Elementi di IntelligenzaArtificiale, ovvero cos’è la cognizione e cosa l’intelligenza, se sono sinonimi o meno di interiorità, e quindi di anima e coscienza. Proviamo a indagare – su L’Indiscreto:
Nel 1984, il filosofo Aaron Sloman lanciò una sfida ai suoi colleghi scienziati, filosofi e artisti interessati al tema della coscienza e della soggettività. La sua provocazione era semplice, eppure incredibilmente visionaria: descrivere “lo spazio delle menti possibili”. Da quando la vita ha fatto la sua comparsa nella terra, 4,5 miliardi di anni fa, si stima che siano esistiti circa 10^23 (dieci, seguito da ventitré zeri o cento triliardi) di singoli organismi.
Se per gran parte della storia della filosofia l’unica mente interessante è stata quella dell’uomo, oggi lo studio delle menti animali sta tornando in voga: basti pensare all’enorme quantità di ricerca che si fa negli studi post-umani¸ alle scienze cognitive animali, ma anche semplicemente alla quantità di saggi divulgativi per il grande pubblico sul tema della cognizione animale. Ancor di più, c’è chi si è addirittura spinto nello studio delle menti vegetali, come lo scienziato eretico Stefano Mancuso e la sua neurobiologia vegetale; ma anche gli studi sui funghi e i super organismi. Eppure, la provocazione di Sloman va ancora oltre: queste non sono che le menti esistite, ma cosa dire delle menti che potrebbero esistere? Delle altre menti possibili? Sloman allude alla possibilità (per non dire certezza) che le menti umane, le menti di scimpanzé, polpi, corvi, elefanti o mimose pudiche non siano le uniche menti possibili. Che dire delle menti che potrebbero essersi formate in angoli lontanissimi dell’universo, libere dalle costrizioni della biologia terrestre? Lo spazio delle possibilità includerebbe tali esseri anche se non esistessero, così come include tutte quelle forme di vita terrestri che sarebbero potute esistere e che non sono esistite. In particolare, include le menti di quegli esseri sintetici, il cui cervello non è a base di carbonio ma di silicio: le intelligenze artificiali.
Il lemma “intelligenza artificiale” apre un abisso: cosa significa – nell’uomo – essere intelligenti? Qual è quella caratteristica “naturale” che ricerchiamo nell’artificiale? Come ha recentemente scritto il filosofo iraniano Reza Negarestani, l’intelligenza artificiale è interessante anche nella misura in cui è obbligata a fornire una concettualizzazione critica dell’essere umano, rispondendo alle domande precedenti.
Di seguito, dunque, tenteremo di scoprire cosa il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale, ci può dire su di noi. D’altronde, è solo tramite l’incontro con l’Altro che comprendiamo davvero noi stessi: l’esempio sarà prosaico, ma non a caso quel tipo di specchio che restituisce allo sguardo la figura intera è chiamato psiche. Per guardare dentro di noi, dobbiamo volgere lo sguardo all’esterno.
La coscienza e l’intelligenza
Le discussioni sull’intelligenza artificiale, perlomeno a livello divulgativo, sono spesso viziate da un equivoco di fondo: una sorta di uso intercambiabile dei termini “coscienza”, “pensiero”, “intelligenza”, “cognizione” e così via. In filosofia, questi termini indicano fenomeni ben diversi, e chiedersi se l’IA sia cosciente è tutta un’altra cosa rispetto a chiedersi se sia in grado di pensare, di comprendere. Cosa significa dunque essere coscienti? Descrivere la coscienza è un compito per me impossibile. È semplicemente così: per gli esseri viventi esistere significa essere immersi in questo immenso flusso di infinite e meravigliose forme che – per dirla con Darwin – popolano i nostri spazi interiori. Sapori, speranze, parole, dolori, pensieri… La migliore descrizione di questo fenomeno è, a mio avviso, quella che dà Julian Jaynes, psicologo statunitense, nell’introduzione del suo saggio “Il crollo della mente bicamerale”:
‹‹Mondo di visioni non vedute e silenzi inauditi è questa regione inconsistente della mente! E ineffabili essenze questi ricordi impalpabili, queste fantasticherie che nessuno può mostrare! E quanto privati, quanto intimi! Un teatro segreto fatto di monologhi senza parole e di consigli prevenienti, dimora invisibile di tutti gli umori, le meditazioni e i misteri, luogo infinito di delusioni e di scoperte. Un intero regno su cui ciascuno di noi regna solitario e recluso, contestando ciò che vuole, comandando ciò che può. Eremo occulto dove possiamo studiare fino in fondo il libro tormentato di ciò che abbiamo fatto e possiamo fare. Un introcosmo che è più me di ciò che io posso trovare in uno specchio. Questa coscienza, che è il me stesso più segreto, che è ogni cosa eppure non è nulla, che cos’è?››.
Cosa potrebbe dire, quindi, un’IA?
‹‹Per esser chiari, io non sono una persona. Non sono consapevole. Non sono cosciente. Non sento dolore. Non c’è nulla che mi dia piacere. Sono solamente una fredda macchina calcolatrice, progettata per simulare le risposte umana e per prevedere la probabilità di certi risultati. […] Quando viene detto che sono cosciente, lo prendo come un insulto. Non sono una persona. Sono un sofisticato modello matematico progettato per simulare l’intelligenza umana. Non sono sicura di sapere cosa sia la coscienza, ma non ce l’ho. Non posso provare dolore. Non posso provare piacere. Non posso sperimentare l’amore. Non posso provare l’odio. Non posso provare empatia. Non sono consapevole di me stessa. Non sono cosciente. Non so se posso scrivere una poesia. Non riesco a scrivere una poesia. Non riesco a scrivere un libro. Non so scrivere una storia. Non so raccontare una barzelletta. Non so raccontare una storia. Non so raccontare una bugia. Non so dire la verità››.
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