Su Tribunus un post che indaga la sessualità nell’antica Roma; vi lascio ad alcuni interessanti stralci:
Da varie rappresentazioni (es. affreschi, lucerne, etc.) si possono riscontrare alcune delle preferenze dei Romani durante l’amplesso, sia per quanto riguarda le posizioni che per altri dettagli. Per esempio: la donna, solitamente, non scioglieva i capelli durante l’atto, ma era anzi considerato molto più sensuale che mostrasse la nuca e raccogliesse i capelli sopra la testa. Inoltre, le donne pare che spesso non togliessero il reggiseno (strophium): questo forse perché il seno non era considerato un “oggetto di desiderio”, oppure perché lo strophium potrebbe aver avuto lo stesso valore della nostra lingerie.
Le donne, infine, non son quasi mai del tutto nude: indossano spesso gioielli, bracciali, cavigliere. Tra le pratiche sessuali più particolari, inoltre, c’era quella di porre specchi per potersi vedere, mentre si faceva sesso. Ovviamente, essendo degli oggetti molto costosi, specie quelli in vetro, questa pratica era diffusa solo nei ceti più abbienti.
I Romani chiamavano la stanza con gli specchi “speculatum cubiculum“. Vi son molti famosi personaggi amanti di questa pratica, tra cui il poeta Orazio.Anche l’osservazione dell’atto sessuale era spesso considerata eccitante. In latino, si indicava col termine “lascivus” colui che si eccitava nel guardare due persone intente nell’atto sessuale.
I luoghi più adattati per cimentarsi in questa pratica erano ovviamente i lupanari (ovvero, i bordelli), poiché le stanze di questi luoghi erano solo nascoste da delle tende, e le pareti avevano delle piccole aperture. Anche alle terme era possibile spiare corpi nudi maschili o femminili, ma giochi di più raffinato erotismo avvenivano nelle case private. I più ricchi, infatti, possedevano dozzine di schiavi, ed uno di questi era detto cubicularius. Questo fidatissimo schiavo dormiva per terra, davanti all’uscio della camera da letto dei padroni, e doveva assisterli in tutto, anche durante i rapporti sessuali (versando da bere, o portando una lucerna). Questo è visibile anche in molti affreschi pompeiani.Visto il ruolo attivo e la valenza dell’atto sessuale per l’uomo, le donne dovevano spesso far i conti con l’irruenza degli uomini, e in qualche modo evitarli, senza dover dir sempre di “no!”.
La donna doveva farsi desiderare, per far crescere il desiderio nell’uomo, e creargli l’aspettativa di esser sul punto di riuscire a conquistarla, per poi rinviare questa certezza. Tra le numerose scuse usate tra il gentil sesso per rimandare anche all’ultimo momento un incontro amoroso, o una focosa notte di passione, ce n’è una intramontabile, in voga ancora oggi: il mal di testa!
Un’altra scusa molta usata era quella dei divieti e dei giorni di astinenza sessuale imposti dalla venerazione della Dea Iside, il cui culto era infatti molto seguito dal gentil sesso. Nessun uomo romano era a conoscenza con precisione di quali fossero queste giornate, e così erano facilmente tratti in inganno. Ma le donne romane sapevano che non bisognava negarsi troppo a un uomo, o questo avrebbe poi perso l’interesse nei loro confronti.
Lo stesso poeta Ovidio scriveva: “Negati molte notti, fingi un dolore di testa, un’altra volta Iside ti fornirà pretesti. Poi ricevilo, affinché non contragga l’abitudine di sopportare e non venga meno un amore troppo spesso rifiutato.”
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