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NeXT Hyper ObscureArchivio per Archeologia
Happy birthday, Roma! – FOLLOWING HADRIAN
Oggi è il compleanno di Roma – 2.773 anni di splendore storico, anche se in realtà Roma era già Roma prima ancora di essere stata fondata, come ha appurato l’archeologia (grazie, Andrea Carandini). Su FollowingHadrian, quindi, un post celebrativo e alcune altre nozioni che riguardano la festa di Roma collocato nel periodo adrianeo. Un estratto (in inglese).
Rome has its origins on the Palatine. According to the myth, the Palatine Hill was the location of the cave, known as the Lupercal, where Romulus and Remus were found by the she-wolf Lupa that kept them alive. Archaeologists have traced evidence of hut villages on the western edge of the Palatine Hill dating back to between the 9th and 7th century BC, approximating the time when the city of Rome was founded.
The ancient Romans celebrated the founding of their city every April 21 during the festival of Palilia. This festival was originally aimed at cleansing both sheep and shepherds in honour of Pales, the goddess of shepherds, but was later associated with the founding of Rome. The connection between these two characters of the festival is evident as the founders of the city, Romulus and Remus, grew up to be shepherds like their adoptive father, Faustulus.
Snow Crash: la HBO conferma la serie per il suo canale online | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com un articolo segnala l’adattamento di Snow Crash, romanzo seminale di Neal Stephenson, in serie TV. Ecco i dettagli.
È una sorta di cerchio che si chiude su sé stesso: nel gennaio di quest’anno il regista Joe Cornish (Attack the Block, Il ragazzo che diventerà re) raccontava a Syfy Wire come la Paramount lo avesse messo al lavoro su una sceneggiatura basata sul celebrato romanzo di Neal Stephenson Snow Crash, solo per poi cancellare il progetto perché ritenuto troppo sofisticato e costoso per essere realizzato. Ci sarebbero poi state voci di serie tv basate sul romanzo, ma doveva arrivare la HBO e il suo prossimo canale via cabo HBO Max per far partire il progetto e, ironicamente, mettendoci al lavoro proprio lo stesso Cornish.
Snow Crash è il secondo romanzo di Stephenson, pubblicato in origine nel 1992 (BUR Rizzoli 2017 da noi) che Bleeding Cool ha definito come un “di tutto e di più”: contiene storia, linguistica, antropologia, archeologia, religione, scienza informatica, politica, crittografia, memetica e filosofia all’interno di un folle contesto cyberpunk.
In quella che era all’epoca la visione del ventunesimo secolo, il mondo aveva subìto un non meglio identificato collasso economico e città come Los Angeles non erano più parte degli Stati Uniti ma erano state vendute, come altre zone del paese, alle multinazionali.
Hiro è un fattorino che consegna pizze nel mondo reale, ma (molto prima di Ready Player One) una principe nel mondo virtuale. Un giorno, in ritardo con una consegna, incontra una ragazza che si fa chiamare Y.T. (Yours Truly) e che parla di sé stessa in terza persona. Y.T. lo aiuta ad arrivare in tempo e tra i due si instaura un rapporto di scambio di informazioni tramite la rete. Nel metaverso il ragazzo incontra un uomo che si fa chiamare Raven, il quale gli offre un file dati chiamato Snow Crash che gli dice essere una droga informatica. Infatti, quando il suo amico Hacker Da5id prova ad analizzare il file soffre danni cerebrali nel mondo reale. Ed ecco arrivare l’ex ragazza di Hiro, Juanita, la quale gli fornisce un database contenente una enorme ricerca che collega il virus all’antica cultura sumera e la leggenda della torre di Babele.
Le ricerche congiunte del protagonista e di Y.T. portano a una organizzazione religiosa chiamata Pearly Gates e un magnate dei media chiamato L. Bob Rife e le due entità sono collegate a Snow Crash, che sembra essere in grado di programmare le funzioni cerebrali usando stimoli audio e un virus in grado di alterare il DNA. E questa sarà l’inizio di una lotta contro il tempo per impedire che Snow Crash invada le menti di tutti gli abitanti del metaverso e quindi di quello reale.
La Via dei Sepolcri (Monte Tuscolo) – Nemora
Su Nemora un viaggio crepuscolare – e cosa c’è di meglio di questo periodo, di questi giorni che esplorano l’abisso dell’inverno e solstiziale incipiente? Lungo la strada che i Romani, duemila anni fa, percorrevano nei dintorni di Frascati ci sono innumerevoli tombe, ora abbandonate e misconosciute; il viaggio si fa interiore, sul filo di altre dimensioni…
Vieni sulla Via dei Sepolcri, lungo il Monte Tuscolo.
Varca il cancello che immette sul sentiero lastricato ed entra in questo spazio in cui giacevano i corpi degli Antichi.
La giornata è ventosa. Lo stesso vento che ha spazzato via i resti umani portandoli con sé, lasciandosi alle spalle involucri vuoti.All’ombra delle querce, passo passo, avvicinati ai colombari che custodivano le urne cinerarie del popolo basso.
La cremazione era in uso nell’Antica Roma fra la metà del I a.C e il I secolo d.C, perciò il lasso temporale in cui i resti furono deposti qui non oltrepassa il regno dell’imperatore Claudio.
Dagli Antonini in poi, di fatti, si diffonderà definitivamente la pratica dell’inumazione, con la quale il corpo viene posto sottoterra.
I colombari derivano il loro nome dalla conformazione dei nidi di piccione ed erano destinati al volgo, alla povera gente; servivano l’esigenza di dover disporre più morti in uno spazio ristretto.
Avvicinati per osservare meglio le mensole che ospitavano le urne: ci sono ancora i resti dei recipienti – detti “olle“- che contenevano le ceneri. Piccoli ventri in coccio.
La tomba come ritorno al grembo materno, spazio cavo in cui avviene una metamorfosi.
A destra c’è una camera sepolcrale composta da un vano dal basso soffitto, ricavata nella roccia lavica. Addentrandoti noterai una caratteristica che accomuna le tombe antiche rupestri in cui sei entrato finora. Il pavimento polveroso, le pareti fresche e ruvide. E come sempre non c’è vita, se non qualche ragno che ha tessuto la sua trama all’ingresso. Vegetazione e fauna si astengono dal proliferare nella penombra vellutata dei sepolcri. Dove a ogni passo tenui particelle fuligginose si sollevano e l’atmosfera è sospesa nel Tempo.
Dall’interno si vedono edera e rovi pendere dall’alto e, avanti ancora, la strada di basolato.
Ed eccoti, sei fuori dalla vita. Non c’è nessuno a transitare in quel momento – e, in realtà, per di qui non passa più quasi mai nessuno – ma prova a immaginare come possa essere osservare i vivi lì fuori, dal fondo di uno spazio incastonato fra le braccia della terra.
I rumori sono attutiti. I colori distanti. I passi spenti.
ATAVICA A LO.FT – Paolo Ferrante
Paolo “Evertrip” Ferrante domani 22 novembre sarà a Lecce a inaugurare Atavica, la Personale dedicata alla Fanta-Archeologia; vi lascio alle sue note, chi può vada:
Ritorna Atavica, la mostra di fanta-archeologia di Paolo Ferrante. A cura di Alice Caracciolo negli spazi di LO.FT a Lecce in Via Simini, stavolta si terrà in occasione del concerto con Laura Agnusdei. Sculture di stampo primordiale, utensili misteriosi, saranno allestiti in un box ad accesso limitato che permetterà di scoprire gradualmente il lavoro dell’artista.
L’evento e la mostra inaugurano alle 19.00, il concerto è previsto per le 22.00.
Fuggiaschi e reietti, cioè Romani | Studia Humanitatis – παιδεία
Su StudiaHumanitas un post circostanziato, dal punto di vista storico e anche antropologico, sul film Il primo Re, dedicato alla storia mitizzata di Romolo e Remo, e della fondazione di Roma. Un estratto significativo, ma verrebbe voglia di incollare tutto il post (ok, lo faccio).
Una docente universitaria di Storia antica ha visto il film «Il primo re» sulla leggenda di Romolo. Attori convincenti, ispirazione poetica, un profondo senso del sacro
La leggenda di Roma è uno dei miti di fondazione più complessi del mondo, una stratificazione di storie, leggende e presunti avvenimenti. Alla fine del II millennio il Lazio e i colli erano già abitati da trenta popoli latini, insediati in villaggi e facenti capo ad Alba Longa. Il sito che sarà di Roma era incentrato su un guado del Tevere poco più a valle dell’Isola Tiberina, ai piedi dell’Aventino. Di qui passava la strada del sale (via Salaria), elemento essenziale dell’alimentazione e della conservazione dei cibi, conteso fra i popoli italici. In quest’area già un secolo prima di Romolo c’era il centro proto-urbano Septimontium, cioè «cime divise», articolato in clan di tipo tribale, le gentes, le cui terre erano coltivate dai loro servi o clientes. Erano i Latini, i cui patres più eminenti si riunivano in assemblea, pur in assenza di un centro urbano unitario.
Secondo il folklore locale, i capi primordiali del Palatino erano re discendenti da Marte: Pico (il picchio), Fauno (il lupo) e Latino, associato a una scrofa madre di trenta maialini, cioè i trenta popoli del Lazio. La mitica dinastia dei Silvi («silvani») si conclude con i fratelli Amulio e Numitore. La figlia di Numitore, vergine sacerdotessa posta a custodire il focolare di Vesta ad Alba, è ingravidata dal dio Marte; nascono così due gemelli, di cui il maggiore è Romo o Remo, il secondo Romolo. Entrambi i nomi derivano da Rumon, nome etrusco del Tevere.
Facciamo chiarezza archeologica sul Primo Re – La Sindrome del Colibrì
Rimanendo sul tema Il primo re, il film di Matteo Rovere che narra le vicende mitologiche, ma realmente accadute, di Romolo e Remo, dal blog di Nicolò Agresta prendo un paio di contributi che alimentano la discussione sul film, che si può riassumere con un “verosimile”, e con un “meraviglioso”, ma non “strettamente aderente ai fatti”. Qui e qui i due link interessati, invece qui sotto riporto un estratto delle considerazioni.
Ma c’è di più: la marcata differenza tra i due fratelli. Già la vediamo nella prima scena: Romolo prega, Remo con forza prende un agnello. Romolo è quello pio, religioso, calmo e pacato, intelligente e lungimirante. È lui che quando fuggono da Alba, vuole portarsi dietro il fuoco sacro e la vestale, come prima cosa. Remo è quello forte, quello sempre presente, ed descritto nel mito come il più veloce, il più silenzioso e abile, ma, sopratutto, Remo è il più sacrilego. Con questo si intende che Remo non era per niente avvezzo e interessato al sacro e al divino, cosa che per gli antichi era praticamente una blasfemia. Il film segue questo filone e fa vedere come sia Remo (interpretato magistralmente da Alessandro Borghi) quello forte, che si impone sul gruppo di fuggiaschi e, con questi, sul villaggio all’interno della foresta. Qui si vede anche un altro aspetto importantissimo del film, ricostruito benissimo, che però bisogna necessariamente conoscere: la differenza del concetto di regalità tra i due. Remo si impone come dominus, ossia come Signore, apostrofando i suoi seguaci come schiavi: significa io sono il capo e sono padrone delle vostre vite, voi non siete uomini liberi ma siete una mia proprietà. Tutto quello che succede nel villaggio è la manifestazione di questo concetto. Inoltre viene mostrata tutta la sua blasfemia e la sua totale indifferenza nei confronti di ciò che è sacro.
Quando Romolo scopre ciò che ha fatto il fratello, nel villaggio, si comporta esattamente come l’uomo descritto nelle fonti e come l’uomo religioso e pio per eccellenza: ravviva il fuoco sacro, nomina una nuova vestale, seppellisce i defunti con tanto di cerimonia sacra e, quando viene investito capo, non si impone come dominus, ma come il primo tra gli uomini liberi (riprenderò questo concetto a breve).
La parte finale, sulle sponde del Tevere è bellissima ed è un crescendo costante. A livello di regia e fotografia la qualità si è conservata alta per tutta la durata del film, fino alla fine. Mi è piaciuto molto come sono stati ricostruiti e mostrati i combattimenti cruenti di quel periodo: non vediamo mosse strane, da film americano, ma fendenti e colpi di spada menati con violenza e ferocia, colpi a vuoto e combattimenti corpo a corpo veramente reali. L’inquadratura generale mostra magistralmente come sarebbe realmente apparsa la scena ad un probabile spettatore, con gruppi singoli di individui che combattono tra loro.
Origines | ilcantooscuro
Sul blog di Alessio Brugnoli un’approfondita analisi sulla genesi di Roma e sulle fonti antiche che, in qualche modo, hanno gettato sia luce che mitologia su quei lontanissimi tempi. Da bersi fino in fondo.
È possibile che la politica nella fase iniziale della vita dell’Urbe, sia stato condizionata dal rapporti, a volte collaborativi, a volte conflittuali, tra due gruppi gentilizi: il primo, che la tradizione considera di
origine sabina, a cui sono associate le figure semi mitologiche di Numa Pompilio e Anco Marzio, la cosiddetta gens Hostilia, con le figure di Osto e Tullio Ostilio; in particolare la storicità di quest’ultimo potrebbe essere confermata dalla oinochoe con l’iscrizione mi hustileia rinvenuta a Vulci, databile a questa età, e da riferire forse a scambi di doni tra i ricchi signori di Vulci e di Roma. Proprio al regno di Tullio, datato dalla tradizione al 672-640 a. C. è attribuita la ricostruzione il muro alle pendici del Palatino e la fondazione del primo pavimento del Foro, che comincia così il suo processo di monumentalizzazione.
Violenze attuali
Mentre scavi nelle distese di sabbia psichica, trovi testimonianza di passato feroce, infestato dalle attuali violenze verbali in odor di fisico.
Coerenti esempi
Tormenti di una realtà fittile vengono scavati continuamente, resi di nuovo reali dalle estensioni ipnagogiche degli archeologici, coerenti esempi del ricordo ignaro.