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Atterrare su Plutone a 6 miliardi di chilometri dalla Terra, guarda il video basato su foto reali | Passione Astronomia


Atterrare su Plutone? Una collection di immagini prese da NewHorizon nei giorni del sorvolo ravvicinato del pianeta, animate e rese plausibili, ci restituisce le impressioni vibranti di un luogo esotico e lontano, semplicemente meraviglioso. Da PassioneAstronomia.

Come sarebbe effettivamente atterrare su Plutone? Questo video è stato realizzato grazie a più di 100 immagini scattate dalla navicella spaziale New Horizons della NASA durante sei settimane di avvicinamento e sorvolo ravvicinato nell’estate del 2015. Il video offre un viaggio verso la superficie di Plutone, a partire da una vista distante del pianeta nano e della sua luna più grande, Caronte. Questo viaggio porta ad un “atterraggio” su zona chiamata Sputnik Planitia (è bene precisare che la sonda non è atterrata su Plutone ma ha proseguito il suo viaggio verso lo spazio interstellare. La simulazione è stata creata proprio grazie ai dati raccolti). Il colore ai fotogrammi è stato aggiunto successivamente ma rispecchia fedelmente il colore reale (si basa su osservazioni reali). Dopo un viaggio di 9,5 anni di circa 5 miliardi di chilometri, New Horizons ha volato attraverso il sistema di Plutone il 14 luglio 2015, arrivando arrivando a 12.500 km dal pianeta nano. Con potenti telecamere telescopiche in grado di individuare elementi più piccoli di un campo da calcio, New Horizons ha inviato centinaia di immagini di Plutone e delle sue lune che mostrano quanto siano dinamiche e affascinanti le loro superfici.

Nine Silenced Rooms | Luca Cervini


Spulciando il nuovo sito di Luca Cervini, sono incappato in quest’allestimento virtuale; fateci un giro anche voi – il flusso mi ricorda molto Piranesi, di Susanna Clarke – ne rimarrete estasiati!

mystic morning


Nelle plasticità il rifugio del virtuale.

Les 1000 vies d’Isis, as real as a photo | Neural


[Letto su Neural]

Les 1000 vies d’Isis è una serie di ritratti fotografici di una donna, Isis. La vediamo nel vialetto verso il mare dietro casa, a letto, davanti allo specchio, mentre aspetta qualcuno in un caffè. Una luce calda la illumina, immersa in paesaggi mediterranei, crepuscolari e accoglienti. Ogni suo sguardo suggerisce una storia, evoca un momento di vita, nostalgia e malizia, pelle, capelli, mani. Ma Isis non esiste, è un personaggio immaginario creato totalmente al computer dai suoi autori, i fotografi Brodbeck & de Barbuat. Le sue texture iperrealistiche sono morbide e sinuose, le ambientazioni minimali ed eleganti, le pose così naturali e spontanee che è faticoso pensarla viva solo nelle sue copie digitali. La fotografia come strumento di realismo qui è un linguaggio di rappresentazione, eccessiva e disarmante: ci si perde ad osservare queste immagini per trovare l’elemento che possa tradire la messa in scena, che sveli la realtà dell’esistenza di Isis ma senza successo, perdendosi come in uno specchio alla ricerca di una sempre più perfetta (in)verosimiglianza.

Avatar nostro che sei nei cieli, tutti i temi del cinema di fantascienza | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com la segnalazione di Avatar nostro che sei nei cieli, saggio di Giuseppe Vatinno uscito per i tipi di DelosDigital; ma di cosa parlo l’autore?

Quali sono i classici topoi della fantascienza cinematografica e televisiva? L’alieno certamente, ma anche il viaggio sulla Luna o le avventure di un’astronave a zonzo per l’universo. In questo saggio l’autore ha raccolto gli articoli pubblicati sulla rivista “Delos Science Fiction” in cui analizza per l’appunto i classici temi del cinema e della serialità televisiva, parlando di film come Il pianeta proibito, Destinazione Terra, I conquistatori della Luna, Ultimatum alla Terra, Essi vivono ed eXistenZ, senza dimenticare serie televisive quali Ai confini della realtà, Spazio 1999, UFO e Black Mirror. Ne viene fuori uno spaccato dell’immaginario cine-televisivo che ancora oggi appassiona molti fan della fantascienza e non solo.

Politica e videogiochi – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine la recensione di Gioacchino Toni a Reset. Politica e videogiochi, di Matteo Bittanti, uscito per i tipi di Mimesis.
Di cosa si parla in questo saggio? Si tratteggia del rapporto che intercorre tra immaginario videoludico e immaginario politico dei giocatori, delle ideologie del divertimento elettronico e dei loro effetti socio-culturali constatando come, soprattutto tra i più giovani, non solo l’ambito dei videogame e quello reale tendano a sovrapporsi, ma anche come l’impegno politico e il disimpegno videoludico siano sempre più convergenti. Come?

Guardandosi dal suggerire «l’esistenza di una relazione causale tra la fruizione di videogiochi e i comportamenti sociopatici nel mondo reale», scrive Bittanti, è «importante ricordare che il videogioco non è che un elemento di un complesso ecosistema formato da spazi di consumo, discussione e condivisione che spesso presentano un’elevata tossicità: misoginia, razzismo, omofobia e violenza verbale» (pp. 30-31). Dunque, qualsiasi discussione sui videogiochi non può prescindere dal contesto in cui si vanno ad inserire e da cui sono pensati, prodotti e fruiti.
Se Alex Hochuli, George Hoare e Philip Cunliffe (La fine della fine della storia, Tlon, 2022) sostengono che all’apatia che aveva contraddistinto i decenni precedenti si è ultimamente sostituito un sentimento di rabbia strutturatosi di pari passo alla crescente delegittimazione delle istituzioni tradizionali su cui hanno prosperato diverse forme di populismo, Martin Gurri (The Revolt of The Public and the Crisis of Authority in the New Millennium, Stripe Press, 2014) sostiene invece che, con riferimento a un’attualità che ritiene palesarsi come capolinea della democrazia liberale, complice anche la trasformazione mediale digitale, si debba piuttosto parlare di nichilismo.
Lungi dall’essere per forza un emarginato, il soggetto nichilista tratteggiato da Gurri è piuttosto un individuo disilluso e cinico, non di rado inserito socialmente, che non trova felicità nella sua quotidianità, nella way of life imperante, pur non mettendola realmente in discussione, e nel sistema politico che la governa. Un individuo che tende a trovare la propria dimensione all’interno di una comunità strutturatasi, spesso nell’universo online,  su una specifica questione che diventa frequentemente l’unica questione esistenziale. Insomma, nota Bittanti, il nichilista descritto da Gurri ricorda molto da vicino la figura del gamer tanto che diversi giovani gamer statunitensi potrebbero aver guardato all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 come a un’occasione spettacolare per estendere il gioco fuori dagli schermi.
«Detto altrimenti, una generazione cresciuta di fronte allo schermo combattendo contro terroristi arabi e draghi sputafuoco, zombie e vampiri nonché social justice warrior sui social media ha temporaneamente lasciato la cameretta illuminata al LED per assediare il Congresso, vandalizzando i simboli della democrazia» (p. 18). Per quanto sbiaditi, si tratta pur sempre di simboli da colpire con il medesimo odio promosso da tanti videogiochi mainstream che celebrano principi, valori e immaginari indubbiamente di destra.

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La perdita della presenza – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine un interessante articolo di Gioacchino Toni che recensisce Contro Metaverso. Salvare la presenza, di Eugenio Mazzarella, saggio uscito per Mimesis. La recensione, come capirete, è il mezzo e il pretesto per parlare della continua rapina dei dati che, interpolati, costruiscono la gabbia che da digitale diviene fisica; grazie, anche, ai progetti elencati dall’autore:

Dal momento che «la dimensione vitale, relazionale, sociale e comunicativa, lavorativa ed economica, è vista, agita e proposta come frutto di una continua interazione tra realtà materiale e analogica e la realtà virtuale e interattiva», l’autore si chiede se «in nome delle “magnifiche sorti e progressive” della realtà virtuale, della realtà aumentata […] gestita dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale», non si stia sradicando la vita dell’essere umano, il suo «esserci, dall’essere-nel mondo di presenza fin qui abitato, promettendo un ampliamento degli spazi “vitali” accessibili all’esperienza individuale» (pp. 11 e 15).

Nel corso di una conferenza tenutasi il 28 ottobre del 2021, Mark Zuckerberg ha annunciato l’intenzione di voler superare il social network da lui creato costruendo un ambiente capace di fondere offline e online. Nonostante il progetto Metaverso sia stato presentato come novità volta a sostituirsi all’esistente, in esso è forse piuttosto individuabile uno sviluppo di un processo di ibridazione tra online e offline in corso da tempo e che sarebbe semplicistico ridurre ad aggiornamento del sistema di produzione-consumo pianificato a tavolino da qualche diabolica corporation, affondando le radici in una serie di innovazioni tecnologico-comunicative – dalle pretese ontologiche foto-cinematografiche, passando dalla televisione per poi giungere alla svolta digitale che, con i suoi sviluppi interattivi, plasma la contemporaneità – non per forza di cose progettate da qualche Grande Fratello ma, piuttosto, abilmente sfruttate e indirizzate a scopi profittevoli.
Rivoluzione o evoluzione che sia, sarebbe, dunque, riduttivo vedere nel progetto Metaverso una mera trovata commerciale, visto che, almeno nelle intenzioni di chi lo ha presentato, per quanto fumosamente, sembrerebbe piuttosto ambire a diventare una sorta di «“sistema operativo” delle nostre vite e della nostra società» (p. 17) risultando ben più invasivo di quanto le tecnologie siano sin qua state.

“A quale ansia da “prestazione”, se vuole essere all’altezza di questo “mondo” digitale, sarà sospinto [l’essere umano] che conosciamo […]? Per tacere della già classica domanda nietzscheana strutturante il nostro rapporto con il passato, su quanta memoria, nei termini dell’onlife, della realtà ri-ontologizzata dal digitale, dalle ICT (cioè su quanti data, ovvero informazioni già date, quante tracce mnestico-cognitive magari affluenti in tempo reale, quello di una digitazione informativa) sia in sé capace di reggere l’hardware psico-biologico umano conosciuto; quello almeno che l’evoluzione fin qui ci ha consegnato nelle mani. Dietro una tale, inedita promesse de bonheur sembra celarsi una pulsione neo-gnostica (tecno-gnostica) che è vero e proprio disprezzo per il corpo, odio per la carne (p. 21)”.

Secondo lo studioso risulta quanto mai importante riflettere sul processo di dismissione del reale, sul transito nell’onlife innescato dai più tradizionali social web, con le sempre più evidenti degenerazioni in termini di alienazione sociale, esistenziale e percettiva «in obbedienza a un esse est percipi ormai declinato sempre più grazie al web in senso mediale-passivo come un essere percepiti che rimbalza e costruisce non solo il nostro percepire ma il nostro stesso percepirci. Il web essendo per comune ammissione la più potente tecnologia di manipolazione del sé sociale – individuale e collettivo – che si sia mai conosciuta» (p. 25).

“Un passaggio epocale che riguarda il modo in cui l’esserci umano ci-è a sé stesso, agli altri e al mondo, e cioè vincolato alla realtà come presenza di sé e delle cose; un modo sempre più sospinto nella presenza atona del digitale intesa come virtualità, che non è irrealtà ineffettuale, bensì una potenza, una forza, una virtus, estranea al qualcosa in cui si mette in atto […]. Virtus che quindi, implementando questo qualcosa, ne muta la natura, l’essenza nelle sue potenzialità, facendo del qualcosa implementato, quando non lo annichili in un’altra cosa, una protesi della sua autoattuazione come realtà. Che è lo scenario di rischio di quel qualcosa che siamo noi, il qualcuno. […]
È difficile pensare che una virtualità così invasiva del nostro esserci quotidiano possa essere gestita con la riserva mentale autoconsolatoria che possiamo sempre premere il pulsante dell’on/off in modo reversibile, riassorbendo i tempi brevi dell’esposizione del nostro sistema, della nostra “energia iniziale”, alle particelle virtuali che noi stessi avremo generato, per altro immaginando un’AI che possa anche generarle autonomamente.
È questo l’orizzonte di rischio antropologico che in un mondo intramato di reti artificiali e di AI abbiamo davanti. Con in aggiunta un altro potente strumento di disabilitazione della presenza come “presenza a noi stessi” in capo alla padronanza di noi come abilità innanzi tutto deliberativa e morale; e cioè le neuroscienze, già attrezzate a venire in soccorso dello stress di questa distopia dell’umano nell’universo digitale, di questa dislocazione dalla presenza finora abitata dal nostro esser-ci. A stupefarci con una farmacologia che da riparativa si propone da tempo ampiamente come possibilità di riprogrammare la stessa psichicità umana (pp. 109-112)”.

Il fisico Melvin Vopson vuole dimostrare che viviamo in una realtà virtuale | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com un’interessante segnalazione riguardo al nostro ecosistema reale che alcuni ritengono sia invece una simulazione virtuale – tipo Matrix, insomma. Vi lascio ad alcuni passi significativi dell’articolo:

Il cinema e le serie tv/in streaming giocano da anni con l’idea che la nostra vita sia solo una realtà virtuale particolarmente evoluta, passando da Il tredicesimo piano (The Thirteenth Floor, 1999) a ovviamente la saga di Matrix ma anche al Sublime di Westworld, questi sono solo alcuni degli esempi di fiction in cui i protagonisti scoprono di vivere in una realtà virtuale (potremmo aggiungere Tron, ma lì ne sono consapevoli). Ma ci sono scienziati convinti che non si tratti solo di finzione e uno di loro è convinto di poterlo dimostrare.
Nel 1989 il matematico John Archibald Wheeler aveva postulato che l’universo fosse fondamentalmente matematico e che poteva essere un costrutto non di materia ma di informazioni, coniando il termine It From Bit. Nel 2003 il filosofo Nick Bostrom della Oxford University aveva formulato la sua ipotesi sulla simulazione, partendo dal concetto che una civiltà può aver raggiunto un tale livello di evoluzione per cui la tecnologia è diventata così sofisticata che la simulazione sarebbe indistinguibile dalla realtà e i partecipanti non sarebbero consapevoli di esserne parte. Il fisico dell’M.I.T. Seth Lloyd si è portato ancora oltre, ipotizzando che l’intero universo sia solo un gigantesco computer quantistico. Infine, come potete vedere qui sopra, nel 2016 Elon Musk si era detto convinto che viviamo in una simulazione. E se può servirvi, anche Scott Adams, creato del geniale fumetto Dilbert ne è assolutamente convinto. Ma c’è chi di recente si è spinto ancora più in là: il fisico Melvin Vopson della Portsmouth University ha dichiarato di poter dimostrare che viviamo in una simulazione. Partendo dal principio di massa-energia-informazione che potete scoprire qui (ma è parecchio tecnica) Vopson ha dichiarato in un saggio per The Conversation che una realtà simulata contiene una grande quantità di Information Bits ovunque e che questi bit rappresentano il codice, “Quindi rilevare questi bit proverà la teoria della simulazione”.
Vopson ritiene che i bit abbiano una piccola massa che, se rilevata, dimostrerà la loro esistenza. Come? Per il fisico l’informazione rappresenta la quinta forma di materia nell’universo e il suo esperimento per provare la sua teoria è il seguente: cancellare le informazioni all’interno delle particelle elementari e delle relative anti-particelle e annientarle con un flash di energia, il che le farebbe esplodere e e rilasciare fotoni rivelatori. Per farlo ha anche lanciato una pagina di crowdfunding su Indiegogo per realizzare una sistema di annientamento positroni-elettroni contente una tecnologia creata appositamente per rilevare contemporaneamente fotoni gamma e infrarossi.

The Amazing Universe of the Psychotrons! by Komplex Live Cinema Group


Non c’è nessun game-over e non c’è alcuno da uccidere, però infiniti segreti saranno rivelati.
Benvenuti a “O’Psy Town”, dove il senso comune viene disconosciuto e gli Psychotrons blateranti vi daranno rime…”.

Questo breve abstract illustra “The Amazing Universe of Psychotrons!”, un’avventura videogame “punta&clicca + drag&drop” con dialoghi strani e personaggi surreali che parlano in rime rappate.

Il videogame è un infinito scenario pieno di segreti di controculture, dalla “CHIESA DI BOB” al #Discordianesimo, giungendo anche alla trilogia degli “Illuminati”.
L’agente Plotkin, un vero e proprio #Slenderman, è il protagonista della scena e va aiutato nella raccolta dei neuroni persi dal cervello di uno scienziato pazzo, il professor Edgar Pavlita, le cui ossessioni personali sono diventate entità incarnate: gli Psychotrons – affrontarli non è facile.
Questo è solo il primo videogame, ed è raggiungibile cliccando su https://komplex-live-cinema-group.itch.io/the-amazing-universe-if-the-psychotrons; il nonsense contenuto nella piattaforma, come sottolineano i creatori, nasconde segreti iniziatici di logge innominabili, non è depressivo, non v’è nulla cui sparare e non è “SpaceInvaders”. Se doveste pensare di essere nel mondo dei MontyPython, be’, gli autori stessi non potranno darvi torto…

Disponibile su Windows, macOS, Linux, Android.

Future Film Festival: gli eventi – ed effetti – speciali della 22esima edizione | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione del dettaglio del prossimo “Future Film Festival”, che si svolgerà a Bologna dal 21 al 25 settembre e a Modena dal 30 settembre al 2 ottobre. Tra le varie situazioni, mi sembra molto situazionista il contributo di Komplex; eccone il dettaglio (che si staglia sull’ampia offerta di pellicole e iconografie varie e intriganti):

Tra le sorprese del festival anche una chicca tecnologica: O’Psy Town in Komplexscope, creato da Komplex, offre un’esperienza interattiva molto particolare in momenti “random” e imprevedibili prima delle proiezioni. Il pubblico viene invitato, mediante un QR Code, a partecipare a un gioco VR, e scoprire, attraverso lo schermo del suo smartphone, un piccolo mondo alternativo ricco di personaggi. Storie e design sono di Mariano Equizzi, la musica e sound design di Paolo Bigazzi Alderigi, il digital video di Luca Liggio. (A Bologna e Modena, tutti i giorni a sorpresa).

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