Su CarmillaOnLine considerazioni ispirate da varie pubblicazioni uscite in libreria in questo frangente storico dove si ragiona sulle implicazioni pandemiche, e di ciò che porterà a un nuovo stato sociale. Di Gianfranco Marelli.
A stemperare una visione dicotomica del futuro, in cui si contrappongono gli scenari positivi di un nuovo e più inclusivo welfare alla cupa e nefasta prospettiva di un warfare per la sopravvivenza degli “immuni”, ci pensa Donatella Di Cesare che, nel prendere come punto di riferimento la Peste Nera del 1438, suggerisce una riflessione più composta ed equilibrata della pandemia in corso. Ma perché risalire così indietro nel tempo? Perché – argomenta la filosofa – «anche quella terribile epidemia segnò un prima e un poi nella storia. Dai racconti e dalle cronache rimasti trapela la sensazione dei superstiti di essere entrati in un’altra epoca. Il cielo si era chiuso su quella passata. Chi era stato risparmiato dall’apocalisse di una morte nauseabonda e crudele, che aveva mietuto milioni di vittime, un terzo della popolazione europea, si aggrappò alla vita con uno slancio inusitato, un impeto febbrile. Da quella prima epidemia cittadina nacque il mondo civile del Rinascimento. Il nuovo inizio diede il via, però, al contagio dell’arricchimento».
“L’arricchimento” fu così contagioso da trasformare la visione del mondo e il modo d’intendere la vita, al punto che la conquista del benessere divenne il mito della modernità e rappresentò il grande sogno europeo – poi occidentale – della globalizzazione, continuando a prosperare finché il profitto si è rivelato non solo il sigillo dell’ingiustizia, la garanzia della povertà dei più, ma soprattutto la causa del degrado ambientale. «Non deve allora stupire che il termine “crescita” – rimarca Donatella Di Cesare – abbia ormai connotati negativi e, più che al prodotto interno lordo, rinvii a tutto quel che si dovrebbe evitare: crescita di guadagni illeciti, di rifiuti e scorie, di malessere e avvelenamento, di abusi e discriminazioni. Questo non vuol dire caldeggiare e promuovere una decrescita. Forse sarebbe tempo di abbandonare il linguaggio di bilanci e calcoli, deponendo la bandiera della crescita in cui nessuno sembra più credere. È il capitale a produrre la miseria. In uno scenario dove le altre ricchezze sono svuotate di senso si staglia il futuro di una sobrietà conviviale, scevra del superfluo, che porti alla luce i legami altrimenti dimenticati dell’esistenza». In questa prospettiva, la Peste Nera potrebbe divenire monito e presagio della memoria europea al fine di «insegnare che è pur sempre possibile riarticolare le forme di vita, che è necessario chiedersi per cosa vivere in futuro, che è indispensabile guardare a quei confini ultimi che abbiamo disimparato a sognare».
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