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ABEditore presenta “Spettriana. Storie di fantasmi dell’antica Europa” | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine la segnalazione di Spettriana. Storie di fantasmi dell’antica Europa, una raccolta di storie di spettri dimenticate in giro per l’Europa edita da ABEditore. Vi lascio alle note dell’articolo:
“Che ne è stato dei fantasmi dalla mano ammonitrice e dalla forma sfuggente, che domavano il cuore spavaldo del soldato e facevano svelare all’omicida, nello stupore del mezzogiorno, l’opera occulta della mezzanotte?”.
A porre la domanda, nel 1824, è Mary Shelley: mentre la ghost story inizia ad acquisire una fisionomia autonoma in quanto genere letterario, l’autrice di Frankenstein lamenta la progressiva scomparsa di quelle “storie tradizionali” la cui “autorità era sufficiente a farci vacillare quando le relegavamo insieme a tutte quelle cose che ‘parevano impossibili’”. Quelle storie avevano fatto parte, per secoli, di un patrimonio narrativo condiviso in tutta Europa. Aneddoti paurosi, raccontati nei salotti e garantiti per veri da amici degli amici; storie moraleggianti, diffuse dai predicatori nelle chiese e nelle piazze e rinarrate nelle stalle durante le lunghe veglie d’inverno; testimonianze certe – perché garantite dai Padri della Chiesa o dagli scrittori dell’antichità – dell’azione del Demonio nel mondo, oppure, di converso, dell’infinita misericordia di Dio.
Sulle vie d’Europa, Spettriana raduna una ventina di queste storie dimenticate che per i nostri antenati rappresentavano l’essenza della paura, selezionate e tradotte da antologie, trattati teologici, raccolte di prodigi, cronache e resoconti. Tra le sue pagine – per dirla, ancora, con le parole di Mary Shelley – troveremo quei “fantasmi che sollevano le cortine ai piedi del letto mentre la pendola batte l’una, che si levano pallidi e orrendi dai cimiteri e che infestano le loro antiche dimore; che, quando gli si parla, rispondono, e che con il loro tocco freddo e ultraterreno fanno drizzare i capelli sulla testa; il vero fantasma”, insomma, “vecchio stile, che profetizza, svolazza e volteggia”, e che è forse capace di suscitare qualche brivido ancora oggi.
Le mini recensioni di Horror Magazine – L’anno delle volpi
Su HorrorMagazine una piccola recensione a L’anno delle volpi, di Cristiano Demicheli, recentemente uscito per i tipi Hypnos; un estratto:
Chi già aveva apprezzato Cronache dalla Val Lemuria troverà in questo nuovo capitolo un’atmosfera ancora più intima e rurale, molto lontana dall’horror classico, ma anche dal weird. Demicheli mette in scena un fantastico trasfigurato in una dimensione quotidiana, a tratti onirica, tanto da rendere la sua Val Lemuria un luogo – forse a tratti un po’ inquietante e popolato da leggende macabre e paurose – a noi molto familiare.
La tradizione a cui fa riferimento Demicheli è sicuramente più vicina a scrittori italiani come Tommaso Landolfi, Achille Campanile e Giovannino Guareschi che non a quella anglosassone e nordamericana in particolare. Il romanzo è diviso in dodici capitoli, uno per ogni mese dell’anno. Trascorriamo così un anno in compagnia di una serie di personaggi a cui diventa difficile non affezionarsi, non sentirli vicini.
Non c’è una trama vera e propria ma una serie di avvenimenti in cui si alternano momenti di vita prosaica e banale ad altri in cui la leggenda penetra nella scorza del reale per mezzo di creature mitiche e spaventose o più semplicemente attraverso antiche superstizioni (un po’ alla Dino Buzzati o alla Montague Rhodes James). Non mancano inoltre i riferimenti anche alla nostra storia, in particolare al periodo del fascismo.L’anno delle volpi è una lettura piacevole anche grazie allo stile particolare di Demicheli che spesso usa anche una terminologia dialettale, non sempre facile da comprendere, conducendoci per mano a visitare la Val Lemuria.
Intervista a Cristiano Demicheli | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine una bella intervista a Cristiano Demicheli, autore di L’anno delle volpi, ma non solo; un estratto dalla chiacchierata;
Ciao Cristiano, innanzitutto grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande e benvenuto su Horror Magazine. Domanda per rompere un po’ il ghiaccio che, anche se banale, serve a togliermi una curiosità personale. Dopo la precedente antologia Cronache della Val Lemuria uscita ormai 3 anni orsono, come è nata l’idea di un romanzo? E in particolare, un romanzo dalla struttura così insolita, che potremmo quasi definire “a episodi”. Insomma, come ti è scattata la scintilla?
CD: Ciao e grazie dell’invito. L’Anno delle Volpi è nato proprio perché, dopo le Cronache, volevo tornare in Val Lemuria e continuare l’esplorazione di questa realtà che è vicina alla nostra eppure lontanissima. L’idea di un fantastico dietro casa è per me mille volte più affascinante di qualsiasi mondo perduto o dimensione parallela. Per quanto riguarda la scelta del romanzo, mi è sembrata quasi obbligata: dopo l’impressionismo delle Cronache volevo offrire una specie di grande affresco, un “Giudizio Provinciale” di ampio respiro (in questo, credo, mi ha influenzato anche la rilettura dei classici russi). Da qui è sorta l’idea del ballo delle volpi, che è poi la chiave del libro, perché, se ci pensi, i personaggi sono proprio come figure di un cotillon o qualche ballo del genere: si prendono, si lasciano, si riprendono senza fermarsi mai. Vivono, insomma.
Una delle prime caratteristiche che salta subito all’occhio è la qualità – elevatissima – della tua scrittura. Non che il precedente lavoro mancasse di questo, tutt’altro, ma ho riscontrato un livello ancora più alto di tecnica, unita a una maggiore voglia di comunicare col lettore, il non essere solo una semplice voce che narra le storie e gli avvenimenti. È così o mi sbaglio?
CD: In effetti ho lavorato abbastanza sul linguaggio. La difficoltà è la misura, ovviamente: se eccedi diventi ampolloso o compiaciuto, ti parli addosso; se lo limiti a pochi tocchi, l’effetto che ottieni è quello di un tappeto persiano in una baracca. Bisogna mescolare bene perché le parole desuete, gli arcaismi, gli idiotismi si amalgamino al resto, senza spiccare, senza stonare. Il risultato finale, se tutto va bene, è un dettato scorrevole ma “straniante”. Ho cercato di portare un po’ di atmosfera nella forma, oltre che nei contenuti. Non voglio che il lettore si senta a casa propria mentre legge: deve sentirsi in Val Lemuria.
Il profumo dello stramonio | ThrillerMagazine
Su ThrillerMagazine la recensione a un romanzo di Nicola Verde ambientato, ancora una volta, in Sardegna. Si narra di nuovo di antichissimi riti religiosi e di persone che si muovono perfettamente in quella tradizione; un estratto che parla quindi, di Il profumo dello stramonio.
Nicola Verde ci ha abituati negli anni alla discreta e tenace presenza del maresciallo dei Carabinieri Carmine Dioguardi, personaggio della sua serie dei polizieschi sardi. Verde non è sardo, ma conosce perfettamente gli antichissimi miti e leggende della Sardegna interna e quindi selvaggia e violenta.
Ne“Il profumo dello stramonio – Il richiamo della strega. Storie sarde del mistero” – l’autore ci regala un testo di antropologia sarda in forma di raccolta di racconti del mistero inteso in senso lato.
Il titolo è molto appropriato: la datura stramonium è una pianta dalle proprietà narcotiche e allucinogene, detta anche era del diavolo o della strega. I dodici racconti, intervallati da intermezzi, preceduti da un prologo e seguiti da un epilogo, sono tenuti insieme dalla figura di un unico narratore, Salvatore Pinna, un vecchio dell’entroterra sardo, che incontra il nuovo maresciallo dei Carabinieri appena trasferito sull’isola.Corrono gli anni Sessanta: alcuni elementi di modernità dal continente sono arrivate sull’isola, che però mantiene ancora gelosamente uno zoccolo duro di antiche credenze e tradizioni popolari. Il maresciallo si trova a indagare sulla sparizione di un bambino, l’ultimo di una lunga serie. Altri bambini in un lontano passato sono spariti… inghiottiti dal nulla.Inizia così il racconto di storie di una terra senza tempo, con i suoi miti orrorifici, di cui fanno parte mostri marini, il mistero celato nelle antichissime domus de janas, streghe vere o presunte che tornano da un lontano passato, tori che annunciano la morte, guardiani della terra che dormono sotto i nuraghi, e altri misteri fuori dal tempo e dallo spazio. Per chi vuol conoscere tanti aspetti della cultura sarda arcaica, è un testo imperdibile dallo stile scorrevole.
The weight of forgotten bones: una selezione | Daniele Cascone
Daniele Cascone, indimenticato artista grafico ragusano degli early days del Connettivismo, sul suo sito presenta una panoramica delle sue ultime creazioni fotografiche, attività che ha intrapreso con successo da tanti anni ormai.
Conosciuta non riconosciuta – Carmilla on line
Su CarmillaOnLine la corposa recensione di Franco Pezzini al manuale uscito per Odoya Almanacco dell’Italia occulta. Orrore popolare e inquietudini metropolitane, a cura di Fabio Camilletti e Fabrizio Foni.
Cedo volentieri il posto al maestro Pezzini, che delinea magnificamente i contorni dell’opera.
Seguito ideale dell’Almanacco dell’orrore popolare. Folk horror e immaginario italiano degli stessi curatori Camilletti e Foni e per gli stessi tipi Odoya, questo nuovo Almanacco – il termine è importante, a suggerire una varietà di temi da compendio popolare – torna anche a riproporre la dialettica del volume precedente tra Folk Horror e Urban Wyrd. Soffermandosi qui maggiormente su questo secondo aspetto, per cui l’inurbarsi dell’orrore popolare legato alla civiltà rurale a seguito dei fenomeni di migrazione interna al Paese, e lo stesso imprevisto innesto di storie perturbanti sul tessuto cittadino, conducono all’assorbimento di inquietudini specifiche della vita metropolitana. Ne emergono paure dai connotati arcaicissimi ma in realtà sempre presenti – magari con disagio, vergogna o strappando ironie forzate – al nostro orizzonte interiore, irruzioni dell’occulto, dell’insolito e dello strano che in un’indagine di questo tipo (in gran parte saggistica e memoriale, con modiche dosi di fiction) permettono di svelarsi anche a noi quale conosciuto non riconosciuto: in sostanza, perturbante. Il volume richiama anche uno studio precedente di Camilletti, Italia lunare. Gli anni Sessanta e l’occulto (Lang, 2018), virato su editoria, cinema e televisione nei Sixties: in questa coppia di Almanacchi ne troviamo l’ideale sviluppo cronologico con una fase topica negli anni Settanta e strascichi fino all’oggi.
Articolato in tre parti, dopo la bella introduzione Storie arcane di Fabrizio Foni (qui maestro di cerimonie, come Camilletti lo era stato del primo volume), il volume presenta ricche spigolature dai rotocalchi e incomparabili amarcord, con storie altrimenti destinate a perdersi. Teniamo presente il ricchissimo fondo di storie familiari che nutre gli annali dei fantasmi nostrani: sarebbe davvero prezioso che si prendesse l’abitudine di trascrivere tali storie, con tutte le ricchezze e le trasversalità delle appartenenze sociali. Come ricorda Pupi Avati,
“La tavola veniva sgombrata, tutti si sceglievano una sedia e mia zia Laura tirava fuori da non so dove un tabellone con le lettere e un piattino: era il momento della seduta spiritica. Non avendo televisione né altri passatempi, la grande passione di quel periodo era l’evocazione dei defunti, praticata come gioco, senza alcuna titubanza in una famiglia cattolica come la mia, malgrado la tassativa proibizione della Chiesa”.
A casa mia non si usava (lo faremo noi, da ragazzi, negli anni Settanta, con un ruspante spirito sperimentale che oggi mi appare piuttosto naïf), però ricordo il fascino e il brivido quando questi temi venivano evocati, magari alla venuta dei parenti, a casa di mia nonna. Storie spesso legate alla guerra: dall’amica che pettinandosi al mattino allo specchio se n’era uscita nel raggelante e incomprensibile epiteto “vedova” senza sapere che il marito era appunto caduto su qualche fronte, al conoscente di mio zio angosciato perché sapeva quali dei compagni d’armi non sarebbero tornati dalle missioni, doveva resistere alle loro pressioni sul tema e rientrando in casa si vedeva accogliere dal tavolino – tanto gonfio di medianità da muoversi sua sponte, lasciando tracce di sporco dove la gamba andava a battere sulle imbottiture circostanti… Prendeteli come mi sono arrivati: ma io li trovavo – e li trovo, ancora – terribili e meravigliosi.
Immaculata: un approfondimento sul volume di Hanns Heinz Ewers | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine un approfondimento di Cesare Buttaboni su Immaculata, raccolta di racconti di Hanns Heinz Ewers edito da Hypnos. Uno stralcio:
Nato a Dusseldorf nel 1871, Hanns Heinz Ewers è una delle figure più originali, eccentriche e anticonformiste del periodo. Da sempre affascinato dall’atmosfera cupa del folklore tedesco, i suoi racconti furono apprezzati persino da Adolf Hitler. La sua narrativa rimane sempre in bilico fra conscio e inconscio, grottesco, occulto ed erotismo deviato in cui spesso la donna è identificata come un simbolo di bellezza e di morte. Questa della femme fatale è una tematica di derivazione decadente (grande è infatti l’ammirazione di Ewers per Oscar Wilde) che lo scrittore tedesco sfrutta magistralmente in molte sue novelle, infarcendola spesso di pulsioni di sadismo e masochismo. Tutto questo è Immaculata, volume appena pubblicato da Edizioni Hypnos che prosegue la scoperta di questo fondamentale autore dopo aver editato Alraune (La Mandragora).
I primi due racconti qui presenti, Immaculata e La seconda vista, sono ben inquadrabili nel periodo terminale dell’opera dello scrittore tedesco. I racconti sono stati pubblicati per la prima volta nel 2020 grazie alla ricerca di Wilfried Kugel. Nel 1943 Ewers era ormai caduto in disgrazia presso il regime nazista nonostante avesse scritto un libro agiografico per Horst Wessel, l’ispiratore dell’inno delle SA. Con il senno di poi nella sua frase “Questa è la Germania, questo è il mio paese” presente nel su romanzo Alraune (La Mandragora) c’è quasi il presagio dell’epopea tragica del Nazionalsocialismo.
Come nota lo stesso Fambrini (sulla scorta del lavoro di Kugel) i due racconti risalgono probabilmente allo stesso periodo della raccolta Nachtmarhr (Incubo, 1922) e sono stati solo successivamente rielaborati. Le aggiunte presenti nel volume sono indicate in corsivo. Si tratta di considerazioni satiriche nei confronti del Terzo Reich a dimostrazione del fatto che lo scrittore si era allontanato dal Nazionalsocialismo.
Se pure negli ultimi anni lo scrittore tedesco aveva esaurito la sua creatività, Immaculata e La seconda vista sono due piccoli gioielli del macabro.
Dark Abyss edizioni presenta: “Anche i mostri si innamorano” | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine la segnalazione di Anche i mostri si innamorano, racconti di Michele Borgogni che tratteggia il mondo dei mostri cinematografici e letterari. La quarta:
Frugando nella letteratura, nella mitologia, nella cinematografia, Michele Borgogni saccheggia il mondo dei mostri e ce li offre in undici racconti che provengono da ogni parte del mondo e da ogni tempo. Da Godzilla a Bigfoot, passando fra gli zombie e la terribile lamia, dal Giappone all’antica Grecia, l’autore colleziona undici storie, unite dal filo sottile dell’ironia. Divertente, originale, irriverente e, a volte, blasfemo, questa antologia racchiude una carrellata di mostri come non si sono mai visti, né letti.