Su Fantascienza.com la segnalazione di un romanzo particolare, Disordini, distopia di Michele Ainis; particolare sia per l’autore sia per il plot, un’architettura di temi assai raffinati che esplodono in una deflagrazione distopica e spersonalizzante che ha dello psicotico. Ecco i dettagli:
Ne è autore il costituzionalista Michele Ainis, per la verità al suo secondo romanzo per la Nave di Teseo.
Una mattina Oscar, professore associato di Giurisprudenza, si guarda allo specchio e scopre d’essere diventato un altro. Lì per lì pensa a un’allucinazione, ma ben presto s’accorge che colleghi e conoscenti non lo riconoscono, lo trattano da estraneo, sicché adesso dovrà imparare a convivere con le sue nuove sembianze. Allora parte per il paese di mare dove trascorreva l’estate da ragazzo, cercando in questo spaventoso cambiamento un’opportunità per cominciare daccapo. Vi incontra la sua vecchia fidanzata, insieme a una galleria di personaggi fuori dalla norma, mentre attorno a lui si moltiplicano i segni d’uno stravolgimento collettivo. Oscar non è l’unico, infatti, ad aver subito la metamorfosi, diffusa come un morbo che non si può più tenere nascosto e che in ultimo disgrega la società civile, insieme alla politica. Ormai nessuno sa più qual è il suo nome, il suo destino, il suo posto nell’ordine sociale.
Michele Ainis costruisce un romanzo immaginifico, con una storia che è insieme una metafora del tempo in cui viviamo. E accompagna Oscar in un viaggio letterario tra fughe d’amore e nostalgie profonde, tra smarrimenti individuali e crisi generali, tra regole assurde e libertà promesse, in un mondo a sua volta assurdo, eppure così simile alla nostra realtà.
Su FilmHorror la segnalazione di un nuovo romanzo di Luigi Musolino, in uscita per Zona42: Pupille. Eccone alcuni cenni:
Idrasca, provincia profonda. Un signore di polvere e solitudine, più antico dell’Uomo, scrive una favola di cataclismi inevitabili, un libro da leggere ai bambini, per spalancare loro gli occhi sulle tenebre del futuro. I bambini ascoltano, apprendono, reagiscono, sconvolgendo la routine della placida comunità. Luigi Musolino ci accompagna per le strade di un paese travolto da un’oscura rivelazione che colpisce i bambini per poi proliferare nel mondo degli adulti, raccontandoci una fiaba horror il cui epilogo è già scritto nelle apocalissi dei giorni a venire.
Su FilmHorrror una recensione a qualcosa che dovrebbe essere ormai appartenente al passato, ma che invece continua a essere apprezzato e disturbante: Tetsuo, The Iron Man, film giapponese cyberpunk del 1989. Un estratto:
Uno strano morbo si diffonde a Tokyo. Gli infetti cadono cade preda di incubi terribili (a pensarci bene, non diversamente da quanto accade al protagonista di Un lupo mannaro americano a Londra dopo il morso). Sentono il corpo che si trasforma in un ibrido di carne e metallo, vedono sul marciapiede cuori/motori pulsanti e fumanti, percepiscono una figura nera che si sveglia tra i relitti del subconscio, grottesche scene erotiche. Poi il corpo si trasforma davvero: compaiono appendici ferrose, armi e protesi rotanti, tubi di scappamento spuntano dai talloni. E anche la psiche cambia. Non solo perché vedono i ricordi come fossero una disturbata VHS. Non controllano più gli impulsi, scivolano verso la follia.
Il primo a venire infettato è un feticista che fa collezione di foto di sportivi. Seguendo qualche bizzarro obbiettivo, probabilmente divenire forte e veloce come una macchina, si apre una ferita nella coscia e cerca di innestarvi un tubo di ferro. La ferita si infetta, produce vermi; quello si spaventa, corre, viene investito da un’auto.
Al volante c’è un inoffensivo colletto bianco che pare Clark Kent, in compagnia della moglie. Sarà lui il secondo infetto. Un giorno, mentre si fa la barba, vede spuntare da una guancia un filo di metallo. Tagliente. Mentre va al lavoro si sente male, siede accanto a una donna e le passa senza volerlo il virus della fusione di carne e metallo. Anche lei subisce una mutazione, cade in preda a istinti omicidi, sessuali, di entrambi i tipi. Se la prende con l’impiegato; i due si rincorrono, lottano furiosi come fossero demoni o kaiju, con espressioni grottescamente esasperate. L’uomo vince. Torna a casa, infetta la moglie. Perde il controllo, gli sale l’urgenza di eros e morte, la uccide durante un violento amplesso. Grida per il rimorso. Non è più umano.
Volutamente eccessivo, violento, espressionista, esplicito dal punto di vista sessuale: non sarà roba per tutti, ma entra di diritto nella storia dei film più innovativi e originali che siano mai stati girati. Tra i temi principali di questo cult ci sono l’incontro/scontro tra uomo e tecnologia (per la storia del rapporto traumatico tra popolo giapponese e tecnologia rimando all’essenziale J. Nacci, Guida ai Super Robot, Odoya, 2017), l’alienazione diffusa nelle grandi metropoli, la mutazione dell’essere umano in qualcosa che è più di un homo sapiens sapiens, e forse è il prossimo gradino della nostra evoluzione. O il portavoce di una vicina apocalisse.
Lo sfondo della vicenda è una città fatta di altissimi grattacieli, gallerie infinite della metro, fatiscenti bagni pubblici, capannoni e vicoli ingombri di detriti. Un insieme di non-luoghi che a vederli verrebbe solo voglia di distruggerli. Gli uomini e le donne che compaiono sullo schermo, se non fossero vittime del contagio che unisce carne e metallo (e che dunque probabilmente li salva) incarnerebbero quanto di più piatto e squallido una società industriale o post-industriale può produrre.
Su Fantascienza.com la segnalazione di Il silenzio, romanzo di Don De Lillo. Interessante davvero la quarta, il filone delle paranoie e delle continue paure di qualcosa di apocalittico è palpabile:
Manhattan, 2022. Una coppia è in volo verso New York, di ritorno dalla loro prima vacanza dopo la pandemia. In città, in un appartamento nell’East Side, li aspettano tre loro amici per guardare tutti insieme il Super Bowl: una professoressa di fisica in pensione, suo marito e un suo ex studente geniale e visionario. Una scena come tante, un quadro di ritrovata normalità. Poi, all’improvviso, non annunciato, misterioso: il silenzio. Tutta la tecnologia digitale ammutolisce. Internet tace. I tweet, i post, i bot spariscono. Gli schermi, tutti gli schermi, che come fantasmi ci circondano ogni momento della nostra esistenza, diventano neri. Le luci si spengono, un black-out avvolge nelle tenebre la città (o il mondo intero? Del resto come fare a saperlo?) L’aereo è costretto a un atterraggio di fortuna. E addio Super Bowl. Cosa sta succedendo? È l’inizio di una guerra, o la prima ondata di un attacco terroristico? Un incidente? O è il collasso della tecnologia su se stessa, sotto il proprio tirannico peso? È l’apparizione di un buco nero, l’aprirsi di una piega dello spazio e del tempo in cui le nostre vite scivolano inesorabilmente? Di certo c’è questo: era dai tempi di Rumore bianco che Don DeLillo non ci ricordava con tanta accecante precisione che viviamo, disperati e felici, in un mondo delilliano.
Fantastici brandelli di uno dei concerti di TheWall, che i Floyd performarono tra l’80 e ’81, in questo caso restaurati con nuove tecnologie che rimandano la meravigliosa magia distopica e allucinata dello spettacolo musicale che fu – e che in qualche modo ancora è.
Questi sono i giorni dell’anniversario di Animals, disco dei Floyd assolutamente unico spaventosamente attuale nelle sue tematiche da incubo distopico, uscito sul mercato mondiale intorno al 21 gennaio ’77. Se ne parla un po’ in giro per la Rete, ho trovato quindi un paio di articoli a riguardo, di cui vi metterò sotto qualche estratto, uno preso da PinkFloydItalia e l’altro da IlRestoDellaMusica. Buona lettura, e tenete bene in mente questa chiosa:
“Animals sa raccontarci tutto questo: il fallimento di ogni tentativo di dare voce alla propria coerenza interiore quando anche la più pura e furente manifestazione di parere dissonante viene inglobata nel meccanismo mercificante che la rende sterile. I concerti promozionali del tour ne sarebbero stata dimostrazione, frustranti e fallimentari più della rivoluzione cantata da Waters, Gilmour e soci. Concerti ideologizzati a critica anticapitalista, trasformati in un tritacarne macinasoldi. Uno sputo avrebbe portato alla fine di tutto ciò, del ciclico mascheramento orwelliano… a favore del silenzio di un muro ben più risonante”.
Ero entrato in EMI nel periodo in cui uscì WISH YOU WERE HERE, avevo quindi già respirato quel clima di attesa che pervadeva la casa discografica all’uscita di un disco dei Pink Floyd che, da solo, poteva determinare l’esito di un anno intero di vendite.
Le notizie arrivavano con il contagocce e spesso neanche per le vie ufficiali, sapevamo dalla stampa inglese della session fotografica con il maiale gonfiabile effettuata intorno alle ciminiere della Battersea Power Station e poco di più, arrivarono i primi documenti interni che riportavano i titoli e gli autori dei brani, documenti che in gergo venivano chiamati “ll testo etichetta” con cui sarebbero state realizzate le etichette dei dischi ma i nastri non arrivavano e tanto meno foto della copertina se non all’ultimo momento.
Non esisteva ancora MTV, non c’erano i videoclip e non avevamo neanche nuove foto del gruppo, perché ogni foto doveva essere approvata dal management della band con a capo Steve O’Rourke, uno tosto. Nonostante Alberto Pasquini, il nostro capo, lo conoscesse non si riusciva ad avere nessun materiale di un certo rilievo che potesse essere utile alla promozione di Animals. Oggi la cosa può far sorridere, però immaginate un label manager di 23 anni, infoiatissimo del gruppo, che deve aiutare l’azienda a promuovere il disco più importante dell’anno e… non ha nessun materiale a disposizione. Neanche i nostri eroi in Inghilterra, che all’epoca erano il fotografo Armando Gallo e il conduttore Rai Michel Pergolani, potevano aiutarci: non avevano nulla. I Pink Floyd, elusivi come non mai, oltre la loro musica non concedevano nulla e allora, molto italianamente, ci demmo da fare, sia sul fronte televisivo che su quello fotografico. I responsabili della promozione EMI, Danilo Ciotti e Michele Di Lernia, non erano tipi che si arrendevano facilmente e, per dirla con un linguaggio cinematografico, erano capaci di mandare l’acqua al contrario. Convinsero Paolo Giaccio, che in Rai era stato tra le anime della trasmissione radiofonica Per voi giovani, all’epoca uno dei responsabili della trasmissione televisiva Odeon, a inventarsi qualcosa. Così si materializzò l’idea di girare uno speciale, diretto da Piero Natoli, all’interno dell’istituto artistico di Velletri, dove gli allievi avrebbero disegnato ascoltando la musica del nuovo disco.
I potenti mezzi della EMI italiana si misero in moto e io, con il pulmino Fiat 850 del nostro magazzino vendite, andai a caricare due casse amplificate di notevoli dimensioni e le portai a Velletri, dove diffusero la musica mentre gli allievi realizzavano i disegni su grandi fogli e tavole. Il servizio venne bene e fu regolarmente trasmesso in prima serata e, siccome esistevano solo le tre reti Rai, l’audience fu molto rilevante e quindi l’iniziativa promozionale più importante, quella televisiva, andò a buon fine, ma per la promozione stampa c’era ancora molto da fare, soprattutto perché mancavano le foto.
Ci venne in soccorso proprio la EMI International chiedendoci quali giornalisti volevamo accreditare per il concerto di Zurigo. Noi rispondemmo subito chiedendo anche un photo pass, che avrei usato io. I miei trascorsi come fotografo di «Sound Flash» e «Nuovo Sound» convinsero il mio capo ad approvare la trasferta. Da quel momento in poi cominciarono a giocare tre cose: la mia Nikon F2A, il leggendario 105 mm f1.8, il 50 mm f1.4, la pellicola diapositiva Kodak per luce artificiale “tirata” a 800 ASA e la conoscenza perfetta che avevo dei brani musicali.
Il concerto fu fantastico, scoprii per la prima volta che c’era anche un altro chitarrista solista sul palco, Snowy White. Ero pronto quando entrò in scena il “maiale” e il 50 mm fece il suo lavoro… ero pronto quando Nick Mason avvicinò una radiolina a transistor al microfono inquadrato dal faro… ma soprattutto riuscii a scattare una foto, una sola, all’invisibile Rick Wright, costantemente nascosto dietro le tastiere.
Il terzo estratto dalla mia silloge poetica Il sentiero dello sciamano. L’opera è edita da KippleOfficinaLibraria in ebook e cartaceo. I testi che compongono questa raccolta diventano un caleidoscopio che non va compreso, non va scomposto perché ogni frammento ha in sé un universale che rimanda ad altro e viceversa, continuamente.
Schegge di ossidiana – Fiabe dall’Impero Connettivo è un progetto di musicalizzazione dell’Impero Connettivo, uno Stato a metà strada tra il weird e la SF che, come l’Impero Romano, si espande sullo spazio, ma anche sul tempo. A capo dell’ecumene di postumani c’è un imperatore nephilim, la moneta corrente è l’informazione. L’album presente su BandCamp […] […]
Un’altra poesia della silloge poetica Il sentiero dello sciamano, libro che ho dedicato al mondo mistico vicino alle entità disincarnate, che non è mediato da alcun ordine gerarchico politico. L’opera è edita da KippleOfficinaLibraria in ebook e cartaceo e, come spiegato nell’introduzione… …i testi che compongono questa raccolta diventano un caleidoscopio ch […]
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.
“Siamo l’esperimento di controllo, il pianeta cui nessuno si è interessato, il luogo dove nessuno è mai intervenuto. Un mondo di calibratura decaduto. (…) La Terra è un argomento di lezione per gli apprendisti dei.” Carl Sagan
“Quando siamo calmi e pieni di saggezza, ci accorgiamo che solo le cose nobili e grandi hanno un’esistenza assoluta e duratura, mentre le piccole paure e i piccoli pensieri sono solo l’ombra della realtà.” (H. D. Thoreau)