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NeXT Hyper ObscureArchivio per aprile 12, 2021
Il gioco, di Sandro Battisti @ MilleLire – Stampa Alternativa
Mi sono accorto che incredibilmente mancava una pagina su questo blog, quella dedicata al mio primo racconto in assoluto, primo scritto e primo pubblicato: Il gioco, uscito per i canali quasi clandestini dei MilleLire di Stampa Alternativa, nel giugno 1993. Più di una vita fa, ormai, sfioriamo i trent’anni di storia che, ora, mi sembrano una serie di abissi da cui sono riemerso.
Per festeggiare questa nuova pagina rievoco – e anche qui sono incredibilmente passati ormai quasi otto anni – la recensione e la contestualizzazione che ne fece Giovanni De Matteo sul suo blog, da cui estraggo alcuni significativi passi. Non finirò mai di ringraziare Giovanni per queste intense note che ha scritto, oggi ancora più dense e significative.
Un uomo solo, nel silenzio dei suoi atti, mentre subisce la presenza tecnologica… Questa la stringata, essenziale presentazione da parte dell’editore (Stampa Alternativa) del volumetto che segna nel 1993 l’esordio ufficiale di Sandro Battisti, che 11 anni più tardi avrebbe dato un apporto determinante all’iniziazione del connettivismo, rivendicando di diritto un ruolo di primo piano nel panorama underground del fantastico italiano.
Il Gioco, a lungo creduto esaurito, vent’anni dopo si è materializzato a sorpresa sulla mia scrivania, meritandosi un posto di rilievo tra le strenne dell’ultimo Natale. Perché Sandro è prima di tutto un amico, che non ha mai fatto mancare sostegno e stimoli nell’arco di una più che decennale frequentazione, arricchita dalle forme più varie di collaborazione. E perché fin dalla sua opera prima ha intrecciato inconsapevolmente il suo percorso autoriale con il mio personale.Era il 10 giugno 1993 quando Sandro diede alle stampe questo racconto, a proposito del quale potremmo parlare – memori degli insegnamenti di J.G. Ballard – come di un romanzo condensato. Sono solo una ventina di pagine, ma condensano al loro interno un universo narrativo già solido e sfaccettato che avrebbe continuato a evolversi nella sensibilità post-cyberpunk del suo autore fino al cybergoth prima e poi a ciò che sarebbe stato il connettivismo, ovviamente nella declinazione specifica di Sandro, per travasarsi e alimentare tutta la sua produzione successiva. E quanta sinistra meraviglia e fascinazione tecnologica, quanto senso dell’oscurità e del dolore troviamo in quest’opera!
La Dea primordiale del ritmo – L’INDISCRETO
Su L’Indiscreto un lungo articolo che indaga le origini sciamaniche del ritmo musicale, la trance divina che mette in comunicazione gli strati più evanescenti della coscienza umana con le sfere irraggiungibili della sapienza, dell’illuminazione, della trascendenza. Alcuni estratti:
Nelle culture storiche più antiche del mondo mediterraneo le donne erano delle guide spirituali. Le sacerdotesse e le altre donne sacre suonavano il tamburo a cornice durante i rituali delle loro dee. Dai reperti iconografici che ho trovato nelle antiche sculture e pitture murarie, risulta chiaro che il collegamento tra i tamburi e il potere spirituale era già stabilito prima dell’invenzione del linguaggio scritto. Ho trovato simboli dipinti sulle pelli di antichi tamburi a cornice che risalgono fino ai periodi più antichi della storia umana. La ricerca sul significato e sulle origini del modo femminile di suonare il tamburo mi ha portato alla fine a studiare le popolazioni nomadi che abitavano l’Europa e l’Asia occidentale quasi quarantamila anni fa. Le informazioni su questo periodo lontano sono, nella migliore delle ipotesi, congetture basate su indizi oscuri raccolti attraverso prove archeologiche incomplete. Tuttavia, le nostre antenate e i nostri antenati paleolitici ci hanno lasciato degli spiragli di luce significativi per accedere al loro mondo.
Durante il Paleolitico Superiore, un lungo periodo di tempo che va dal 40000 al 10000 a.C., tribù nomadi vagavano per le regioni euroasiatiche andando alla ricerca di cibo, seguendo il ritmo della vegetazione, degli animali e delle stagioni. Il clima oscillava ancora a causa delle ricorrenti glaciazioni dell’ultima era glaciale. La sopravvivenza di queste tribù dipendeva dalla loro profonda conoscenza dell’ambiente circostante e delle forze che vi operavano.
Era un periodo di relativo tempo libero. Lo studioso William Irwin Thompson ha calcolato che i membri adulti delle economie storiche di caccia e raccolta impiegavano una media di quindici ore alla settimana a procacciarsi il cibo. Nel Paleolitico, le persone vivevano in piccoli gruppi che non gravavano sulla sostenibilità dell’ambiente, che forniva sostentamento per tutti.Il Paleolitico fu anche apparentemente un periodo di pace. Non esistono prove archeologiche certe di violenza organizzata e su larga scala; in nessuna forma artistica gli esseri umani sono dipinti in atteggiamento aggressivo o con armi. Evidentemente, l’umanità paleolitica non faceva la guerra.
Le popolazioni del Paleolitico sono tra le prime in assoluto ad aver creato opere d’arte. Queste opere, che includevano sculture, incisioni e pitture rupestri, sembrano essere state create non tanto per piacere estetico quanto per incarnare concetti religiosi o per trasmettere le informazioni e la saggezza accumulate. Nel mondo che precedette il linguaggio scritto, funzionavano come linguaggio visivo. Sono la più antica espressione sopravvissuta del pensiero astratto.
Intorno al 30000 a.C. comparvero in tutta Europa rappresentazioni di vulve scolpite nella roccia e dipinte con ocra rossa. Compaiono in rilievo sulle pareti delle grotte e come piccole sculture a dimensione di amuleto, spesso rese lisce dall’uso. Alcune sono state ritrovate nelle tombe. Queste immagini di vulve sono i più antichi esempi di arte rappresentativa.
Le vulve scolpite o incise variano in forme e dimensioni. Alcune sono ovali o rotonde, altre sono triangoli con la punta verso il basso. Alcune sono rappresentazioni realistiche, altre sono astratte. Un ciondolo in avorio di mammut proveniente da Dolni Vestonice, vicino all’attuale Brno, nella Repubblica Ceca, ha la forma di osso a forchetta, con una vulva incisa tra i suoi rebbi. A volte queste immagini si trovano da sole, ma spesso sono associate a immagini di una Dea Madre o ai suoi simboli, oppure sembrano rappresentare un aspetto della sua storia.
Sfasamenti moltiplicativi
Gli effetti duraturi del tuo divenire evanescente si adombrano di sfasature quantiche, sovrapposizioni di un reale che sa di indeterminazione, e di esistenza multipla.
Michael Lightborne – Ring Road Ring | Neural
[Letto su Neural]
Sono microfoni a contatto quelli utilizzati da Michael Lightborne, posizionati a ridosso dei piloni di cemento che sostengono la Coventry Ring Road, la mega-tangenziale della città natale di Delia Derbyshire. L’opera, costruita tra gli anni ’50 e ’70, è considerata oggigiorno un classico esempio di errata pianificazione urbana, una barriera che ha di fatto impedito l’espansione del centro, particolarmente odiata dai pedoni e che già dal 1988 ha suscitato interventi del Consiglio Comunale atti a ricreare i collegamenti tra il cuore del nucleo originario dell’insediamento e le aree limitrofe. Adesso il processo di smontaggio, mitigazione e riutilizzo della struttura è già pienamente in corso e Lightborne quasi a enfatizzarne l’esito ha immediatamente colto l’aspetto “malinconico” dei suoni della struttura, un monumento modernista che ricorda certe ambientazioni distopiche ballardiane. Se la prima traccia è un collage di registrazioni sul campo da tutto il Ring Road, quasi un catalogo delle sonorità disponibili, le successive sviluppano questi materiali audio in maniera ancora maggiormente poetica. “Fortran”, per esempio, è avvincente, inquietante e fonda, un lento risucchio nello spleen metropolitano più nebbioso e inquieto che si possa immaginare, così anche “Ring Road Reprise”, che dura poco più di due minuti, si staglia netta come un’immersione psichica nelle nevrosi di un automobilista in preda a disorientamento notturno. Il tema del trascinamento che si determina in una massa fluida è in qualche modo onnipresente e anche in “Moebius Loop” è il “gorgo” a farla da padrone, un intasamento che accerchia – e non solo metaforicamente – il corpo sociale della cittadina tutta. In “Gordian Knot” pure è esibito un drone continuo, a tratti metallico, che ribolle sommesso, una sequenza che in altri momenti potrebbe sembrare anche una pioggia. “Shepherd Tone” è invece come un accelerazione mancata, un grammelot, una lingua di fantasia meccanica per la quale l’intonazione e le cadenze tipiche sono comunque quelle di uno spazio liminare. Ultima traccia dell’album, che va ad arricchire il già notevole catalogo della Gruenrekorder, è “Ring Cycles”, partitura che aggiunge le registrazioni dei campi elettromagnetici che circondano ed emanano dalla tangenziale, trascinati dal traffico che passa sopra in una aggregazione di suoni e suggestioni psicogeografiche.