenzialmente inconciliabili per religione, abitudini e idee politiche. La formula è adatta ai tempi – o forse è fortunata per via delle modalità con cui è riemersa dalle scartoffie di un botanico belga. Ed eccoci qui: benvenuta, “panarchia”. La proposta libertaria dove oltre al lasciar fare e lasciar passare, si prova a risolvere (assecondandola) la necessità di prescindere dal suolo su cui le idee circolano.
l’altra è su Gli Stati Generali, eccone un estratto:
Lo spazio che separa le idee politiche dalla loro possibile applicazione risiede nell’interpretazione che si darà di quelle idee – un po’ come un decreto attuativo serve a una legge emanata dal parlamento. Il come colmare questo gap di applicabilità è l’urgenza di qualunque interessato o curioso, si tratta della ricerca di un aggancio con la realtà. Ed è proprio ciò che ho fatto leggendo Panarchia: ne ho immaginato l’applicabilità, la congruenza con le regole vigenti e con l’etica che ne costituisce le fondamenta, così come ho pensato alle possibili criticità e le possibilità di “influenza” che un’idea simile potrebbe avere sul dibattito pubblico contemporaneo.
Argomento di frontiera, la panarchia, che configura l’anarchia come un modello diverso di sviluppo possibile, allineato ai tempi di questo postfuturo postmoderno post quasi tutto. Perché il senso di libertà si evolve, non sempre corrompendosi.
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