Su Tribunus la profilatura della figura imperiale romana nella tarda antichità e nel Medioevo, con le sue differenziazioni tra potere dell’imperio e una sempre più presente dell’investitura divina che, col passare dei secoli, rappresentò formalmente e ideologicamente la posizione dell’imperatore. Un estratto:
Dal III secolo d.C., nell’impero romano si assiste a un progressivo irrigidimento dei costumi e del cerimoniale della corte imperiale. Il sovrano, prima considerato almeno formalmente un primus inter pares, ora assumeva sempre più i caratteri di un monarca assoluto. Ciò era lampante nella sostituzione della salutatio con l’adoratio (o proskynesis), ovvero l’inchino, la prosternazione fisica di fronte all’imperatore.
L’imperatore venne assimilato sempre più a figure divine. Ciò conferiva un’impronta teocratica al suo potere e delineava un’immagine semi-divina dell’imperatore; basti pensare a Diocleziano e Massimiano, i primi due tetrarchi.
Il primo si pose sotto la protezione di Giove Ottimo Massimo, prendendo per se stesso il titolo di Iovius, mentre Massimiano fu posto sotto la protezione di Ercole, con il titolo di Herculius. I due imperatori non erano ovviamente figure divine, ma iniziavano a elevarsi molto al di sopra della normale condizione umana – un processo che continuerà e sarà esasperato nei secoli successivi.
L’imperatore verrà designato con termini quali sacer o divus, a sottolineare la sua natura semi-divina e il suo distacco dal resto della popolazione.
L’imperatore era definito in vari modi tanto in latino (imperator, caesar, augustus, caesar augustus) quanto in greco (basileus, sebastos, autokrator, kaisar), giàda ben prima della tarda antichità. Dal VII secolo, col progressivo abbandono della lingua latina a corte, si impose il solo basileus come denominazione ufficiale. Il titolo di augustus tuttavia rimase, anche se solo nelle monete, almeno fino al X secolo.
Il modello che i Romani imitarono era quello ben conosciuto dei grandi regni orientali, nei quali spesso la figura del re incarnava in sé anche quella dello Stato. Data la progressiva importanza che assunse la religione cristiana, questo modello prese dei connotati particolari.
Alla figura dell’Imperatore-Dio o semi-dio, si sostituì quella più accettabile del sovrano investito da Dio. Ne conseguì una sorta di religione imperiale, alla quale si accompagnava la manifestazione del culto e una vera e propria liturgia. La religione, inoltre, venne sfruttata e utilizzata anche a scopo politico, al fine di magnificare sé stessa e le prerogative imperiali.
L’imperatore non poteva più esser divinizzato (anche se la sua effige era portata in processione assieme alle icone dei santi), ma l’alone mistico-sacrale rimase comunque nella figura del sovrano eletto da Dio e oggetto della sua grazia.
Un teorico d’età giustinianea affermava: “La potestà imperiale è data da Dio e presentata agli uomini”.
Ogni forma di potere, quindi, discendeva da Dio. Questo legame tra la figura del sovrano e il divino era talmente forte da far considerare l’imperatore come un tramite tra l’umanità e l’universo divino. La sua autorità era tale che solo lui era in grado d’interpretare la parola di Dio. La sua volontà era definita “divina disposizione”.
Aveva inoltre il compito di proteggere l’impero laddove la religione cristiana veniva professata in maniera corretta.
Su FantasyMagazine la segnalazione di Bothon, racconto uscito per la collana InnsMouth dedicata al weird, edita da DelosDigital, in cui Henry S. Whitehead e HP Lovecraft raccontano oscenità oscure in cui il Vudù ha le sue ascendenze. La quarta:
Le sillabe trascritte da Meredith non trovavano alcuna corrispondenza in nessuna lingua conosciuta, fosse essa antica o moderna. Non erano neppure giapponese. Una volta usciti i professori, Meredith e lo psichiatra si rimisero nuovamente a esaminare gli appunti. Meredith aveva scritto: “I, I, I, I;-R’ly-eh!-Ieh nya, -Ieh nya; -zoh, zoh-an-nuh!” Soltanto un gruppo di termini sembrava formare parte di un discorso continuo o una frase, fra quelli che Meredith era stato in grado di trascrivere: “Ióth, Ióth,—natcal-o, do yan kho thútthut.”
In appendice la lettera in cui Lovecraft parla della collaborazione al racconto.
Su Tribunus alcuni cenni storici sulle cerimonie d’investitura dei tardo imperatori romani e di quelli cosiddetti bizantini, cerimoniale che parte da basi barbare per sfociare in vere e proprie consacrazioni religiose. Un estratto:
Qualunque fosse il modo in cui otteneva il potere, nel periodo tardo antico e altomedievale il nuovo imperatore veniva proclamato con una solenne cerimonia. L’investitura imperiale attingeva dalla tradizione romana, ma si arricchì nel corso del tempo con l’introduzione di nuovi elementi.
Se in un primo momento conservava pienamente l’aspetto e il carattere militare, a partire dal VII secolo prevalse sempre più l’aspetto religioso.
Nel V e nel VI secolo esistevano due diverse procedure di proclamazione. Se il predecessore era ancora in vita, la cerimonia era molto semplificata e si limitava ad alcuni e pochi atti essenziali.
Nel caso contrario, la proclamazione si articolava in tre passaggi: il rito militare, l’incoronazione e la presentazione ai sudditi.
Il rito militare consisteva nella sollevazione del nuovo sovrano sullo scudo, usanza d’origine germanica, e nella consegna del maniakis, meglio noto come torques, una decorazione portata al collo dai soldati, ma che qui veniva posta sul capo dell’imperatore da un sottufficiale istruttore.
In termini simbolici, il rituale significava la delega dell’autorità di comando all’imperatore, in cui l’esercito riconosceva il proprio comandante. Questo uso è attestato per la prima volta per la proclamazione di Giuliano ad Augusto da parte delle sue truppe nel 363.
Alla sollevazione sullo scudo si accompagnava poi la consegna delle insegne del potere, tra cui la corona, da parte di un alto funzionario. La sollevazione sullo scudo prese man mano l’essenzialità delle origini come rito di legittimazione da parte dell’esercito, ma si conservò come formalità tradizionale, tanto che si trova ancora nel XIV secolo.
In quest’epoca così tarda lo scudo non era sollevato più dai soldati, ma dall’imperatore anziano che aveva associato al trono un collega, oppure dal patriarca, o ancora dai dignitari di corte.
Su SherlockMagazine la segnalazione del racconto Sherlock Holmes e il volto oscuro di Londra, di Davide Del Monaco, apocrifo uscito per DelosDigital che percorre la già collaudata via della contaminazione del mondo holmesiano con il pantheon lovecraftiano. La quarta:
Dicembre 1902. Una lettera giunge al 221b di baker street, il mittente chiede l’aiuto di Sherlock Holmes per risolvere il caso della scomparsa della giovane erede della famiglia Bennet. Quello che Holmes e Watson non sanno però è che dietro la scomparsa della giovane si muovono forze potenti e spaventose che metteranno alla prova la psiche di Watson e l’ingegno e la razionalità del famoso detective. I due dovranno affrontare gli orrori provenienti dall’animo umano e da un famigerato libro: il “Necronomicon”.
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"L'unico uccello che osa beccare un'aquila è il corvo. Si siede sulla schiena e ne morde il collo. Tuttavia l'aquila non risponde, nè lotta con il corvo, non spreca tempo nè energia. Semplicemente apre le sue ali e inizia ad alzarsi piu'in alto nei cieli. Piu' alto è il volo, piu' è difficile respirare per il corvo che cade per mancanza di ossigeno".
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.
“Siamo l’esperimento di controllo, il pianeta cui nessuno si è interessato, il luogo dove nessuno è mai intervenuto. Un mondo di calibratura decaduto. (…) La Terra è un argomento di lezione per gli apprendisti dei.” Carl Sagan