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Atterrare su Plutone a 6 miliardi di chilometri dalla Terra, guarda il video basato su foto reali | Passione Astronomia
Atterrare su Plutone? Una collection di immagini prese da NewHorizon nei giorni del sorvolo ravvicinato del pianeta, animate e rese plausibili, ci restituisce le impressioni vibranti di un luogo esotico e lontano, semplicemente meraviglioso. Da PassioneAstronomia.
Come sarebbe effettivamente atterrare su Plutone? Questo video è stato realizzato grazie a più di 100 immagini scattate dalla navicella spaziale New Horizons della NASA durante sei settimane di avvicinamento e sorvolo ravvicinato nell’estate del 2015. Il video offre un viaggio verso la superficie di Plutone, a partire da una vista distante del pianeta nano e della sua luna più grande, Caronte. Questo viaggio porta ad un “atterraggio” su zona chiamata Sputnik Planitia (è bene precisare che la sonda non è atterrata su Plutone ma ha proseguito il suo viaggio verso lo spazio interstellare. La simulazione è stata creata proprio grazie ai dati raccolti). Il colore ai fotogrammi è stato aggiunto successivamente ma rispecchia fedelmente il colore reale (si basa su osservazioni reali). Dopo un viaggio di 9,5 anni di circa 5 miliardi di chilometri, New Horizons ha volato attraverso il sistema di Plutone il 14 luglio 2015, arrivando arrivando a 12.500 km dal pianeta nano. Con potenti telecamere telescopiche in grado di individuare elementi più piccoli di un campo da calcio, New Horizons ha inviato centinaia di immagini di Plutone e delle sue lune che mostrano quanto siano dinamiche e affascinanti le loro superfici.
“Voliamo su Plutone a 6 miliardi di chilometri dalla Terra”, il video è sensazionale | Passione Astronomia
Su PassioneAstronomia un nuovo filmato del flyby su Plutone, realizzato da NewHorizon qualche anno fa, che lascia semplicemente meravigliati;
La sonda New Horizons ha sorvolato Plutone nel Luglio 2012 ad una velocità di circa 80.000 chilometri all’ora ed ad oltre 6 miliardi di chilometri di distanza dalla Terra. Molte immagini di questo spettacolare passaggio sono state migliorate a colori, ridimensionate verticalmente e combinate digitalmente nel video time-lapse di due minuti che avete appena visto. Data la sua enorme distanza dal Sole, ci vuole una gran quantità di tempo prima che questo piccolo corpo celeste completi un’orbita. Pensate che impiega 248 anni terrestri per completarla e da quando è stato scoperto, nel 1930, non ne ha ancora completata una intera. Mancano 152 anni prima che concluda il giro attorno al Sole, da quando lo conosciamo. All’inizio del video, la luce sorge su montagne che si pensa siano composte da ghiaccio d’acqua ma colorate da azoto congelato. Successivamente, alla destra, ecco un mare piatto di azoto per lo più solido che si è segmentato in strani poligoni che si pensa si siano generati a causa dell’interno del pianeta relativamente caldo. Crateri e montagne di ghiaccio sono inoltre si susseguono durante la visione.
Infine il video termina su un terreno soprannominato “lame” perché mostra creste alte 500 metri separate da spazi chilometrici. Caronte la conoscete tutti, ma pochi sanno che Plutone ha ben cinque lune che gli orbitano intorno. Caronte è la più grande, di dimensioni simili a quelle di Plutone. Questa caratteristica ha creato una strana dinamica orbitale fra i due corpi. In pratica il baricentro è al di fuori di Plutone, quindi è come se i due corpi costituissero un doppio sistema di pianeti nani che orbitano l’uno attorno all’altro. Il sistema del pianeta nano è qualcosa di unico!
Montagne ghiacciate su Plutone: il filmato è spettacolare! | Passione Astronomia
Plutone, nel suo magnifico dettaglio rielaborato ad alta definizione, quando fu inquadrato dal FlyBy della sonda NewHorizon, nel 2015. Da PassioneAstronomia.
La voce spettrale della più violenta eruzione del XXI secolo ASCOLTA – Terra & Poli – ANSA.it
Su ANSA un articolo che rende ascoltabile e terrificante il più grande disastro vulcanico di questo secolo, l’esplosione del vulcano sottomarino Tonga nell’Oceano Pacifico, che il 15 gennaio 2022 fece scomparire un’intera isola e spruzzò nella stratosfera abbastanza vapore acqueo da riempire 58.000 piscine olimpioniche, producendo onde gravitazionali e atmosferiche che hanno fatto due volte il giro della Terra.
Il rumore del catastrofico evento è stato ricostruito dall’artista del suono Jamie Perera, utilizzando i dati sull’intensità dei venti ottenuti durante uno dei passaggi di Aeolus sopra l’eruzione.
Perera è riuscito ad ottenere un campione audio di una delle onde d’urto, che ha poi manipolato per arrivare al tono spettrale che è possibile ascoltare. Questo nonostante il momentaneo ‘blackout’ sperimentato nel momento in cui il pennacchio di cenere vulcanica ha raggiunto un’altitudine superiore a quella del satellite: proprio a causa della grande altezza raggiunta, infatti, le ceneri sparate dal vulcano hanno circumnavigato la Terra in una sola settimana, per poi disperdersi quasi completamente dal Polo Nord al Polo Sud in circa tre mesi.
Astronavi nell’infinito, fra incubi e sogni – Carmilla on line
Su CarmillaOnLine un articolo di Paolo Lago che recensisce Astronavi. Le storie dei vascelli spaziali nella narrativa e nel cinema di fantascienza, di Michele Tetro e Roberto Azzara, saggio uscito per i tipi di Odoya. Un estratto:
In una scena del dramma Vita di Galileo (1938-39) di Bertolt Brecht, lo scienziato pisano, parlando con Andrea Sarti, figlio della sua governante, così afferma: “Io ho in mente che tutto sia incominciato dalle navi. Sempre, a memoria d’uomo, le navi avevano strisciato lungo le coste: a un tratto se ne allontanarono e si slanciarono fuori, attraverso il mare. Sul nostro vecchio continente allora si sparse una voce: esistono nuovi continenti. E da quando le nostre navi vi approdano, i continenti ridendo dicono: il grande e temuto mare non è che un po’ d’acqua”. Probabilmente, la letteratura e il cinema di fantascienza hanno dischiuso un immaginario simile: hanno permesso che gli aerei o qualsiasi tipo di ‘macchine volanti’ non ‘strisciassero’ più attaccati al pianeta, ma si slanciassero al di fuori della sua atmosfera, nello spazio più profondo. In definitiva, cos’altro sono le astronavi se non aerei che si innalzano nel cielo, oltre ogni confine o, per l’appunto, navi che si distaccano dal mare per dirigersi verso gli ‘astri’? Luciano di Samosata (II sec. d.C.), nella “Storia vera”, immagina infatti che sia proprio una nave, sollevata in aria da un tifone, a compiere un viaggio sulla Luna, dove l’equipaggio (di cui faceva parte lo stesso autore) avrebbe incontrato la stirpe dei Seleniti. D’altra parte, celebri astronavi come la corazzata Yamato, che incontriamo originariamente nella serie d’animazione giapponese “Star Blazers” (1974-1981), o l’Arcadia di Capitan Harlock, appartenente al manga “Capitan Harlock” (1977-1979) di Leiji Matsumoto, non sembrano vere e proprie navi che hanno preso il volo? La prima ha l’aspetto e il nome di una corazzata della Marina Militare giapponese della Seconda Guerra Mondiale, mentre la seconda, connotata come una nave pirata, ha il cassero di poppa di un vascello settecentesco.
Michele Tetro e Roberto Azzara, nel loro bel libro, ci offrono una convincente cronistoria illustrata “dei vascelli spaziali nella narrativa e nel cinema di fantascienza”, dalle prime testimonianze letterarie e cinematografiche fino ai giorni nostri. Le astronavi e le basi spaziali di alcuni fra i più noti film di fantascienza, alle quali è dedicata la seconda parte del saggio, sono descritte e raccontate come se fossero reali per cui, spesso, in modo straniante, ci troviamo di fronte a delle vere e proprie ‘schede tecniche’; leggendole, per qualche attimo, il nostro senso di realtà vacilla e si interseca con l’immaginario fino a chiederci: “ma allora sono esistite ed esistono davvero!”. La prima parte del libro è dedicata a un’altra cronistoria, stavolta su “una, cento, mille navi stellari”, fin da quando “le silenziose distese cosmiche si affollarono di mezzi artificiali di ogni sorta, riducendo alla portata umana gli abissi dell’Universo insondabile, là dove, invece, nella realtà, l’umanità stava ancora muovendo i primi, timidi passi al di fuori dell’atmosfera terrestre, a bordo di minuscole e claustrofobiche capsule Mercury o Vostock, unicamente abilitate al volo orbitale”. La terza parte prende curiosamente in esame “l’astronave che s’indossa”, cioè la tuta spaziale, elemento presente in pressoché tutti i film che narrano viaggi nel cosmo: l’immaginario cinematografico ha creato infatti tute spaziali di diverse forme e fogge, dalle più fantasiose alle più realistiche. Infine, a chiudere il libro, incontriamo un’intervista al grafico modenese Roberto Baldassarri, autore di straordinari disegni tecnici relativi ai mezzi spaziali e alla base “Alpha” della serie tv inglese Spazio 1999 (Space: 1999, 1974-1977).
Gli autori sottolineano come nel tempo sia cambiata l’estetica dell’astronave: dall’aspetto sigariforme del razzo (che incontriamo fin dal Voyage dans la lune, 1902, di Georges Méliès) a quello sferico del disco volante, per assumere le forme più svariate che rappresentano una specie di ibrido fra queste due originarie (come, per esempio, la Enterprise di Star Trek). Le rappresentazioni iconografiche delle astronavi sono poi il frutto dell’immaginario di autentici artisti: Chesley Bonestell, che inizia la sua carriera di pittore dello spazio nel 1944; Chris Foss, nato nel 1946, “che portò la space art a livelli di qualità assoluti” (peccato che le immagini del libro siano in bianco e nero: sarebbe stato bello vedere quei “cromatismi accesi” delle navi spaziali di Foss, come recita una didascalia); gli italiani Franco Storchi, Michelangelo Miani, Franco Brambilla e Luca Oleastri, autori di “grandiose” e “magnifiche” navi spaziali.
Quesiti quantici
Scemano come luci galattiche nella notte siderale, istantanee che sono già passato, senza tempo, senza energia perché tutto è un quesito quantico…
Sargo / Posidonia (CSR317LP) | Sleep Research Facility / Llyn Y Cwn | Cold Spring
Storie di uno spazio profondo, sterile, concentrato su dettami non antropocentrici. Ascoltane il suono, e fluisci nell’inumano.
Silver Station
Casa è ovunque tu lo percepisca. La spaceopera, in questo senso, sa essere molto intensa, così casalinga.