Un bellissimo racconto inedito di Francesca Fichera; sul suo blog, da leggere tutto d’un fiato, in leggerezza poetica e introspezione emozionale.
Lei era di fronte a me, i riccioli neri sparsi sulle spalle in un ordine elettrico che non riconoscevo. Il suo sguardo azzurro e torvo mi penetrava. Aveva le braccia distese lungo il corpo e pugni stretti e tremanti alla fine, lambiti appena dai ciuffi bianchi delle onde.
Era venuta fuori con me, in me, quando credevo non fosse esistita mai. Nella mia storia eterna di ninfa marina il pensiero che non fossi unica non aveva attraversato una sola volta i miei pensieri. Giorni, anni, secoli, erano trascorsi nella bonaccia dell’assenza di dubbi. Ma è impossibile, mi dico, nutrire incertezza dell’inesistente.
A tradire la quiete era arrivato lui: il vento, il mio vento. Con gli occhi azzurri come i miei, che nascondevano una mente diversa e un cuore simile. Arrancava sulla spiaggia ogni mattina e pomeriggio, prima e dopo la scuola, con i capelli lucidi che diventavano arruffati col passare delle ore. Sedeva sulla sabbia tendendo i suoi calzoni buoni sulle cosce e mi – o dovrei dire ci – guardava. E io, spumeggiando, guardavo lui. Quelle rare volte in cui sfilava scarpe, calzini e arrotolava i pantaloni fin sopra le caviglie per raggiungermi, mi divertivo a solleticargli i piedi con dita fresche e bagnate. Tante creature avevano immerso i loro corpi nell’acqua su cui vegliavo ma nessuna di esse assomigliava a lui, per quanto al tempo di questa sensazione non riuscissi ancora ad afferrare il vero significato. Intuivo solo fosse un segno, una di quelle cose che solamente l’eternità capisce ma a cui il presente rivela d’essere sempre troppo cieco.
Eppure l’istinto mi diceva di non passarci sopra, come facevo con le impronte sulla battigia; voleva aprire i miei occhi invisibilmente blu, che guardavano davvero solo quando c’era lui, così bello e concreto come nessun corpo umano prima d’allora mi era apparso.
Continua qui.
Grazie infinite!
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