Su ImperoBizantino un’interessante comparazione tra Roma e Bisanzio, sulle affinità più che divergenze tra la prima parte storica e la successiva, che hanno donato allo Stato romano un arco di tempo dominante di più di duemila anni, finito da appena cinque secoli. Un corposo estratto:
Roma e Bisanzio: due città, due realtà, due mondi ritenuti per troppo tempo dissimili, inconciliabili, quasi fossero alieni e non già nati e animati da un unico spirito, un’unica matrice, in altre parole l’idea di Impero, entità capace di raccogliere e riunire miriadi di genti diversissime tra loro per razza, cultura e religione.
Per secoli l’Impero Orientale è stato considerato con sufficienza, tanto da meritarsi l’epiteto “bizantino”, quasi con intento denigratorio, rispetto alla denominazione effettiva, ossia quella di Romano d’Oriente. I suoi abitanti, infatti, si chiamavano Romei, o Rhomaioi, e questo sta a testimoniare la continuità della tradizione, rispetto agli indegni epigoni franco-germanici. Cos’ha infatti l’impero di Carlo o di Ottone per dirsi “Romano”? Poco, per non dire nulla. E quello “Bizantino”? Molto, per non dire tutto.
Certo, differenze ve ne furono, ed alcune sostanziali, ma esse non giustificano minimamente il ghetto in cui la realtà bizantina è stata relegata in passato. Definita come una sorta di Gezabele corrotta e sanguinaria, colpevole di aver tradito gli antichi ideali del mondo greco-romano, essa rappresenta invece la rivalsa e la sopravvivenza di Roma nel mondo medievale.
È curioso osservare le affinità di ambedue le città sin dalla loro genesi: entrambe hanno un fondatore eponimo (Romolo e Byzas) dai connotati mitico- leggendari, entrambe sorgono su sette colli ed entrambe occupano una locazione strategica assai notevole. Roma, infatti, è punto d’incontro tra il mondo Etrusco a nord e quello Greco a sud, e si giova di un clima favorevolissimo; Bisanzio è sul Bosforo, chiave per i traffici nel Mar Nero sino alle steppe ucraine, vero granaio europeo. Non a caso sarà lungamente contesa dalle potenze via via egemoni nel corso delle guerre fratricide greche: si può ben dire allora che chi tiene il Bosforo domina l’Egeo, e chi tiene Bisanzio domina il Bosforo. Tali caratteristiche non devono essere considerate oziose o frivole, se si pensa che furono i motivi che animarono Costantino I nella scelta della nuova capitale, giunta alla luce il fatidico giorno del 11 maggio dell’anno 330. Egli agì spinto da presagi e superstizioni (uno su tutti: la costa orientale del Bosforo rammentava troppo il fato funesto di Ilio) ma anche da uno spirito ben più pragmatico : dalla Tracia infatti l’Imperatore riusciva a raggiungere agevolmente le frontiere sarmatiche e persiane, da troppo tempo fonte di gravosi problemi per l’Impero. Da allora in poi la storia futura di Bisanzio si muoverà sui solchi già tracciati da Roma, cercando di emularne la grandezza e la fama. Se i confini geografici di Bisanzio muteranno di volta in volta, quelli ideali saranno sempre rivendicati.Sulla scia della tradizione si colloca sempre la concezione della massima Autorità politica e simbolo stesso dell’impero: l’Imperatore.
Una miope accusa sosterrà che il Princeps Romano, un primo tra pari, fu sostituito dal Basileus-Dominus, Isapostolo, irraggiungibile ed inavvicinabile. Invece occorre porre l’accento sul carattere di “magistratura”del titolo imperiale. Chi a Bisanzio accede al trono deve ricevere la triplice acclamazione elettiva -esercito-senato-popolo- prima dell’incoronazione a Santa Sofia, e ciò ha una chiara matrice nel mondo istituzionale romano. E molti imperatori videro nel proprio governo una sorta di “mandato morale” nei confronti del proprio popolo piuttosto che un’investitura divina. Un’altra riprova è data dalla regola della successione del potere : sia a Roma sia a Bisanzio vi furono dinastie, ma il principio della continuità dinastica non era mai automatico o scontato. E osservando la celeberrima (ed intricatissima!) dinastia Giulio-Claudia noteremo come molti elementi non avevano in realtà nessun vincolo di sangue con il precedente (Tiberio ed Augusto ad esempio). Va altresì detto che in circostanze straordinarie, quasi sempre in tempo di crisi si invocava come salvatore un erede di una dinastia gloriosa; pensiamo alla metà dell’XI sec. con gli ultimi Macedoni o alla decisione di inviare Giuliano in Gallia perché cugino dell’Imperatore.
L’aura di sacralità che pervadeva l’Imperatore quindi non abbagliò mai la mentalità romano-bizantina a differenza del mondo persiano-arabo. L’Imperatore rimaneva sempre e comunque un uomo, e come tale poteva essere rovesciato. E’ molto indicativo a tal proposito notare che se a Bisanzio in 1058 anni di storia su 107 imperatori solo 37 morirono di morte naturale e una mezza dozzina in guerra. A Roma era lo stesso, nell’età aurea del principato- 126 anni per l’esattezza 11 imperatori su 14 morirono ammazzati (I. Montanelli). A ragione Momsen parla quindi di ” autarchia temprata dal diritto di regicidio”. E si intravede un inaspettato lato “democratico” del potere imperiale, visto che chiunque o quasi può accedervi. Se non si contano i tentativi di insurrezione militare, è paradigmatica la vicenda di Basilio, fondatore della dinastia Macedone. Egli non era neppure nell’esercito, era un contadino ignorante che grazie alle sue sole forze riuscì ad indossare la porpora imperiale. Un evento del genere sarebbe del tutto inconcepibile in un qualsiasi altro regno occidentale dal medioevo in poi…Per concludere degnamente non resta che ricordare come i due imperi risaltino ai nostri occhi per longevità, e che, anche dopo la loro caduta, continuino ad esportare il loro modello. La morte eroica di Costantino XI, per tragica ironia omonimo di Costantino il Grande come Romolo Augustolo, che si lancia contro schiere soverchianti di nemici, con indosso la porpora imperiale dei suoi avi è un degno epitaffio a più di due millenni di storia e gloria.
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