A marchio Kontrans arrivano Tomomi Adachi e Jaap Blonk, sperimentatori improvvisativi straordinari, dei veri specialisti nell’interazione voci ed elettroniche. È proprio il musicista giapponese, in un video del 2013, a renderci edotti della sua operatività in musica, chiedendosi candidamente: come si può trovare un significato nel suono? La risposta è in qualche modo implicita: non c’è nessun significato nel suono, così come discutere su chi è detentore di una migliore tecnica strumentale è per Adachi assai poco interessante. “La voce è la mia stessa cosa” spiega “usando la voce si possono scoprire nuovi suoni e lavorare con la storia allo stesso tempo”. Naturalmente quella alla quale ci si rifà è anche la tradizione della sound poetry e i due performing artist, che hanno spesso collaborato a partire dal 2004, suonando in varie location fra Tokyo e Amsterdam, utilizzano parole e frammenti fonetici, sibili, clic, abrasioni, gong e altre manipolazioni, in una commistione assai vivida di voci e di speciali strumentazioni, realizzate appositamente per i loro live. La voce può essere provocante oppure aggressiva, evolvere verso una comicità didascalica o farsi lamentosa, mentre sovvengono rimandi dadaisti, ma anche alla cultura del grammelot, con suoni, onomatopee, parole e foni privi di significato, oppure come nel gibberish, una meditazione dinamica che viene utilizzata al fine di liberarsi della mente attiva arrendendosi a una dimensione trascendentale. Le tracce presentate in questi Asemic Dialogues sono solo due e la reciprocità fra strumenti e suoni gutturali ci sembra particolarmente insistita e liberatoria soprattutto nella seconda delle registrazioni. Tuttavia entrambe possono essere definite ottimi esempi di poesia nonsemantica, per le quali le finalità inaspettate, sorte inconsapevolmente nel corso dei processi creativi, sono infine anche frutto di una mediazione, di un incontro certo non troppo codificato, in un mix d’eterodossi virtuosismi molto bene gestiti a livello interpretativo. Questo è il primo album per il duo, nonostante i molti anni di militanza assieme sui palcoscenici experimental più disparati. Siamo certi non sarà l’ultimo, perché la potenza espressiva di questo combo è subito chiara ad appassionati e – egualmente – anche ad assoluti neofiti di tali scene.
Nel tempo stratificato delle percezioni illusorie, il tempio rimane aperto per tutto l’estendersi dei fenomeni, e rimangono validi tutti i tormenti esausti dell’incarnazione, un dolore senza fine.
Le tecnologie immaginate del passato, specialmente quelle formulate come racconti fantastici, possono essere paragonate a molti prototipi assemblati nel XX secolo e mai prodotti. L’artista Tania Candiani ha indagato un testo indiano (Vaimanika Shastra) sulla tecnologia aerospaziale, citando “Vimana”, veicoli avanzati per il volo aerodinamico, descritti nell’antica epopea sanscrita. Nel contesto del trasferimento storico di tecnologie tra l’India e la regione cinese, ha cercato di ricreare uno di questi veicoli noleggiando un artigiano tradizionale taiwanese di lanterne volanti. Il volo è rappresentato in un video, che riflette la previsione di viaggiare alla “velocità del vento emettendo un suono melodioso”. La forma dell’opera Vimana ricorda droni attuali, che si adattano anche con la descrizione. Ma l’artista ha scelto di non considerare Vimana come una profezia visionaria, ma come una visione intensa, e di darle di conseguenza una forma fisica.
Tornano gli interventi su NeXT-Station. Un lauto antipasto del numero nuovo che presumibilmente uscirà a settembre, con una splendida sorpresa, ma solo per chi non la conosceva già: un magnifico racconto sul concetto di memoria scritto da Linda De Santi; poi il mio contributo per la rubrica Pulse, che racconta dei concerti del passato (quindi anche qui si va sul filo della memoria). Infine, un grandioso contributo di Roberto Paura che racconta di Nils Aall Barricelli e dei suoi modelli di machine learning.
Una riedizione di un vecchio racconto distopico di Alessandra Daniele, su CarmillaOnLine. Dedicato a Marchionne.
[I media celebrano Marchionne come fecero con Wojtyla. Il capitalismo è religione di Stato. Ho scritto e pubblicato per la prima volta questo racconto sulla fabbrica secondo il “metodo Marchionne” nel 2010]
– Dovreste essere contenti che la Fabbrica abbia deciso di riportare la produzione di operai in Italia.
– Sì, ma le condizioni…
– Sono le stesse già applicate con successo in tutta l’Europa dell’est – dice l’amministratore – Gli embrioni umani vengono coltivati in vitro, in batterie da dodici. Al sesto mese di sviluppo accelerato, vengono inseriti nel meccanismo produttivo attraverso una serie di innesti biomeccanici collegati alla catena di montaggio, e iniziano il loro lavoro.
– Fisicamente collegati ai macchinari? – Chiede il delegato.
– Certamente – l’amministratore annuisce compiaciuto – Appositi macchinari che provvedono anche al loro sostentamento, attraverso l’immissione di fluidi nutritivi direttamente nel flusso sanguigno, allo sporadico inserimento di sostanze solide nell’apparato digerente per evitarne l’atrofia, grazie a un catetere esofageo, e al drenaggio ed eliminazione delle scorie attraverso una sonda rettale.
Il delegato osserva l’immagine sullo schermo.
– E questa mascherina a cosa serve?
– All’interfaccia visiva. Viene applicata dopo la rimozione dei bulbi oculari, e collega direttamente il nervo ottico degli operai al computer centrale della fabbrica – l’amministratore sorride – Niente più problemi di distrazione.
– Rimozione dei bulbi oculari?
– Sì, insieme agli organi sessuali, e altre parti del corpo inutili al processo produttivo.
– Ma è previsto che gli operai non facciano altro che lavorare 24 ore al giorno?
– No, questo ne pregiudicherebbe l’efficienza. Ogni dieci ore di lavoro ne vengono chimicamente indotte due di sonno ipnotico, durante le quali si approfitta per aggiornare il loro condizionamento mentale.
– E resteranno così collegati ai macchinari per tutta la vita?
– Finché non verranno superati da un modello più efficiente.
– Gli operai?
– No, i macchinari. Gli operai risulteranno in esubero, e verranno disconnessi. Poi saranno rottamati.
– I macchinari?
– No, gli operai.
Il delegato fissa l’immagine sullo schermo.
– Possono sopravvivere disconnessi dalle macchine?
L’amministratore si stringe nelle spalle.
– No, ma gli ammortizzatori sociali non sono un problema dell’azienda.
Il delegato scuote la testa.
– Non so quanto queste condizioni siano accettabili…
L’amministratore lo interrompe in tono oltraggiato.
– Opporsi al progresso per ragioni puramente ideologiche sarebbe un errore gravissimo – lo redarguisce – E mi costringerebbe ad attivare l’inibitore a scariche elettriche che lei e tutti i suoi colleghi avete saggiamente acconsentito a farvi installare alla base del cranio, dopo la scorsa trattativa. Allora, qual è la sua decisione? – Chiede l’amministratore puntando il telecomando dell’inibitore.
Il delegato china la testa.
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.
“Siamo l’esperimento di controllo, il pianeta cui nessuno si è interessato, il luogo dove nessuno è mai intervenuto. Un mondo di calibratura decaduto. (…) La Terra è un argomento di lezione per gli apprendisti dei.” Carl Sagan