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NeXT Hyper ObscureArchivio per marzo 11, 2018
Esercitazioni
Piccole significative rimostranze nell’aria sinaptica si rivolgono poi alle esercitazioni di potere inarrestato, mostrando la corda nel regime energetico.
Il Polesine nella tarda Età del Bronzo
Tanto per continuare la vena preistorica, un post di Alessio Brugnoli fa una rapida panoramica preistorica sull’Età del Bronzo nel Polesine, provando a tracciare paralleli con moderno dispiegarsi dei nostri giorni. Da leggere tutto d’un fiato.
La crisi della tarda età del bronzo è un tema di numerosi e ampi dibattiti, la cui animosità fa impallidire quelli della politica italiana. Ci si scanna, con parecchio entusiasmo, sulla cronologia (corta, ossia il tutto avviene in un paio d’anni o lunga, ossia come questa crisi sia stata graduale ed estesa per un periodo di tempo di circa ottanta anni), sulle cause del fenomeno (invasioni di massa provenienti dal Mediterraneo Occidentale o crisi politico economica?) e sui singoli eventi ( che diavolo succede di preciso nell’area egeo anatolica?).
Provo a tenermi fuori da questo marasma di polemiche e ipotesi, gettando uno sguardo, invece, su un tema assai meno trattato: gli impatti della crisi del Mediterraneo Orientale sul quello Occidentale. Il motivo è abbastanza semplice: se ci fosse stata questa ipotetica migrazione, dovremmo trovare, nelle aree di provenienza degli ipotetici invasori, tracce di un ampio spopolamento o in caso si ipotizzi un comportamento analogo a quello dei vichinghi, il bottino dei saccheggi.
In più essendo quelle aree economicamente connesse al mondo miceneo, cipriota e siriano, si dovrebbero notare, nelle tracce della loro vita materiale, gli effetti dei torbidi avvenuti in quelle aree. Comincerò questa analisi, che si articolerà in vari post, esaminando quanto accade nella zona del delta del Po: può sembrare strano, ma nella Media e Tarda età del Bronzo, svolge lo stesso ruolo che hanno il Salento, la Sicilia Occidentale e la Sardegna nei traffici dell’epoca, ossia di interscambio tra una rete commerciale locale, più o meno estesa e i ricchi mercati orientali.
In particolare, nel Polesine i mercanti micenei e ciprioti entravano in contatto con comunità tribali che associavano all’agricoltura e all’allevamento, un commercio a breve distanza, per approvvigionarsi del rame del Trentino e a lunga distanza, erano terminali sia della via dell’Ambra e dello Stagno. Contatto che nel XIII secolo a.C. provoca alcuni mutamenti culturali ed economici: si accentua la differenze tra capi, che importano beni di lusso, e resto della tribù, la ceramica locale imita quella egea e nell’area compresa tra l’Emilia e la Svizzera si adottano, per facilitare gli scambi commerciali con i mercanti
stranieri, le unità di misura di peso e lunghezza micenee.Questo equilibrio si rompe intorno al XII secolo a.C.: una crisi drammatica colpisce le comunità terramaricole, quella che quando ero piccolo io erano chiamati i tizi delle palafitte. La deforestazione, l’eccessivo sfruttamento del suolo e un periodo particolarmente arido manda in tilt il loro sistema sociale. Ora, i terramaricoli, non prendono armi e bagagli e corrono a saccheggiare i territori egizi ed ittiti, primo, perché non avevano nessuna idea di dove fossero, secondo, perché, con le piroghe, non è che potessero andare molto distante. Per cui, una parte migra nei territori della cultura appenninica, che essendo pastori transumanti, poco si curano dell’arrivo dei profughi, anzi, incominciano un processo di ibridazione culturale che sarà una delle componenti della civiltà protovillanoviana, un’altra si trasferisce nel Delta del Po.
Cimmeri, Sciti e Sarmati: i popoli iranici dell’antica Eurasia – A X I S m u n d i
Su AxisMundi un bellissimo viaggio tra i popoli indoeuropei protagonisti nell’Età del Ferro dei territori est europei, caucasici e delle steppe dell’Asia centrale. Le nostre radici antropologiche sono razionalizzate nel lungo articolo che vi incollo parzialmente qui sotto, un breve tratto per invitarvi a leggerlo tutto, è importante conoscere da cosa sono veramente costituite le nostre radici.
Le popolazioni che – prima dell’irruzione dei Goti – si avvicendarono nell’area del Ponto appartenevano al ceppo iranico: i Cimmeri prima, gli Sciti poi, quindi i Sarmati. Erano irani delle steppe più selvaggi e nomadi.
I più antichi ad apparire in furono i Cimmeri, che colpirono la fantasia dei Greci. Per Omero i Cimmeri vivevano “di nebbia e nube avvolti” nell’estremo settentrione. La loro terra senza Sole veniva considerata un tramite per comunicare col mondo dei morti. Per questo Ulisse nella Odissea si reca appunto in Cimmeria per praticare la nekya, l’evocazione dei morti, compiendo un sacrificio di sangue che attira le anime dei morti dall’Erebo. Il mondo culturale romano curiosamente attribuì ai Cimmeri una serie di località italiche, localizzandone le sedi nella zona del Lago d’Averno o di Lucrino o a Cuma (secondo un ragionamento etimologico che collegava Cuma e Kymmeri): in tutti questi casi era esplicito il riferimento alla contiguità tra il popolo dei Cimmeri e il Mondo dei Morti. Infatti il Lago d’Averno veniva considerato porta d’accesso all’Ade e Cuma era sede di una celebre Sibilla che appunto viveva sospesa tra il mondo dei vivi e l’aldilà per poter pronunciare i suoi enigmatici vaticini.
Ma questo è mito. Nella realtà storiografica i Cimmeri furono una antica popolazione indoeuropea del Caucaso. A un certo punto pressati dagli Sciti si spostarono a Ovest e Sud, dilagando nel Vicino Oriente, dove furono alla fine sconfitti dagli Assiri. Gli Assiri stessi si accorsero che tra Cimmeri e Sciti avveniva una guerra in famiglia dal momento che entrambi appartenevano alla genia degli irani delle steppe.
Da approfondire, alla luce di tutto ciò, la consistenza di queste leggende nel corpo mitizzato dei nostri tempi, tanto per fare un riferimento recente vi si ravvisano gli echi dall’Ottocento fino al Nazismo e, direi, anche ai nostri giorni; nei nostri moderni deliri razzisti è continuamente presente nel mito perduto il rimando di antiche popolazioni superiori e antichissimi splendori, cose per cui combattere ancora nella speranza di ricostituire le stirpi pure che potranno governare il mondo (il mondo, ai tempi del Ferro, poteva benissimo essere il quadrante preso in considerazione dall’articolo). In realtà, come possiamo leggere nell’articolo, parliamo di barbari nomadi e sanguinari, nulla cui si attagli la definizione di civiltà: di cosa parliamo, allora? Nostalgia dell’inciviltà? Ignoranza? Cos’altro?
Lost to your gloom
I contorni sfumati precipitano l’umore nelle Guglie Gemelle, nel substrato onirico e sciamanico dell’esistenza.