Su L’indiscreto un articolo che analizza le differenze tra il narrato a parole e quello per immagini, sottolineando che il primo media porta il lettore a sforzarsi per costruire la scena, le espressioni, le emozioni dei protagonisti attraverso la propria mente e l’immaginazione, mentre il secondo ha caratteristiche più passive, dovendo lo spettatore fruire immagini ed emozioni strettamente veicolate dalle immagini stesse; in altre parole, con le immagini c’è poco da immaginare, con le parole bisogna farlo in toto. Anche la definizione del fruitore (lettore nel primo caso, spettatore nel secondo) indica quale sia la forma di passività che si sviluppa attraverso le immagini.
Quello che resta unico e incontrovertibile della letteratura è la possibilità di immaginare, che permette al singolo di non sentirsi quasi mai veicolato attraverso un’impressione troppo forzata. Se l’arte è comunicazione in quanto rende universale un’esperienza percettiva individuale, la letteratura continua a essere in prima fila, perché la comunicazione può avvenire solo attraverso la compenetrazione con l’alterità, attraverso il riconoscimento delle infinite somiglianze che intercorrono fra essere umano ed essere umano, e che consiste nel guardare insieme e cercare di possedere i nodi cruciali dell’esistenza. Perché se una narrazione per immagini può suggerire in chi la fruisce un sentimento di immedesimazione e procurare impagabili suggestioni, la narrazione scritta – essendo tanto incisiva quanto neutra e lasciando spazio all’immaginazione – ha in sé la possibilità di essere davvero posseduta sino in fondo. Ed è forse in questo possesso conoscitivo, in questa forma profonda della comprensione, lo scarto della letteratura in cui continuiamo a credere.
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
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