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NeXT Hyper ObscureArchivio per giugno 18, 2019
Corrompe e deturpa
Negli affondi sistemici e dimensionali la chiave di lettura dei tuoi drammi interiori, la percezione dell’oltremondo è attenuata dalle sicurezze di terra, i piedi ben coperti dalle vibrazioni negative del suolo sono un rimedio a ciò che corrompe, e deturpa.
Cattiva traduzione
Le parole si rapprendono una dopo l’altra, coagulano in discorsi, fantasie, filosofie folli come l’idea stessa della parola, della trasduzione imperfetta e ingannevole dell’energia.
La solitudine dei numeri fini | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com la segnalazione di La solitudine dei numeri fini, racconto in ebook per DelosDigital scritto da Davide Camparsi. La quarta molto, molto interessante:
C’è un modo nuovo per esplorare le stelle che richiede agli esseri umani una delle cose più preziose al mondo: la memoria. I sessantasei anni di viaggio richiesti ai quattrocento membri dell’equipaggio imbarcati a bordo delle navi Pitea non mettono a repentaglio l’esistenza degli astronauti, né li faranno giungere vecchi al traguardo rappresentato da Nuova Thule.
Anzi, è esattamente il contrario.
Gli uomini credevano di potere aggirare i principi della Relatività, ma se si usano i portali calcolati dai Numeri Fini per imboccare una scorciatoia spaziale e prendersi gioco della velocità della luce, la luce quel tempo sottrattole lo rivuole indietro. Gli astronauti devono imbarcarsi da vecchi per arrivare giovani al traguardo.
Il vero viaggio è l’attesa della vecchiaia. Ciò che per qualsiasi altro essere umano è l’approssimarsi della morte, per i membri delle navi Pitea rappresenta l’inizio di una nuova giovinezza. Il prezzo più grande da pagare è la memoria: dimenticarsi dell’esistenza vissuta, delle esperienze fatte, degli amori che si sgretoleranno nello spazio e nel tempo.
Ma quanto è fragile, l’essere | L’INDISCRETO
Su L’Indiscreto un articolo che indaga le connessioni filosofiche tra i fenomeni di nazismo, fascismo ed estremizzazioni destrorse con i miti di una presunta superiorità, se non fisica almeno morale, ideologica, mistica, attribuiti a ipotetiche popolazioni di un passato così sepolto da non trovarne traccia. Un estratto:
Ci sono filosofi, pensatori e poeti che, pur non essendo ammantati da un’aura di enigmatico carisma, possono a buon ragione dirsi “maledetti”. Tra questi vi sono gli intellettuali “problematici”, ossia le schiere di reazionari, tradizionalisti e fanatici dell’ortodossia, nonché i vari collaborazionisti del periodo nazi-fascista. E fu proprio nel periodo compreso tra le due Guerre Mondiali, che l’Europa assistette a una vera e propria proliferazione del reazionarismo. Una data importante in questo senso è il ventisette maggio 1933, giorno in cui l’allora già celebre filosofo Martin Heidegger assume la carica di rettore alla Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo. La nomina giunge in seguito alle pressioni esercitate da un folto gruppo di docenti nazionalsocialisti, nonché sulla scia dell’infame “decreto dell’incendio del Reichstag”, che prevedeva l’allontanamento dei funzionari pubblici non ariani dal proprio ruolo ‒ decreto che finì per abbattersi persino sul maestro di Heidegger, il filosofo e logico Edmund Husserl, e su una delle sue allieve e amiche, la teorica politica e giornalista Hannah Arendt. In occasione del suo insediamento, Heidegger lesse pubblicamente il discorso intitolato L’Autoaffermazione dell’Università Tedesca, nel quale auspicava una svolta nazionalista in seno all’istituzione universitaria, in opposizione alle tendenze liberali e pluraliste. Il tre novembre dello stesso anno, nel suo Appello agli Studenti Tedeschi (Scritti Politici, 1933-1966, n. 148), Heidegger affermava: «Il Führer stesso e solo lui è la realtà tedesca dell’oggi e del domani e la sua legge». L’episodio contrassegna simbolicamente l’egemonia del nazifascismo nelle università europee. Nello stesso anno, altri colleghi di Heidegger aderirono al partito nazista, come nel caso del politologo Carl Schmitt e dell’antropologo Arnold Gehlen; altri intellettuali tedeschi, di ispirazione nazionalista o conservatrice, quali lo scrittore Gottfried Benn e i filosofi Oswald Spengler ed Ernst Jünger, finirono invece con l’essere perseguitati o a malapena tollerati dal regime, in quanto “degenerati”, “pessimisti” o “liberali”.
In Italia la situazione non è di certo migliore: nel 1925, Giovanni Gentile pubblica il Manifesto degli Intellettuali Fascisti ‒ tra i nomi dei firmatari spiccano quelli di Marinetti, Ungaretti, Pirandello, Malaparte e D’Annunzio. Una decina di anni dopo, persino Giovanni Papini, di simpatie futuriste e irredentiste, deciderà di aderire al fascismo, plaudendo alla figura del Duce “poeta e amico dei poeti”.
Tra questa folla di personaggi illustri, ve n’è uno (leggermente) meno noto, Giulio Cesare Evola, detto “Julius”, artista prima futurista e poi dadaista, avventuriero, cultore delle religioni orientali, filosofo, esoterista e mistico, autore del libro-manifesto Rivolta Contro il Mondo Moderno. Evola, che non fu per nulla estraneo al fascismo italiano (dal 1934 al 1943, contribuirà alle attività della Scuola di Mistica Fascista), fu uno dei più ferventi promulgatori del concetto di “aristocrazia spirituale” e di quello, ben più esplicito, di “razzismo spirituale” ‒ la credenza secondo la quale la superiorità di alcuni popoli europei non andrebbe ricercata nella genetica ma nelle antichissime tradizioni spirituali dei loro antenati atavici, gli ariani, gli indo-europei o addirittura i mitici iperborei, gli atlantidei o gli abitanti di Shangri-La.
Sebbene sia stata spesso sottovalutata, questa componente mistico-esoterica del nazifascismo è essenziale per comprendere come le dottrine nazionaliste si siano diffuse in Europa fino al giorno d’oggi. A fianco della dottrina “sangue e suolo” (blut und boden) si staglia uno dei concetti più duraturi e imponenti della cultura europea, ossia la speranza di una “rinascita spirituale” dell’Occidente ‒ minacciato, di volta in volta, dagli ebrei, dal progresso tecnologico, dallo strapotere degli Stati Uniti, dal comunismo, dai migranti o da una vaga e non meglio specificata “decadenza”. È grazie a questo fervore spirituale che, tra i primi del novecento e la caduta del Muro di Berlino, il nazionalismo si propaga nell’Europa orientale (con effetti tuttora devastanti). Durante il periodo nazista, Heidegger, Spengler, Evola e Gehlen diventano i corrispondenti, gli insegnanti, i mentori e le guide spirituali di molti giovani est-europei. Le loro opere e le loro idee fanno breccia in particolar modo nell’animo dei giovani romeni, anche attraverso l’opera divulgativa di influenti accademici, quali Nae Ionescu, filosofo di ispirazione ortodossa, nazionalista e antisemita. Il gruppo formato da Ionescu e dai suoi allievi, conosciuto con il nome Trăirism (“esistenzialismo”), fu uno dei tanti gruppi di studio dedicati alla questione della rinascita spirituale e politica dell’Europa. Le sue ricerche filosofiche, tuttavia, si intrecciarono alle idee e agli insegnamenti del leader della Guardia di Ferro (una branca armata del Movimento Politico Fascista Romeno), il mistico e politico Corneliu Zelea Codreanu. Trăirism, purtroppo, vantò la presenza di alcuni dei maggiori intellettuali romeni del secolo scorso: Mircea Eliade, Emil Cioran, Petre Țuțea e Constantin Noica. Ed è proprio del pensiero di Noica che proveremo a occuparci, assieme alla sua pesante e controversa eredità.