Su L’indiscreto un articolo di Oliver Roeder che parla della creatività delle IA. Sarà il caso di farci l’abitudine, e di prenderci anzi le misure, è qualcosa che nel prossimo futuro devasterà le nostre ambizioni creative, finché riusciremo a essere responsabili del processo creativo, almeno…
Le più grandiose applicazioni per gli algoritmi e l’intelligenza artificiale (IA) sono spesso precedute da banchi di prova più gestibili, come i giochi. Prima che il computer “risposta-domanda” della IBM, Watson, possa trattare i tumori, ad esempio, andrà al quiz televisivo Jeopardy! AlphaGo, bot di Google, ha sfidato un campione di Go in una “grande sfida” per un’IA. Ma questi passi non sono soltanto banali banchi di prova, anzi, possono essere considerati come veri e propri affronti all’umanità. Un commentatore, rendendosi conto che il programma di Google avrebbe vinto la partita, ha detto che “si sentiva male fisicamente”.
La questione è molto simile coi progetti di computer art. Kim e il suo amico Evan Chow, il cui codice è utilizzato in deepjazz, sono entrambi membri della più giovane generazione di un lungo filone di “computer artist”. (I due non sono esattamente i classici artisti indigenti, visto che nell’estate del 2016 Kim già lavorava per Merck e Chow per Uber). Mentre me ne stavo seduto con loro in uno stand di legno del Cafe Vivian, nel campus di Princeton, c’era dell’umanissimo jazz che suonava dagli altoparlanti, si trattava del frenetico ‘Pedal Up’ di Rahsaan Roland Kirk, del 1973. Però quando Kim mi ha fatto sentire dei sample generati da deepjazz dal suo portatile, ci siamo immersi in uno strano momento di jazz che si sommava ad altro jazz. Risultato? Jazz, ovviamente.
«L’idea è abbastanza radicale», mi dice Kim mentre cerco di decifrare ciò che c’è di umano tra i suoni cacofonici: «È possibile utilizzare un’IA per creare arte, si tratta del normale processo che noi pensiamo essere immutabilmente umano». Kim è d’accordo che deepjazz, e la computer art in genere, sia spesso un terreno di prova, ma ci ha visto dei fini oltre che dei mezzi. «Non intendo usare la parola “distruttivo”», ha detto, e ha aggiunto: «è assurdo come un’IA possa modellare l’industria musicale» immaginando un’applicazione basata sulla tecnologia come lo è deepjazz. «canticchi una melodia e il telefono ne riproduce la tua versione personalizzata, una vera e propria canzone generata via intelligenza artificiale».
Infine, questa massima piega lo spaziotempo, ma lascia incustodita la porta di uscita:
Non importa quale sia il futuro – e gli scienziati prevedono un tempo in cui quasi tutti i tipi di pittura potranno essere generati dal computer – il tocco reale dell’artista non giocherà più alcun ruolo nella realizzazione di un’opera d’arte. Quando arriverà quel giorno, il ruolo dell’artista consisterà nella formulazione matematica, l’organizzazione di una serie di punti in dei gruppi, un modello desiderato. Da allora in poi tutti saranno affidati al deus ex machina. Liberato dal tedio della tecnica e dalla meccanica dell’immagine, l’artista semplicemente “creerà”.
L’artista semplicemente creerà, se quest’attività nel frattempo non sarà realizzata ancora meglio o almeno identica da un’IA, oppure possiamo considerare i moduli di IA come estensioni del cervello umano?
Conclusione che lascia molte domande: creerà cosa, l’artista? La creazione prevede i limiti del creato, tolti i quali non si distingue più dallo sparare a caso. Il pittore crea entro i limito della tela e con quanti colori riesce a comprare, così l’architetto crea nei limiti del costruibile: tolti questi limiti il risultato è puro onanismo… Possiamo chiamarlo arte, ma allora dobbiamo prima metterci d’accordo su cosa sia arte.
Comunque la musica – così come i giochi da scacchiera – è matematica pura quindi non stupisce che l’IA riesca bene. Ricordo il lamento del protagonista di “1984” di Orwell per la pessima musica creata dal Governo in automatico, musica fredda creata al computer (diremmo oggi) che però piaceva e addirittura una massaia la fischiettava. Crediamo che la musica sia arte, quindi il problema è il nostro, che partiamo da basi discutibili.
L’IA invece andrebbe testata in un ambiente estremo, messa alla prova con elementi totalmente privi di matematica, di logica e di coerenza, per esempio un talk show politico. Scommetti che assisteremmo alla prima IA che si toglie la vita? 😀 (in alternativa direbbe comunque cose più interessanti dei politici 😛 )
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Credo che tutto sia matematica. Da lì discende tutto, ogni ragionamento
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