Su Ivl24 un articolo-recensione a The Final Cut, non proprio l’ultimo disco dei Floyd ma forse l’ultimo che abbia davvero qualcosa di granitico da dire – non a caso, l’ultimo lavoro nato dalla mente di Waters. Un estratto, e in fondo la titletrack, uno dei brani migliori del disco uscito, ricordo, esattamente quarnat’anni fa.
Dopo The Wall, il già travagliato animo di Roger Waters non era dei migliori. Quel muro che stava cambiando il corso del rock sia in termini ideologici che musicali, aveva scavato fin troppo dentro di sé, portandolo a fare i conti col suo passato e soprattutto con il presente che stava vivendo. La perdita del padre in guerra nel corso dello sbarco di Anzio, una società che non lo rappresenta e un governo inglese contro cui izzare i suoi accordi, (missione partita già da Animals), lo portano a fare i conti non solo con se stesso, ma anche con gli altri membri dei Pink Floyd.
Già da Animals i rapporti tra Waters e Gilmour erano abbastanza tesi. Ma da quei litigi, raccontò in un’intervista il batterista Nick Mason, “nacquero le migliori opere Floydiane”. Però, nel 1981, quei litigi diventarono problemi insormontabili, che andranno purtroppo a influenzare in modo deciso il destino dei Pink Floyd: Waters era deciso ad avere il totale controllo del progetto, mentre Gilmour era volenteroso di dimostrare il suo valore come musicista e autore di testi senza dover essere secondo a nessuno; il batterista Nick Mason si dimostrò un componente piuttosto estraneo a questi dissidi, cercando di mantenere calmi gli animi almeno fino alla fine delle registrazioni. Fu invece il tastierista Richard Wright il primo a rimetterci in seguito ai suoi scontri con Waters: durante il tour di The Wall, il ruolo di Wright fu ridimensionato a quello di semplice turnista e poco prima che la band si cimentasse nella realizzazione del nuovo album, Waters decise di cacciarlo via dai Pink Floyd. Varie versioni raccontano di un Roger Waters furibondo con Wright per il suo poco impegno e il suo prolungato soggiorno in Grecia con la nuova moglie mentre altre versioni raccontano che il bassista avesse scoperto la dipendenza da cocaina di Wright e che volle allontanarlo perché divenuto ormai superfluo alla causa dei Floyd (quest’ultima versione è stata però smentita da Nick Mason nel suo libro biografico sulla band “Inside Out”).
In questo clima di tensioni e rancori, i Pink Floyd trovarono comunque l’ispirazione e l’unione appena necessaria (e sufficiente) per la realizzazione dell’album The Final Cut, pubblicato il 21 marzo del 1983. Per molti è l’album testamento dei Pink Floyd, anche se in realtà il vero addio si manifesta già in The Wall, poiché The Final Cut è un disco interamente scritto e composto da Roger Waters, come sarà poi confermato sul retro dell’Lp, dove compare la scritta, abbastanza iconica e diretta che recita “by Roger Waters, performed by Pink Floyd” (“di Roger Waters, eseguito dai Pink Floyd”).
Il disco nasce dall’esigenza di Roger Waters in primis di volersi esprimere in modo critico e perentorio riguardo la vicenda della Guerra delle Isole Falkland tra Argentina e Regno Unito. The Final Cut doveva essere inserita in The Wall prima di Comfortably Numb. Si tratta di un monologo interiore disperato e lamentoso di un personaggio vissuto solo in compagnia del suo lato oscuro, con uno squarcio nell’animo e un vuoto incolmabile in cui mette a nudo tutti i suoi sentimenti…come se volesse liberare dalla sua mente tutto il suo passato fatto di sofferenze e delusioni personali. La solitudine, la ricerca di affetto e l’isolamento ricordano molto la personalità del personaggio di Pink, protagonista del precedente The Wall; anche questa canzone si muove su diversi piani musicali, alterando momenti di melodica sonorità per passare a urlate strofe di Waters accompagnato con una melodia molto vicina a quella di Comfortably Numb. Memorabile e degno di nota, l’assolo finale di David Gilmour.
Waters scelse The Final Cut come il titolo dell’album poiché riteneva che il brano contenesse tutte le atmosfere e le inquietudini presenti nell’intera opera. Lo stesso Roger Waters non è soddisfatto di questo album, afferma che sia pieno di errori e secondo “la maggior parte delle canzoni sono state aggiunte per allungare il brodo per evitare che l’album fosse troppo corto”.Chissà cosa sarebbe potuto uscire fuori se avessero corretto “tutti questi errori” di cui loro parlano, ma a noi piace anche così…
Intimo, iconico, disperato.
Per noi che amiamo Roger in maniera sviscerata, FC è un lamento nel buio, con sprazzi di assoluto genio.
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Il genio. Sì.
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