Un omaggio a Valerio Evangelisti. Glielo devo perché, a prescindere dal discorso umano, dalla persona che conoscevo poco, era nella lista dei più grandi autori che abbia mai letto, insieme a un gigante che risponde al nome di Bruce Sterling e con altri scrittori non più, Shirley Jackson e Algernon Blackwood.
Valerio ha lasciato dietro di sé commistioni quantiche di politica e Storia collassate nel nostro presente, come un conflitto della RACHE: era un lucido visionario, disincantato e consapevole del cinismo collettivo che ci schiaccia. Lui scriveva “Noi saremo tutto”, che tra i connettivisti abbiamo mutuato rendendolo vivo alla nostra maniera, e in questo modo ha scandito i limiti irregolari di fine millennio, facendoli sfociare nel nuovo secolo e nella nuova frontiera che sembra essere ancora il vecchio tempo, quello arcaico e disumano che s’agita in interi ordini dimensionali, alieni all’umanità, combattuti come faceva Pantera col suo sciamanesimo anarchico.
Inutile dire, forse, che le idee radicali su cui ci ha invitato a ragionare Valerio sono le basi della nuova èra, quella necessaria alla nostra sopravvivenza: ha disseminato nella sua opera l’invito implicito alla lotta, all’affermarsi di un pensiero sociale scevro dalle follie di un mondo votato al Profitto, che vomita ingiurie su ogni essere vivente del pianeta; la sua è una chiamata a disgregare un sistema oppressivo, furbo e potentissimo, letale, che è ancora quello dell’inquisitore Eymerich.
Ecco, pensavo di differenziare quest’omaggio con due paragrafetti, uno narrativo e l’altro reale, ma proprio perché Noi siamo tutto, dalla fine del paragrafo precedente dove ho ricordato le sue suggestioni letterarie mi sono accorto che stavo parlando anche dell’uomo Evangelisti, della sua amata Storia, della passione per il sociale che lo ha portato a studiare le vicende umane come pochi altri scrittori al mondo; intuisco fino in fondo, quindi, il significato dell’essere tutto: è un’aura che mi comunica sapientemente la rabbia, la necessità di divenire sfuggenti, ineffabili, vivi di una volontà per adoperarsi a favore degli oppressi, tra vertigini dello spaziotempo collassato in paradossi inumani e le fantasmagorie di un’esistenza superiore, lontana soltanto un passo se riusciremo a essere radicalmente contro.
Valerio, però, in tutto ciò non c’è più; mi sarebbe piaciuto parlare con lui una seconda volta – ci siamo visti solo in un’occasione, a Fiuggi, in un lontano turbinio di presentazioni – e glielo avevo pure scritto nell’ultima delle poche mail che ci siamo scambiati: incontrarci de visu per tentare di collassare, ancora una volta e magari col mio piccolissimo contributo, la galassia di probabilità che costituiscono il nostro universo.
Pensavo a una prossima CarmillaFest, cui stavolta non sarei mancato; pensavo d’intessere nuove suggestioni personali con l’immaginario di Eymerich, come quell’omaggio che gli avevo umilmente donato da lettore e scrittore, e invece non ci sarà più modo per nulla, a meno che Valerio non trovi davvero il modo di bucare le dimensioni che lo celano a noi, chiedendoci magari un unico contributo: mantenerlo vivo nei nostri ricordi affinché la sua energia e volontà non si dissolvano, immortale come Eymerich, per donarci il senso di una lotta che, come dice Cory Doctorow, “Non è una di quelle battaglie che si vincono, è una di quelle che si combattono”.
Noi saremo tutto, Valerio, ma ci manchi già.
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