Su Ondmusicale l’anniversario – il 41esimo – di The Wall, uno dei capolavori dei Pink Floyd, uscito proprio il 30 novembre ’79; nell’articolo alcune condivisibili considerazioni sull’opera.
Pink è Waters, ed è un po’ anche Syd Barrett. Oggi sappiamo che dopo The Wall l’ombra di Syd avrebbe smesso di tormentare i Floyd: ed è forse una delle ragioni per cui, dopo The Wall appunto, non c’è un solo disco dei Pink Floyd al livello dei precedenti. Nel doppio del ’79 Waters riunisce i fili della sua carriera e della sua vita (ricordiamoci che allora aveva36 anni, e i Pink Floyd non erano un gruppo musealizzato, come oggi). E, prendendo a pretesto la storia di un rocker depresso, sembra perfino volersi chiedere cosa il movimento della fine degli anni ’60 abbia portato alla generazione che l’ha vissuto, e alle successive, per far sì che i muri possano essere abbattuti e “i vermi che sono nella nostra testa“, come dice in Hey you, possano essere annientati.
Lo fa con un album dalle molte chiavi di lettura esistenziali e politiche. Del resto, i “vermi” di “Hey you“ sono i nazi-fascisti.“Hey tu! Là fuori al freddo, sei solo, stai invecchiando, riesci a sentirmi?
Hey tu! Che stai nel passaggio, con i piedi stanchi e un sorriso che svanisce, riesci a sentirmi?
Hey tu, non aiutarli a sotterrare la luce. Non arrenderti senza lottare.”Quando, solo ai piedi del suo muro, Pink permette ai vermi di entrare nella sua testa, e sogna di incitare il suo pubblico all’odio razziale, trasformandosi in un dittatore (“In the Flesh – parte 2”), emerge uno dei temi autobiografici più importanti di The Wall, che assillava Roger Waters proprio in quel periodo: il rapporto col pubblico.
I Pink Floyd avevano chiuso gli anni ’60 come una band underground. Tempo un lustro, e attraversata l’eccezionale fase psichedelica – A Saucerful of secrets, Ummagamma, Atom Heart Mother – viravano verso il rock più tradizionale di “The Dark Side of the Moon” (mediatore: Meedle). Nel frattempo erano diventati un gruppo da stadio. Magari un po’ anomalo, perché a nessuno importava troppo che faccia avessero, li si amava specialmente per la musica. Ma pur sempre un gruppo da stadio.
Questa cosa, più che al chitarrista-ingegnere del suono Gilmour, creava problemi a Waters, che provava disgusto per i concerti “spersonalizzanti” e stressanti negli stadi: “Comfortably Numb” per esempio (uno dei pochi brani di The Wall di cui David Gilmour scrisse la musica) è un dialogo fra Pink-Waters e il dottore che gli ha somministrato un farmaco grazie al quale può esibirsi come un rocker “efficiente” ma abulico.L’album leggendario è “nato da uno sputo?“
Nel tour di Animals, un Waters “ai ferri corti” con il suo pubblico durante un concerto a Montreal sputò in faccia a un fan. Lo si racconta spesso, è anche nell’ultimo libro del batterista Nick Mason (leggi l’articolo), ed è storia nota per gli appassionati dei Floyd: si vuole che proprio quest’episodio – da cui Waters per primo fu molto turbato, non potendo spiegarsi come gli venne di farlo – innescò in lui un bisogno di autoanalisi che in definitiva fece nascere l’album.
Waters sentiva una “barriera” tra sé e il pubblico, e tutto questo sarà tematizzato, visivamente, nel tour del 1980 di The Wall, quando durante il concerto viene pian piano “eretto” un muro poi “demolito” alla fine dello show. E credeva che la massificazione giovanile alimentata anche dal rock (guidato dall’industria) potesse favorire il pensiero passivo e acritico in cui attecchisce il totalitarismo.
Quanti muri ancora dividono il mondo? In un’intervista a Repubblica Roger Waters rispondeva così:“Tanti. Il muro tra il nord e il sud del pianeta. Tra i ricchi e i poveri. Tra chi perseguita e chi soffre. E anche tra chi ha le chiavi del progresso, dell’informazione, e chi è condannato a vivere nell’ignoranza, nel buio. Non so come o quando li abbatteremo, ma almeno proviamoci, anche solo con una canzone se necessario.”
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