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Archivio per marzo 20, 2023

L’era degli oggetti e dei desideri elettronici naturalizzati – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine la recensione di Gioacchino Toni a Il sogno videoludico. Come i videogiochi trasformano la nostra realtà, a cura di Alfie Bown ed edito dai tipi Luiss. Ecco alcuni passi della rece:

Si analizzano gli effetti dei videogame attraverso un approccio di stampo psicoanalitico lacaniano, si evidenzia come l’universo videoludico, con il suo immaginario conformista, quando non esplicitamente reazionario, incida sui sogni e sui desideri degli utenti. Secondo Bown i videogiochi non si limiterebbero, dunque, a influenzare i comportamenti, le scelte e le decisioni degli individui, ma condizionerebbero gli utenti generando in essi “nuovi desideri” senza che questi ne siano del tutto consapevoli. Se è pur vero che a ciò concorre l’intero universo tecnologico-comunicativo contemporaneo, secondo l’autore è però nell’esperienza del gaming che questo diviene manifesto anche dal punto di vista delle implicazioni politiche.
Quando si affronta l’universo tecnologico-comunicativo più sofisticato viene spontaneo domandarsi se i computer potranno mai avere una coscienza simile a quella umana; ebbene, sostiene Bown, tale interrogativo presuppone che la coscienza umana sia qualcosa di dato una volta per tutte e immodificabile ma non è affatto così, visto che questa si sta sempre più computerizzando.  Ciò che occorre indagare, secondo lo studioso – ed è proprio di ciò che tratta il volume –, è piuttosto «quale forma di coscienza a venire si esprima nella realtà virtuale e nei videogiochi» (p. 29), alla luce del fatto che non sono tanto questi ultimi a divenire come la realtà, ma è questa che si sta trasformando in un videogioco. Anziché preoccuparsi di quanto il computer divenga umano, varrebbe la pena concentrarsi su quanto l’umano stia divendo computer anche a causa della dilagante gamification.

Colossi come Google, ad esempio, stanno sviluppando tecnologie che vorrebbero prevedere dove intendiamo dirigerci sulla base delle nostre abitudini spazio-temporali prospettandoci percorsi da seguire. Se un tempo era l’architettura a porsi come “inconscio della città”, dunque a dettare i percorsi da seguire, ora «questo lavoro prescrittivo, che consiste nello stabilire i “rilievi psicogeografici” della città, è svolto dai cellulari» (p. 34). Sono pertanto gli smartphone a controllare le azioni e gli spostamenti e lo fanno per ottimizzare gli interessi economici disseminati nelle diverse zone urbane.
Transport of London, ad esempio, sta studiando come gamificare gli spostamenti attraverso concessioni premiali a chi asseconda le proposte di tragitto alternativo suggerite. Se di per sé l’idea sembrerebbe rivolta soltanto a rendere più fluido il traffico evitando inutili ingorghi, non è difficile immaginare come ciò possa contribuire a porre le basi di un sistema ludico di “credito sociale” attraverso cui valutare l’affidabilità e l’obbedienza dei cittadini non dissimile da quello cinese tanto denigrato in Occidente. «La “città intelligente” del futuro non preverrà solo gli imbottigliamenti, ma anche tutti gli utilizzi improduttivi o le occupazioni improprie dello spazio urbano» (p. 36), sostiene lo studioso.
Ciò che però dovrebbe inquietare maggiormente, suggerisce Bown, è che applicazioni di questo tipo anziché soddisfare i desideri dell’utente, finiscono per decidere al suo posto ciò che desidera. Lungi dal venirci in aiuto per soddisfare i nostri desideri, gli smartphone finiscono per generarli e organizzarli.

“In altri termini, le App predittive dei dispositivi mobili potrebbero essere in grado di portare alla coscienza desideri e pulsioni che sarebbero altrimenti rimasti nel preconscio: questo significa che stiamo cedendo una importante porzione delle nostre capacità decisionali a dispositivi progettati per mappare le nostre azioni e influenzare i nostri movimenti (p. 37)”.

Come Shoshana Zuboff anche Alfie Bown si sofferma su Pokémon Go, un videogioco free-to-play commercializzato nel 2016, basato sulla realtà aumentata geolocalizzata tramite GPS – sviluppato da un’azienda legata ai sistemi di mappatura satellitare della CIA e di Google – che, nel prevedere la cattura di personaggi virtuali all’interno del mondo reale, indirizza i “cacciatori” verso determinate attività commerciali che ottengono così un maggior afflusso di potenziali clienti. Dietro alla sua apparenza di innocente intrattenimento ludico, si cela in realtà un sofisticato esperimento di ingegneria sociale, capace di assorbire il “surplus comportamentale” degli utenti che lo utilizzano; il videogioco si rivela insomma una vera e propria “spugna” capace di assorbire una quantità impressionante di informazioni identitarie e comportamentali degli utenti.

Cosa se, ora?


Ogni simbologia sa essere aliena e complessa, compresa da una serie di grafi cognitivi che hanno senso solo in un microcosmo: cosa sei, davvero, ora?

“Metamorfosi di primavera” è il racconto vincitore del nostro Contest | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine il racconto Metamorfosi di primavera, di Filippo Santaniello, vincitore del Contest di Primavera, concorso indetto proprio da HorrorMagazine. Vi lascio all’incipit, che ha dell’inquietante limitaneo all’orrorre.

Io e Nadia giungemmo alla conclusione che l’infestazione avesse origine al di fuori del nostro appartamento solo con l’arrivo della primavera.
Lo capimmo quando ci accorgemmo che, in un solo giorno, sul lato adesivo della trappola antitarme collocata in dispensa, si era formato un ricco ecosistema di farfalline che, per liberarsi dalla prigionia, si dibattevano così forte da lacerarsi le ali, restando tuttavia appiccicate allo strato di feromoni da cui erano attratte.
Erano camole della farina. Conclusa la metamorfosi da larve in falene, avevano volato dal loro nido alla nostra dispensa dove avevano trovato la morte tra atroci sofferenze.
L’infestazione, dunque, proveniva da fuori, e in poco tempo fummo invasi d’insetti.
Per Nadia era una buona cosa.
Era grata per l’abbondanza di ciò che, dopo l’incidente, è diventata la sua unica fonte di nutrimento.
Da quel giorno, mia moglie non è più la persona di prima. Ora si nutre solo di camole e altre specie di insetti. Ecco perché ci sembrava importante scoprire l’origine dell’infestazione: Nadia avrebbe potuto mangiare a volontà – come quando ha sminuzzato coi denti le farfalline incollate alla trappola antitarme – e io avrei protetto dai parassiti primaverili le mie scorte di pasta e carboidrati.
Per cui, avendo appurato che gli insetti non provenivano dal nostro appartamento, abbiamo collocato trappole a feromoni vicino alle porte dei nostri vicini.
La trappola con più insetti, avrebbe indicato la fonte dell’infestazione.
Questo accadeva qualche giorno fa, ma oggi, quando sono tornato a casa dal lavoro e ho letto il biglietto che Nadia mi ha lasciato in cucina, ho capito che deve aver individuato l’appartamento infestato senza di me.
Sul biglietto Nadia ha scritto in stampatello il cognome dei nostri vicini di casa, i Sistopaoli.
Non ho perso tempo…

DIA.MAT @ circolo 30 giugno_24.03.2023 | Duplex Ride


Segnalo, per chi è a Genova il 24 marzo, quest’evento che m’intriga molto: chi può, vada!

Secondo estratto dal romanzo “Che la terra ti sia lieve”, @L’orlo dell’Impero, DelosDigital


Ecco il secondo estratto da Che la terra ti sia lievequi il primo – mio romanzo collocato nella saga dell’Impero Connettivo ed edito da DelosDigital nell’ambito della collana L’orlo dell’Impero; la cover è di Ksenja Laginja.
L’ebook è disponibile sul DelosStore e sugli altri portali online al prezzo di 3,99€. Buona lettura 🙂

Aureliano montò in macchina, non era nei programmi ma in quel momento, a pensarci bene, farsi un giro per il quartiere gli sembrò una buona idea. Il senso di quella passeggiata motorizzata gli accarezzava l’anima come farebbe un padre col figlio, e alla fine cosa c’era di male se per una volta prendeva l’auto senza meta, per farsi portare dal caso o dai pensieri, dalle energie o da chissà che cosa?
Imboccò il vialone che si apriva fuori dal cancello condominiale; la discesa e le balze lì intorno si coronavano di caseggiati, la vecchia borgata si era data una ripulita e accanto, a poche centinaia di metri, era nato un nuovo quartiere dormitorio dalle pretese piccolo borghesi, in realtà un coacervo di miseria morale cialtrona e ignorante, in cui i comportamenti intolleranti e fascistoidi nemmeno si nascondevano più. Così, si trovò a desiderare di contemplare una natura più vera, meno antropizzata, e se non voleva parcheggiare nei pressi di qualche grande parco – Villa Ada, in fondo, non era così lontana – allora c’era la necessità di spingersi fuori il Raccordo, sapeva già dove.
La Salaria era un serpentone di auto in entrata a Roma, ma lui ne stava uscendo e conosceva abbastanza della zona per sapere quali vie prendere al ritorno senza incappare nel traffico. In breve, la diramazione laterale della via consolare lo portò in un luogo di pace arcaica, e anche se sapeva che storicamente quell’armonia antica era stata, in realtà, la culla di battaglie, soprusi e deliberate oppressioni, si rese anche conto che nessun luogo della Terra poteva essere davvero libero da un bagaglio di crudeltà consumate nel corso dei millenni.
Quel luogo in cui transitava, però, lo sentiva davvero truce.
Chiuso nella sua vettura, guidava sulla stretta carreggiata tra alberi, prati e grandi siepi fiorite; Aureliano si lasciò allora cullare dai pensieri senza imporgli contorni e così il rilassamento della sua mente, la condizione di esule temporaneo dalla sua casa, dalla famiglia e dal lavoro, fu così rilassante che in breve, osservando meglio il panorama in fondo alla valle alluvionale del Tevere, si accorse che il sole stava tramontando proprio in fondo a quella curva, proprio lì dove uno spiazzo erboso poteva permettergli di parcheggiare senza problemi.
“Perché no?”, si domandò, pensando all’opportunità di fare due passi lì, nel luogo bucolico senza tempo, mentre la sera stava prendendo il posto del giorno. Così accostò la macchina sulla piazzola che sembrava fatta apposta per lui, poi spense il motore e scese.
L’aria era frizzante, un certo senso di fresco selvaggio lo avvolse e pure se si era già in primavera da qualche settimana, gli sembrò evidente che dove la natura ha ancora il sopravvento le cose funzionano un po’ diversamente dalle città.
Guardò per terra, per una sorta di istinto. Una banconota da cinque euro era lì, nei pressi dei suoi piedi, accartocciata ma visibile.
“La mia solita fortuna sfacciata per le piccole cose”, pensò Aureliano con un piccolo sorriso sulle labbra, come se non riuscisse a trattenere i segnali di una breve gioia. Raccolse quel piccolo tesoro, “I segnali di qualcosa che interagisce con me ci sono sempre”, gioì ancora poi si fermò, i suoi occhi quasi si chiusero nel fissare un punto vago del terreno, a mezz’altezza, mentre era preda di una riflessione misticheggiante: il tramonto avanzava, e nel frattempo Aureliano cadenzava piccoli passi verso una profondità che aspirava a divenire trascendenza, annotandosi mnemonicamente i sintomi e i segnali di una realtà che appariva diversa da quella che lui e l’umanità, e le faccende da sbrigare in ufficio e la televisione, sembravano considerare vere.
Guardò le siepi, i loro movimenti impercettibili e ondivaghi che obbedivano alla ormai fredda brezza del crepuscolo, e si appoggiò al parafango anteriore dell’auto, ammirando il panorama con qualcosa di simile a un terzo occhio, che rare volte gli si apriva ai misteri del mondo.
“Chissà chi li ha persi quei soldi?” si chiese, mentre stava per rientrare in auto. Si fermò e visualizzò nella sua fantasia un’altra persona che si era fermata lì in precedenza, “Aveva parcheggiato qui anche lui, ma perché?”, e poi si chiese se questi avesse davvero voluto lasciare un segnale, come un semino nel vuoto per concimare qualcosa alla pari di chi, facendo book crossing, cerca di far fecondare idee e cultura lì dove non potrebbero arrivare diversamente.
Mise in moto poco dopo, mentre sull’orizzonte il cielo era già diventato buio. Sentì in tasca quella banconota vibrare di una sensazione, sembrava una suscettibilità che lo prendeva in ostaggio per non lasciarlo andare mai più. “Non si perdono cinque euro, lì, per caso: quei soldi dovevano arrivare proprio a me”, continuò a riflettere. Per analogia sfilarono allora nella sua fantasia sovraeccitata una quantità di complotti mondiali, di cui la metà sarebbe bastata per tenerlo sveglio tutta la notte, in una tensione che è genitrice di ogni paranoia.

Quarta: Aureliano De Magistris lavora nella sede romana di una multinazionale americana, i ritmi serrati di produzione non gli permettono di coltivare la sua vena creativa e così il tedio s’insinua nel suo matrimonio che arranca, mentre l’età avanza.
Su un altro piano di realtà, il sovradimensionale Impero Connettivo sopravvive tra le rovine celate di Roma ed è consapevole del marcio che serpeggia nella globalizzazione del 2018, in grado di strangolare le sparute opposizioni al Mercato e al Business: come si legano gli aspetti di un anonimo presente con alcuni ragazzi e la loro cruenta rivolta nata in un prossimo futuro, mentre fuggono attraverso il passato? Può un cortocircuito spaziotemporale influenzare positivamente l’umanità?
Roma appare a chi la sa riconoscere come una città eterna e strana, in cui sopravvivono i Genius loci del passato.

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