Alessio Brugnoli, con uno dei suoi soliti e grandiosi post, fa a tutti una lezione – semplice – di Storia, in questo casi di Preistoria. Parliamo di graffiti nelle grotte, l’unica testimonianza – a parte i frammenti di scheletro – che ci resta degli uomini primitivi.
Come molti sanno, le pitture rupestri in assoluto più antiche note – come alcune di quella presenti nella grotta di La Pasiega, in Spagna – risalgono a circa 65.000 anni fa e furono create dai Neanderthal. Tuttavia, si tratta di serie di linee e punti variamente disposti, che dimostrano una sensibilità e una visione della dimensione sensibile e spirituale ben diversa dalla nostra. Molto più recente, invece, è la pittura di tipo figurativo, con la la rappresentazione di animali, persone o altri oggetti: sino a qualche anno, si riteneva come gli esemplari più antichi fossero quelli quelle della grotta di Chauvet, nella Francia meridionale (da 37.000 a 33.500 anni fa) e quelle trovate nell’isola di Sulawesi, in Indonesia (35.400 anni fa circa). Le cose cominciano a cambiare dalla metà degli anni Novanta, quando nelle grotte della penisola di Sangkulirang – Mangkalihat – una regione di difficile accesso della provincia indonesiana di Kalimantan – è stata scoperta una ricchissima serie di pitture rupestri, costituite da figure geometriche, impronte di mani in negativo, pitture di animali (principalmente bovini selvatici) e, infine, figure umane e rappresentazioni di barche. Alcuni paleantropologi aveva ipotizzato una loro età molto arcaica, tuttavia, la datazione di queste opere era risultata finora molto difficile.
Ora Maxime Aubert e colleghi sono riusciti a stabilire l’età di una serie di pitture in quattro grotte di Sangkulirang-Mangkalihat analizzando con la tecnica di datazione uranio-torio le piccole concrezioni calcaree che si sono formate sopra ai disegni. Nella grotta di Lubang Jeriji Saléh – che contiene 20 immagini di animali e umani e circa 300 impronte di mani – hanno in particolare individuato una raffigurazione incompleta di un animale databile ad almeno 40.000 anni fa, due immagini di banteng (Bos javanicus lowi) di 37.200 anni fa e diverse impronte di mani in negativo di datazione più incerta e varia, ma comunque compresa fra un minimo di 23.600 anni fa (l’età delle concrezioni successive alla pittura) e 51.800 anni fa (l’età del substrato). Di conseguenza, risultato essere, attualmente, le più antiche pitture figurative della Storia.
Poiché l’arcipelago indonesiano e l’Australia hanno iniziato a essere popolati da umani moderni già a partire da 60-70.000 anni fa, ma la pittura figurativa ha fatto la sua apparizione più o meno in contemporanea alla comparsa in Europa e Indonesia, in un lasso di tempo compreso fra i 52.000 e i 40.000 anni fa, hanno formulato l’ipotesi che questa coincidenza sia legata a qualche flusso migratorio di nuove popolazioni finora non rilevato. E la stessa domanda si può porre per il successivo cambiamento stilistico. Il problema è che non coincide con quanto raccontano i marcatori genetici: d’altra parte, la storia ci ha mostrato più volte come le idee si possano muovere molto più in fretta delle persone.
Inoltre, probabilmente una base una base neuropsicologica comune a tutta la specie ha permesso a Homo sapiens sapiens di elaborare in varie culture un sistema concettuale e di credenze fondato su allucinazioni da stati alterati di coscienza, che gli antropologi moderni hanno infilato in un contenitore ampio e variegato a cui hanno appioppato l’etichetta “Sciamanesimo”. Credenze che implicano l’esistenza di una figura, associata a numerosi tabù, che raggiunge questi stati di alterazioni grazie a sostanze psicotrope o tramite tecniche di meditazione, favorite dalla musica e dalla danza, può entrare in contatto in una dimensione altra, abitata da spiriti degli Antenati o degli Animali, che spesso coincidono. Negli ultimi anni, gli studi di psicologia condotti sugli stati di trance, hanno rivelato che a mano a mano che le persone avanzano in questi stati, attraversano di solito tre fasi distinte, durante le quali assistono a fenomeni visivi differenti. Nella prima fase vengono percepite forme geometriche luminose chiamate fosfeni, come righe, macchie di luce, zigzag, griglie o spirali. Si ritiene che siano prodotte da una sollecitazione del sistema nervoso; si possono “vedere” sia con gli occhi aperti che con gli occhi chiusi. Nelle fasi più profonde di trance, gli sciamani vedono animali, persone, mostri o ciò che Lewis-Williams definisce “teriantropi” o “semiteriomorfi”: combinazioni di forme umane ed animali.
L’esperienza estatica, come fenomeno originale è costitutiva della condizione umana. Ciò che muta nel tempo non è la capacità di sognare o “cadere in trance”, ma è l’interpretazione e la valorizzazione dell’esperienza estatica secondo le diverse forme culturali. E questa interpretazione si riflette nell’Arte dei Primordi, che mostra una relazione primaria con il regno animale, dal quale l’uomo traeva la propria sussistenza. Le varie espressioni artistiche delle fasi più antiche, nel mondo intero, illustrano una tipologia estremamente simile: stessa scelta tematica, associativa ed anche lo stile è fondamentale. Proprio per questo si può ritenere giustificato parlare di un unico linguaggio visuale, nonché di un simbolismo universale testimoniato dalle superfici rocciose di tutto il mondo. In tal caso anche le domande che l’uomo si poneva sulla sua identità e sulle manifestazioni del mondo circostante rimangono sottintese. Riportando alla luce tali reperti, scavando la terra, è come se l’uomo moderno scavasse dentro se stesso.
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