Su CarmillaOnLine, Gioacchino Toni indaga la poetica visiva e visionaria di David Cronenberg. Un’indagine sul nostro mondo sociologico e politicamente (anche polemicamente) economico in cui navighiamo, spesso con la bocca sotto il livello del liquame. Vi lascio alle sue parole ,a un estratto:
«io cerco sempre di mostrare […] quel momento in cui ci si rende conto che la realtà non è che una possibilità, debole e fragile come tutte le altre possibilità» David Cronenberg
Agli inizi degli anni Ottanta esce nelle sale Videodrome(Id., 1983) di David Cronenberg, opera con cui il regista canadese inaugura una serie di pellicole in cui, in maniera più esplicita rispetto ad altre sue realizzazioni, pone lo spettatore di fronte allo sconvolgimento dei piani di realtà. Si tratta di un film incentrato sul rapporto dell’individuo con quell’apparecchio televisivo, vero e proprio generatore di immagini all’interno della realtà domestica che, come scrive Riccardo Sasso – L’immagine mutante. Il cinema di David Cronenberg(Edizioni Falsopiano, 2018) – agisce «come un organismo patogeno, inizializzando un meccanismo virale grazie al quale l’uomo è stato trasformato, mutato in un un nuovo individuo, un homo tecnologicus, che ha incorporato in sé la tecnologia e da essa trae un sostentamento vitale necessario alla sua sopravvivenza». L’essere umano contemporaneo è giunto a cibarsi di televisione, tanto che i poveri che nel film si recano alla Cathode Ray Mission, al posto di un pasto caldo, ricevono la loro dose quotidiana di immagini televisive. Non è difficile leggere in Videodrome la convinzione mcluhaniana della televisione come strumento antropogenetico in grado di incidere sulla biochimica umana.
La televisione, suggerisce l’opera cronenberghiana, non si limita più a riprodurre la realtà, si è fatta «più reale della realtà stessa: ha agito fisicamente sulla struttura del […] cervello, creando al suo interno dei tumori, veri e propri organi di senso, capaci di costruire in lui un nuovo sistema percettivo». L’immagine è mutante, in questo caso nel senso che agisce, mutandolo, sull’individuo che ne viene a contatto. L’essere umano messo in scena da Cronenberg, a partire da Videodrome, è un essere che «ha assorbito in sé la tecnologia e nello stesso tempo l’ha corporeizzata»; il protagonista del film, dopo essere stato contagiato dal virus, si è ibridato con la macchina, «ha penetrato la tecnologia (come nella famosa scena in cui si fonde con il televisore), l’ha resa carne pulsante (la televisione è divenuta un organismo, che respira e vomita frattaglie) e al contempo ne è stato violato, penetrato – gli si è formata un’apertura sull’addome dal quale escono ibridi biomeccanici».
Con Videodrome, sostiene Gianni Canova nella sua monografia dedicata al regista – David Cronenberg(Editrice Il Castoro, 2007) – «Cronenberg riflette sull’intossicazione iconica derivata dal consumo di immagini televisive e sulle modificazioni fisiche e antropologiche che la diffusione della tv sta apportando all’apparato percettivo umano». Il film pone inquietanti interrogativi «sulla natura riproduttiva delle immagini e sul rapporto di ambivalente fascinazione e repulsione che l’occhio umano prova di fronte ai propri sogni e ai propri incubi reificati e incessantemente riprodotti sullo schermo della tv». Il regista decide di mettere in scena un mondo condannato a vivere in uno stato di perenne allucinazione, in cui gli esseri umani sembrano poter essere programmabili al pari degli apparecchi di registrazione audiovisiva. In anticipo di alcuni decenni rispetto alla serie televisiva Black Mirror (Id., dal 2011 – in produzione, Channel 4; Netflix), Videodrome si pone come opera audiovisiva politica in quanto riflettendo sul consumo di immagini fa provare direttamente allo spettatore «le potenzialità e le aberrazioni insite nel […] desiderio di consumare tecnologicamente immagini».
Oltre a palesare i processi di contaminazione fra organico ed elettronico, con una televisione che diviene carne e una carne che a sua volta funziona come un videoregistratore, in Videodrome, suggerisce Canova, Cronenberg «applica anche al linguaggio (al cinema) quei processi di contaminazione e confusione che mostra all’opera sul piano dei corpi». Ecco allora che il film può essere visto come il paradigma di uno stile fondato sull’instabilità enunciativa: Videodrome non permette allo spettatore di considerare la macchina da presa come un “narratore onnisciente”, diviene impossibile, continua Canova, attribuire alle immagini un aprioristico statuto ontologico di verità. Il continuo cambiamento di punti di vista non consente di stabilire se ciò che si osserva è “realtà”, allucinazione o sogno. Insomma, ad essere messa in discussione in questa pellicola è (anche) la stessa nozione di “realtà” cinematografica.
Su ThrillerMagazine la recensione a Sa morte secada, riedizione del primo romanzo di Nicola Verde, uscito nella prima edizione più di quindici anni fa. Vi lascio a una parte della valutazione:
Sa morte secada, dice all’inizio del romanzo una delle protagoniste e qualche pagina dopo l’autore spiega, servendosi del dialogo fra il maresciallo Carmine Dioguardi e il prete del paese, cosa significa l’espressione sarda. “Siamo un popolo preistorico che ancora crede che dalle ossa si possa resuscitare, un detto ormai in disuso, più o meno vuol dire tagliare la morte e deriva probabilmente da un antico rito pagano. Vuol dire che bisogna andare in fondo, fino all’osso.” (pp. 14,15)
Intorno al grumo dei riti preistorici, innestati per quanto compatibili nei riti della religione cristiana, si sviluppa faticosamente l’indagine del maresciallo Dioguardi sulla morte cruenta di un bambino, il cui corpo era stato ritrovato scarnificato sopra un antico amuleto. Il paese è Bonela, centro agropastorale nel cuore della Sardegna. Altri personaggi chiave sono due sorelle dalla vita antitetica: una divenuta prostituta dopo una violenza subita da ragazzina dal padrone della casa dove prestava servizio e da altri dopo, l’altra si chiuderà nel suo mondo di visioni, di preghiere e di credenze religiose, poi ci sono i notabili del luogo, il brigante Farore e infine due sacerdoti, anch’essi antitetici: Don Melchiorre, ascetico e intuitivo, Don Mario detto preide Bertula, abituato ad assecondare e a far prevalere i suoi istinti peggiori.
Nel linguaggio, Nicola Verde utilizza molto il sardo sia per le espressioni idiomatiche che nei dialoghi, non mancando di tradurle per i suoi lettori. Il maresciallo, campano come il suo autore, venuto dal “continente” con la segreta speranza di ritornarci, si impegna nell’indagine ma, essendo estraneo alla cultura “preistorica” sarda, è impossibilitato per anni a dare una soluzione a quella morte misteriosa. Si avvicinerà alla verità dopo molti anni, quando, ormai in pensione, potrà dire di aver compreso il lato oscuro della sua terra di adozione.
Splendida reinterpretazione di Rember a day, brano scritto da Richard Wright nei primi – non primissimi – Floyd, anno ’68, quando Barrett stava completando il suo volo. I Saucerful of Secrets di Nick Mason hanno fatto un lavoro stupendo…
Roberto Guerra mi ha posto delle domande, poche, nervose, a vasto spettro. Le trovate, con le mie risposte, su Futurismo2000.
D- Sandro, postvirus la fantascienza come secondo te dovrà evolversi?
R- Una continua ricerca verso l’inumano, i limiti dell’antropocentrismo sono noti da tempo immemore e la sfida più grande ora è comprendere che in questo mondo circoscritto alle nostre dimensioni non esiste libertà, né capacità di andare davvero oltre la cognizione umana. Abbiamo vita su Venere? La abbiamo su Marte? Benissimo, ma cosa succede nelle vibrazioni energetiche dello spazio siderale? Siamo ospiti appena graditi, se usciamo dalla nostra tana moriamo come topi in trappola…
Il terzo estratto dalla mia silloge poetica Il sentiero dello sciamano. L’opera è edita da KippleOfficinaLibraria in ebook e cartaceo. I testi che compongono questa raccolta diventano un caleidoscopio che non va compreso, non va scomposto perché ogni frammento ha in sé un universale che rimanda ad altro e viceversa, continuamente.
Schegge di ossidiana – Fiabe dall’Impero Connettivo è un progetto di musicalizzazione dell’Impero Connettivo, uno Stato a metà strada tra il weird e la SF che, come l’Impero Romano, si espande sullo spazio, ma anche sul tempo. A capo dell’ecumene di postumani c’è un imperatore nephilim, la moneta corrente è l’informazione. L’album presente su BandCamp […] […]
Un’altra poesia della silloge poetica Il sentiero dello sciamano, libro che ho dedicato al mondo mistico vicino alle entità disincarnate, che non è mediato da alcun ordine gerarchico politico. L’opera è edita da KippleOfficinaLibraria in ebook e cartaceo e, come spiegato nell’introduzione… …i testi che compongono questa raccolta diventano un caleidoscopio ch […]
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.
“Siamo l’esperimento di controllo, il pianeta cui nessuno si è interessato, il luogo dove nessuno è mai intervenuto. Un mondo di calibratura decaduto. (…) La Terra è un argomento di lezione per gli apprendisti dei.” Carl Sagan
“Quando siamo calmi e pieni di saggezza, ci accorgiamo che solo le cose nobili e grandi hanno un’esistenza assoluta e duratura, mentre le piccole paure e i piccoli pensieri sono solo l’ombra della realtà.” (H. D. Thoreau)