Su PulpLibri un profondo excursus letterario di Cesare Buttaboni sulla carriera di Algernon Blackwood, scrittore weird tra i più quotati di sempre nell’ambito del genere – a mio avviso, come lui ci sono pochi altri autori, tutti conteggiabili sulle dita di una mano. Un estratto:
Algernon Blackwood è sicuramente un innovatore del genere del weird-tale: Lovecraft trasse grande ispirazione dal maestro inglese, in particolare dalla concezione “dell’indifferenza” e “dell’ostilità delle forze soprannaturali nei confronti dell’uomo”. La sua produzione migliore si situa fra il 1906 e il 1917. Blackwood era un maestro nel creare atmosfere e per questo era stimato, come detto, da H.P. Lovecraft che lo considerava, nei momenti più intensi, come il più grande scrittore weird. Nel suo celebre L’orrore soprannaturale in letteratura (Supernatural Horror in Literature), saggio che, a suo modo, ha fatto scuola, egli dedica uno studio approfondito ad Algernon Blackwood e arriva a definire “I salici” il miglior racconto nella storia della letteratura del soprannaturale. Peccato che la stima non fosse ricambiata: come riferisce Peter Penzoldt – autore di The Supernatural In Fiction, un importante saggio sul soprannaturale inedito in Italia in cui gli viene dedicato grande spazio –, Blackwood conosceva bene l’opera di Lovecraft ma non ne era molto entusiasta, in quanto a suo avviso negli scritti del solitario di Providence mancavano le qualità di genuino “spiritual terror” che caratterizzavano invece la propria opera. Fruttero e Lucentini, nella classica antologia Storie di fantasmi, pubblicata da Einaudi nel 1960, scrissero invece, presentando il suo racconto “The Empty House”, che Blackwood “era disperatamente invecchiato”. Giudizio forse ingeneroso, anche considerando che in Italia conosciamo solo in parte la sua opera. Tra l’altro, da noi è ancora inedito il fondamentale romanzo The Centaur (1911).
In effetti il giudizio di Fruttero e Lucentini trova qualche riscontro se ci limitiamo alle storie di fantasmi contenute nel suo primo libro pubblicato nel 1906, The Empty House And Other Ghost Stories e a parte della produzione successiva. Ma Blackwood al suo meglio, come nel racconto “I salici” (“The Willows”, 1907), capolavoro incentrato sulla citata tematica “dell’indifferenza” e “dell’ostilità delle forze soprannaturali nei confronti dell’uomo”, è uno scrittore del fantastico di razza. La storia narra di due incauti viaggiatori che si trovano sperduti su un’ostile e desolata isola danubiana, dove sono costretti a fronteggiare manifestazioni terrificanti di entità aliene ostili e incomprensibili. L’oscura e agghiacciante minaccia di queste presenze provenienti da un altrove cosmico sembrano essere estranee e indifferenti alle comuni concezioni antropocentriche. Le fantomatiche entità non si palesano mai materialmente, ma lasciano alcune tracce della loro presenza come dei buchi nella sabbia e inoltre fanno sparire loro le provviste. Un altro classico di Blackwood è il racconto “Il Wendigo” (“The Wendigo”, 1910) che sicuramente deve qualcosa al suo soggiorno in Canada, dove rimase impressionato dalla vastità e dalla desolazione della natura, al cui cospetto l’uomo è un essere insignificante. La storia evoca appunto il Wendigo, una figura demoniaca dei nativi americani del Canada (che sarà sfruttata anche da August Derleth) che terrorizza un gruppo di persone accampate nelle foreste. Quello di Blackwood non è un terrore materiale ma spirituale, che evoca le forze oscure e inconoscibili della natura: in definitiva, è un horror di stampo panteistico. “Il Wendigo” venne pubblicato nell’antologia The Lost Valley and Other Stories (1910). La storia che dava il titolo all’antologia, ovvero “La valle perduta”, è stata recentemente ristampata dalla Dagon Press. Si tratta di una novella intensa, pregna di quel “terrore spirituale” che è forse una delle caratteristiche principali dello scrittore inglese: anche qui la natura incontaminata e selvaggia fa da sfondo a una cupa e inquietante vicenda ambientata nel Giura, nella Francia meridionale. I protagonisti sono due gemelli – Stephen e Mark – che vivono praticamente in simbiosi: ognuno è partecipe emotivamente della vita dell’altro. C’è forse qualcosa di morboso in questo rapporto che sembra solidissimo. I due viaggiano molto – proprio come Blackwood, che dai viaggi trasse ispirazione per i suoi racconti – e giungono infine nel Giura, isolandosi in uno chalet in mezzo alla natura incontaminata. Passano le giornate facendo escursioni e riportando scrupolosamente le loro impressioni. Qualcosa però all’improvviso s’incrina: una fantomatica ed esotica presenza femminile distrugge il loro equilibrio. La loro vita ne sarà sconvolta e i due verranno infine drammaticamente divisi.
Blackwood conferma di essere un artista dell’atmosfera perturbante: la descrizione della cosiddetta “valle perduta”, un non luogo in cui trovano riparo tutti gli spiriti invisi alle religioni tradizionali, è qualcosa che rimane impresso e non che non lascerà indifferenti gli amanti del weird. In appendice al volume c’è un interessante articolo dello stesso Blackwood intitolato “La psicologia dei luoghi”, molto attinente alla storia presentata, oltre a un’accurata bibliografia italiana comprensiva di illustrazioni di vecchie e storiche edizioni.Blackwood era inoltre un appassionato dell’Egitto e dei suoi luoghi misteriosi (anche Lovecraft sfruttò la tematica in Imprisoned With The Pharaos, scritto in collaborazione con Harry Houdini). Il romanzo breve Discesa in Egitto (A Descent into Egypt), in origine racchiuso nella raccolta Incredible Adventures pubblicata nel 1914 da Macmillan e apparso da non molto in Italia per le Edizioni Hypnos, è un buon esempio di questa sua vena. La storia narra le vicende di George Isley, un viaggiatore solitario che arriverà a trovare il lato oscuro della sua personalità nel mistico e magico universo del profondo Egitto. Accompagnato dall’egittologo Moleson troverà a Tebe il suo destino. Isley e il suo compagno sembrano aver cambiato personalità: è come se entità appartenenti a una dimensione al di là del tempo e dello spazio si siano impossessate di loro. La storia di George Isley ci viene narrata dal punto di vista di un suo amico che ha avuto modo di notare la sua metamorfosi. In Discesa in Egitto è l’atmosfera a caratterizzare la storia: grazie alle “magiche parole” dello scrittore inglese siamo in grado di rivivere i miti e i riti dell’Antico Egitto. Le immagini evocate dalla sua penna riportano alla luce i culti di Amon-Ra e di Anubi e ci parlano di una realtà trasfigurata in cui a dominare sono i Faraoni e i colossi di Memnone con tutto il loro carico di una storia millenaria, mitica e mitologica. È come fare una sorta di viaggio a ritroso nel tempo nei segreti dimenticati di una cultura leggendaria: l’effetto creato da Blackwood è ipnotico e fantasmagorico.
Non ho letto mai nulla di Blackwood, ora DEVO farlo. Thank you! 👍
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puoi cominciare da ovunque, ma se vuoi subito l’overdose “I salici” e il ciclo del “Dottor Silence”
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