Su Tribunus un bel po’ di più un cenno storico sulle consuetudini matrimoniali della Roma antica. Un breve stralcio:
Nella Roma antica, il matrimonio era qualcosa di molto diverso rispetto a quello del nostro mondo contemporaneo. Non si trattava infatti di un’espressione d’amore, quanto piuttosto di una sorta di contratto stipulato tra due individui o, per meglio dire, tra due famiglie.
Il termine matrimonium deriva da mater (“madre”) e munus (“dovere”), quindi “dovere della madre”. La donna abbandonava la propria famiglia ed entrava in quella del consorte, perdendo tutti i legami civili che la tenevano legata ai suoi antenati, alla sua gens, ai culti domestici. A livello giuridico, la donna entrava nella sua nuova famiglia non col grado di moglie, ma come “figlia”.
Giuridicamente era infatti considerata inferiore al marito, allo stesso livello dei figli che lei stessa avrebbe generato o di quelli che il marito già aveva. Tanto che da questi ultimi sarebbe stata considerata alla stregua di una “sorella”. Inoltre, il matrimonio romano era contraddistinto da una serie di rituali, e non esisteva nemmeno una sola tipologia di matrimonio. Tutto ciò che ruota intorno al matrimonio nella Roma antica era, insomma, un mondo a sé.
I matrimoni nel mondo romano si potevano dividere in due grandi categorie: il matrimonio cum manu e il matrimonio sine manu.
Nel matrimonio cum manu (letteralmente “con manus”, il potere del pater familias), il marito aveva un potere e un controllo assoluti sulla vita della moglie, tanto da avere persino il diritto di ucciderla in caso di adulterio, o anche se la avesse solo sorpresa a giocare con le bambole (simboli dell’infanzia) o a bere vino, in osservanza dello ius osculi (una forma di controllo per la quale il marito poteva verificare se la moglie avesse bevuto vino…attraverso un osculum appunto, ovvero un bacio piuttosto formale).
Tre erano le forme di matrimonio cum manu: la confarreatio, la coemptio, e l’usus.
La confarreatio era la forma di matrimonio più antica e solenne. Si faceva risalire addirittura al tempo di Romolo.
Era praticata soprattutto nell’ambiente aristocratico. Il termine deriva da cum farreo, ovvero “col farro”: nel momento cruciale della cerimonia, i due coniugi prendevano un boccone da una focaccina di farro, sacrificando la restante parte su un braciere, in onore a Giove. In quel preciso istante, la donna si assoggettava al marito.
Se i due sposi appartenevano a famiglie molto in vista, il matrimonio poteva avvenire non solo in presenza di alti sacerdoti, ma anche di fronte alla Curia (ovvero ai membri del Senato) o addirittura davanti all’imperatore stesso, in veste di pontefice massimo.
La coemptio era la forma di matrimonio cum manu usata dai plebei. Come indica il nome (cum emptio, “con acquisto”), si trattava di un matrimonio per acquisto a tutti gli effetti. Durante la cerimonia, avveniva una specie di vendita simbolica della sposa, con tanto di bilancia. Si trattava della rivisitazione di una forma antichissima di compravendita (mancipatio), nella quale sulla bilancia si poneva la somma necessaria ad acquistare un oggetto. Davanti a cinque testimoni, lo sposo si metteva di fronte al pesatore, che reggeva la bilancia, e pronunciava la frase: “Io dico che questa mater familias è mia per diritto dei Quiriti e mi sia comprata con questo bronzo e con questa bronzea bilancia”. Dopo, percuoteva la bilancia con un pezzo di bronzo grezzo, che consegnava poi alla donna stessa. Così, aveva comprato la donna.
Infine l’usus, il tipo più informale di matrimonio cum manu, era il matrimonio per mutuo consenso e con prove di una convivenza estesa. Veniva così chiamato poiché si trattava di un matrimonio “per usucapione”.
Se la donna conviveva con un uomo per un intero anno, automaticamente questi acquisiva la mano della donna e le sue proprietà. Questo anno di tempo dava del tempo sufficiente per constatare la fertilità della donna – e, in caso di infertilità, di lasciarla. Perché il matrimonio non avvenisse automaticamente, e impedendo anche l’acquisizione della manus da parte dell’uomo, esisteva una via di fuga. Sarebbe bastato, infatti, che la donna si allontanasse per tre notti consecutive dalla casa dell’uomo (trinoctium usurpatio, o semplicemente trinoctium).Nessuno dei tipi di matrimonio cum manu sopravvisse oltre l’epoca dell’imperatore Tiberio.
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