Su Tribunus alcune nozioni sulla scaramanzia degli antichi Romani, soprattutto legate al fallo – e qui si capisce perché in Italia, ma non solo, tale allegoria ha un tuttora devastante impatto sociale. Un estratto:
l fallo, per i Romani, era portatore di vita ed allontanava spiriti maligni e le cattiverie della gente. Nelle città enormi falli erano eretti o raffigurati sulle pareti delle vie o sulle strade lastricate, specie in punti di pericolo (ad esempio un incrocio), oppure erano posti all’ingresso delle case (tintinnabula) da far risuonare al momento dell’ingresso nell’abitazione.
Spesso, chi possedeva un’attività commerciale ne metteva uno ben in vista per allontanare le invidie della gente.La fertilità maschile, quindi, era vista come la miglior arma contro gli spiriti maligni. I Romani chiamavano l’organo sessuale maschile fas (da cui la parole “fascino”) o, in maniera molto più volgare, mentula. I Romani erano convinti che il pene eretto, portatore di vita e fertilità, non solo funzionasse come protezione, ma anche come talismano per la prosperità: molti (non solo uomini, ma anche bambini e donne, e poteva essere posto anche sui cavalli) portavano amuleti a forma di piccoli peni eretti – generalmente di bronzo, ma anche d’oro, argento, corallo, osso – appesi a dei braccialetti, o più di rado al collo.
Questi amuleti prendevano il nome di fascinum. Quando ci si trovava in situazioni di pericolo o di sventura, li si toccava per scaramanzia.Tra i legionari, inoltre, era molto diffuso un ciondolo con un doppio simbolo: un pene eretto unito alla base ad un braccio, che terminava col cosiddetto manus fica, cioè un pugno chiuso col pollice che s’infilava tra l’indice ed il medio, a simboleggiare la penetrazione. Il nome del gesto, traducibile come “il segno o il potere del fico”, ha dato origine a uno dei modi popolari odierni per indicare l’organo riproduttivo femminile: i Romani infatti ritenevano che assomigliasse a un fico dischiuso.
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