Su PinkFloydItalia il discorso di Roger Waters all’ONU, pochi giorni fa, sulla situazione politica internazionale determinata dalla guerra in Ucraina:
Signora Presidente, Eccellenze, illustri membri del Consiglio di Sicurezza, Signore e Signori.
Mi sento profondamente onorato di avere questa singolare opportunità di informare oggi le vostre Eccellenze. Con la vostra pazienza, cercherò di esprimere quelli che ritengo essere i sentimenti di innumerevoli nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, sia qui a New York che oltreoceano. Li inviterò in queste sale sacre per dire la loro.
Siamo qui per considerare le possibilità di pace nell’Ucraina dilaniata dalla guerra, soprattutto alla luce del crescente volume di armi in arrivo in quell’infelice Paese. Ogni mattina, quando mi siedo al mio computer, penso ai nostri fratelli e sorelle, in Ucraina e altrove, che, senza alcuna colpa, si trovano in circostanze terribili e spesso mortali. Laggiù, in Ucraina, possono essere soldati che affrontano un’altra giornata mortale al fronte, o possono essere madri o padri che si pongono l’atroce domanda di come posso sfamare mio figlio oggi, o possono essere civili che sanno che oggi la luce si spegnerà di sicuro, come accade sempre nelle zone di guerra, che non c’è acqua fresca, che non c’è carburante per la stufa, che non ci sono coperte, ma solo filo spinato e torri di guardia e muri e inimicizia. Oppure possono trovarsi qui, in una grande città ricca come NY, dove fratelli e sorelle possono ancora trovarsi in gravi difficoltà. Forse, in qualche modo, per quanto abbiano lavorato duramente per tutta la vita, hanno perso l’equilibrio sul ponte scivoloso e inclinato della nave neo-liberale capitalista che chiamiamo vita in città e sono caduti in mare finendo per annegare. Forse si sono ammalati, o forse hanno contratto un prestito studentesco, forse hanno saltato un pagamento, i margini sono sottili, chi lo sa, ma ora vivono per strada in un mucchio di cartone, forse anche in vista di questo edificio delle Nazioni Unite. In ogni caso, ovunque si trovino, in tutto il mondo, zone di guerra o meno, insieme costituiscono una maggioranza, una maggioranza senza voce. Oggi cercherò di parlare per loro.
Noi popoli vogliamo vivere. Vogliamo vivere in pace, in condizioni di parità che ci diano la possibilità reale di prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari. Siamo grandi lavoratori e siamo pronti a lavorare sodo. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un giusto colpo di frusta. Forse si tratta di una scelta idiomatica infelice, dopo cinquecento anni di imperialismo, colonialismo e schiavitù.
Su CarmillaOnLine considerazioni di Sandro Moiso sparse sullo stato attuale del consenso globale, da leggersi ognuna per suo conto ma sapendo che insieme forniscono il quadro mondiale della compressione liberista e politica. Vi lascio ad alcuni stralci, mentre sullo sfondo continua ad agitarsi la guerra:
«Accorrevano folle per farsi ipnotizzare dalla sua voce, dagli inni di partito, dalle parate alla luce delle torce […] Erano disposte in file e squadre, su sfondi elaborati, con vessilli color sangue e uniformi nere»5. Oggi le cattedrali del consumo, i social network, la Rete, i media riescono a ricreare solo in parte tale tipo di assembramento unitario. Vale per coloro che convocano su Facebook o TiKTok e WhatsApp manifestazioni e flash mob cui di solito non partecipa nessuno o pochissimi oppure si trasformano in assalti spettacolari ma privi di risultato alle istituzioni del potere, ma anche per le grandi reti di vendita di dati e merci che iniziano a dover licenziare i dipendenti a migliaia o decine di migliaia. Manca il collante comune, il minimo comune denominatore che la tanto decantata società aperta si è persa da qualche parte per strada.
La celebre massima di Margaret Tatcher, la società non esiste esistono solo gli individui, si è sostanziata nella realtà attuale, ma il risultato “politico” è stato che, mentre un tempo le grandi folle si radunavano per perdere la propria individualità in nome di un’identità comune, semplicemente, oggi le “masse” hanno perso qualsiasi tipo di identità, sia individuale che comune. Senza nemmeno trasformarsi in quelle moltitudini costituenti che han fatto gran parlare di sé fino a qualche anno or sono e senza alcun costrutto materiale. Se non l’esser fondato sulla costante e instancabile ricerca di un “nuovo soggetto” che ha sempre caratterizzato certe teorizzazioni dell’operaismo italiano (di derivazione più gramsciana che marxiana).
Interessante la storia che c’è dietro il brano Corporal Cleggdei Floyd, anno ’68, mentre Barrett stava andando via. Ce ne parla il blog CantoDelleMuse:
“Waters era uno dei tanti orfani di guerra che negli anni ’60 stavano facendo i conti con il passato. Antimilitarismo e dolore personale (nel testo si cita l’anno della morte del padre, il 1944) si esternano in forma sarcastica grazie a un testo pungente e irriverente sui controversi schemi mentali dell’esercito, attraverso la figura di un fantomatico caporale Clegg. Waters: “Corporal Clegg parla di mio padre e del suo sacrificio nella Seconda Guerra Mondiale. C’è un qualcosa di sarcastico: l’idea che la gamba di legno sia un premio che vinci in guerra, come una specie di trofeo”. Il caporale Clegg ha perso la gamba durante una battaglia ed è costretto a vivere con una protesi di legno (“l’ha vinta in guerra, nel 1944”). Per questo sacrificio immagina di aver ricevuto una medaglia (“color arancio, rosso e blu, l’aveva trovata allo zoo”) e sogna di riceverla dalle mani della regina. Non è dato sapere se il bassista abbia utilizzato colori di fantasia, in ogni caso la medaglia di quel colore era conosciuta come “Burma Star”, attribuita dal British Commonwealth ai reduci della guerra di Birmania. Alla moglie del caporale Clegg, afflitta da alcolismo, Waters chiede se sia orgogliosa del marito, invitandola a concedersi “un altro goccio di gin”. Le frasi “He won it in the war… in orange red and blue… he’s never been the same… from her Majesty the Queen” rappresentano uno dei rari contributi vocali di Nick Mason. Il brano è infatti uno dei pochi momenti musicali in cui cantano tutti i componenti del gruppo; la voce principale è quella di Gilmour, mentre la parte parlata è affidata a Mason. Ai cori partecipano praticamente tutti e quattro insieme. Sul finale della canzone Nick Mason ripropone la sua voce attraverso una serie di frasi nonsense che rafforzano la sensazione di un caos conclusivo premeditato: alle ripetizioni corali di “Corporal Clegg” il cantato esplode in una fragorosa risata.
Non è chiaro se Waters avesse tratto il nome della canzone da un film americano, Captain Clegg(noto anche come Night Creatures, in Italia Gli spettri del Capitano Clegg). Thaddeus von Clegg era anche il nome dell’inventore del kazoo, strumento che viene usato in due diversi momenti della canzone (finale compreso, dove viene coperto dal suono di una sirena di guerra). I Floyd potrebbero essersi ispirati ai Beatles, che simularono il suono del kazoo in Lovely Ritausando un pettine intorno al quale avevano arrotolato la carta igienica personalizzata della EMI (aveva infatti la scritta “Property of EMI” stampata sopra!). Il Record Mirror del 10 febbraio 1968 annunciò che la canzone era quasi completata e che sarebbe stata pubblicata nel giro di quattro settimane. Notizia peraltro non vera, poiché la sua registrazione richiese più tempo.
Il filmato del brano, registrato negli studi della RTB TV di Bruxelles il 18 e 19 febbraio 1968, fu trasmesso il 31 marzo: la band eseguì in playback una versione embrionale della canzone (tutt’ora inedita) in anteprima rispetto alla pubblicazione del disco, trasmessa in vari periodi da diversi canali televisivi. Il 22 luglio 1969 i Pink Floyd furono ospiti del programma per ragazzi P-1, alla TV tedesca SDR, ed eseguirono la canzone nuovamente in playback. Questo filmato promozionale aveva come tema la guerra; la band era ripresa a tavola, con Gilmour a fare le veci del cameriere. I Floyd portavano elmetti militari in un clima che in breve tempo si trasformò in una battaglia a suon di lanci di cibo e torte in faccia, in cui vennero coinvolti anche gli incolpevoli cameramen. A queste scene la regia contrappose alcuni filmati di guerra. “
Una non recensione, di quelle che piacciono a me: Linea gotica, dei CSI, su Rockol.
“Linea Gotica” per me ha sempre simboleggiato un viaggio. Lo era il disco precedente, una necessaria fuga dallo sgretolamento delle certezze. Lo sarebbe stato il disco successivo, per andare a riscoprire nella lontana Mongolia il bisogno di ritornare a casa. In questo album di mezzo, invece, siamo scaraventati brutalmente nel cuore dell’Europa squarciata e stuprata dalla guerra e dall’odio cieco e fratricida. La partenza è nei Balcani, a piedi in una Sarajevo che brucia in cupe vampe. Il cammino prosegue spedito attraversando resistenze partigiane, lotte tra il divino e la carne, il bisogno di essenziale. Il punk filo-sovietico del decennio precedente si spoglia dei canoni e dei cliché, la batteria, quando non assente, rimane in penombra. L’elettricità plumbea e minimale delle chitarre di Zamboni e Canali riverbera le lacerazioni di un momento storico doloroso. Il basso di Maroccolo dirige il Consorzio con le sue linee eleganti e commoventi. Ferretti Giovanni Lindo, voce di quei miei anni, narra gli spasmi di questo tempo detestabile, scorteccia le parole aride e secche col suo salmodiare, più sussurrato e armonioso che d’abitudine. Inarrivabile la sua scrittura, la sua visione, in questo disco. Ricordo che sovente mi limitavo a leggerne il libretto, dove i testi veri e propri dei brani sono inframmezzati da pensieri e storie, esegesi ai significati che ne aggiungevano altri.
“E ti vengo a cercare”di Battiato, col maestro che si palesa umilmente sul finale, è la purezza che persevera tra i cumuli di macerie: la più bella cover della storia della musica italiana. Un quarto di secolo dopo, i tempi sono forse ancora più detestabili, ma ho dalla mia l’esperienza di chi sa che anche l’infelicità può essere preziosa. Da quel chiostro soleggiato ho portato con me “Irata”e Pasolini, la voce rassicurante di Ginevra Di Marco ad ammorbidire le parole, le rose, le spine, i cavalli, tanti cavalli, i comandanti, i monaci e la mia fascinazione infinita.
Infine si arriva all’Ucraina. USA ed Europa, come è ampiamente documentato, hanno foraggiato il fascismo ucraino, politicamente, economicamente e militarmente, al fine di rovesciare il Governo filo russo e portare l’Ucraina all’interno dell’orbita Occidentale. Da qui la “secessione” della Crimea, l’occupazione da parte dell’esercito russo delle basi militari e navali ucraine presenti in Crimea ma non solo. Se la Crimea è stata l’epicentro dell’intervento russo, altre zone dell’Ucraina, giorno dopo giorno, sono finite tra le mani di milizie popolari armate, ampiamente foraggiate da Mosca, che hanno dato vita e forma a nuovi ordinamenti statuali. Ciò le rende, a tutti gli effetti, ben distanti dall’essere ascritti all’ambito dell’impolitico ma, pur a denti stretti, viene riconosciuto loro lo status di hostis. Nei loro confronti non esiste altra relazione se non quella propria della politica. In poche parole, anche in questo caso, al di là dei balbettii di maniera, i potentati imperialisti Occidentali non sembrano in grado di reggere il colpo. Ma perché? Cosa comporterebbe, nel contesto, l’intervento militare? “Semplicemente” il riaffiorare di un conflitto bellico dove, tra i contendenti, la relazione non può che porsi sul piano della più completa simmetria. Un intervento militare contro la Russia o la Cina, o contro entrambe, non potrebbe essere ricondotto a quella sorta di videogame a cui, andando al sodo, si sono risolti i vari interventi bellici imperialisti compresi tra la Prima Guerra del Golfo e la disarticolazione della Libia. La guerra in Ucraina non potrebbe che assumere forme e tratti di un conflitto “classico” dove, per forza di cose, a essere coinvolti non sono semplicemente gli specialisti bensì le popolazioni. Esattamente dentro la “crisi ucraina” riaffiora prepotentemente il volto interstatuale della guerra. Un volto che, per molti versi, sembrava definitivamente essersi eclissato. Non si tratta di rimettere al centro il carattere simmetrico della guerra bensì di tenere a mente come, nel contesto attuale, simmetria e asimmetria rimandino ai contorni che la forma guerra ha assunto nella fase imperialista globale. Le due forme non si escludono e non è escluso che finiscano con il compenetrarsi. In Ucraina ciò si è già prefigurato. In questo senso appaiono per lo meno dubbie tutta quella serie di argomentazioni, provenienti per lo più dai vertici militari Occidentali, che considerano del tutto superato e inattuale l’ipotesi della guerra interstatuale e, in conseguenza di ciò, la possibilità del ripetersi di un conflitto avente come protagonisti raggruppamenti politicamente organizzati. A nostro avviso, in tale argomentazione, vi è un errore di fondo poiché si finisce con il ribaltare alla radice la relazione mezzi – fini finendo con lo spostare l’attenzione sulla tecnica e ponendo la dimensione del “politico” fuori dalla scena. In tale ottica, il militare e tutto ciò che lo comprende, avrebbe esautorato il ruolo egemone del “politico” diventando forza autonoma e indipendente e non più “semplice” appendice del “politico”. Paradossalmente, le trasformazioni tecniche, avrebbero finito con il ribaltare la relazione classica tra politica e militare. Non sarebbe più il militare a essere compreso nella politica bensì il contrario. Che cosa avrebbe fatto saltare il paradigma della guerra tra blocchi statuali? La risposta è sin troppo semplice: la presenza dell’arma atomica prima e nucleare poi renderebbe obiettivamente obsoleto il combattimento di tipo tradizionale ma non solo. La presenza di questo armamentario renderebbe, di per sé, impensabile una reiterazione del conflitto nella sua forma “classica”. Certo, se nella politica prendesse il sopravvento un tratto decisamente irrazionale, il potenziale distruttivo a disposizione delle più diversificate forze militari è tale che, a noi, non resterebbe altro da fare che scrivere un Urania con al centro le vicende dei pochi umani, per di più sotto le sembianze di mutanti, sopravvissuti al post bomba. Scenario possibile, come ipotesi di scuola, ma altamente improbabile e, questo il punto, neppure troppo nuovo. Nel corso della Seconda guerra mondiale le armi di distruzione di massa “non convenzionali” erano equamente suddivise tra tutti i contendenti. A nessuno, neppure ai nazisti, venne minimamente in mente di farvi ricorso. Certamente non per bontà d’animo ma per il semplice motivo che, la reazione, sarebbe stata di pari portata. Hitler avrebbe potuto intossicare Londra ottenendo il solo risultato di vedersi Berlino asfissiata tanto quanto.
Questo è l’incipit, per quanto mi riguarda da incorniciare, di un articolo di Emilio Quadrelli comparso oggi su CarmillaOnLine; e cosa c’è da aggiungere, se non un applauso per la fredda e lucida analisi che Emilio fa?
Ieri 6 settembre Roger Waters ha festeggiato 79 anni. Quale modo migliore di farlo che lanciare un siluro verso i vertici politici mondiali, liberisti e guerrafondai, in particolare verso la moglie di Zelensky? Ogni giorno che passa ringrazio che ci siano ancora persone come lui, pronte alla lucidità politica e all’estrema trasparenza dei gesti, anarchie di fatte che rendono il mondo un posto un po’ migliore. Da RockOl:
Nella tarda serata di ieri l’artista di Great Bookham ha pubblicato sui propri canali social ufficiali una lunga lettera aperta alla first lady ucraina, Olena Zelenska. Rivolgendo alla moglie del presidente Volodymyr Zelensky un appello per fermare il prima possibile il conflitto che sta martoriando la regione e provocando grande instabilità sugli equilibri geopolitici internazionali, Waters dà una sua personale lettura della situazione attuale. Citando un verso del classico dei Pink Floyd “Wish You Were Here” – “Did you exchange a walk on part in the war for a lead role in a cage? – Waters, per esprimendo solidarietà a entrambe le parti coinvolte nel conflitto, condanna fermamente il supporto militare offerto dall’occidente al governo di Kiev, invitando Zelensky a “portare pace nel Donbass” concedendo “autonomia parziale alle province di Donetsk e Luhansk” e a “ratificare e attuare integralmente degli accordi di Minsk 2”. L’artista, inoltre, addossa ai “nazionalisti ucraini” la responsabilità del conflitto, scaturito dal “superamento di un certo numero di linee rosse che erano state chiaramente indicate nel corso di diversi anni dalla Federazione Russa”. “Se mi sto sbagliando, mi può aiutare a capire come fare?”, conclude Waters, sempre rivolgendosi a Zelenska: “Se invece non mi sbaglio, mi aiuti nel mio sforzo volto a convincere i nostri leader a fermare questo massacro, utile solo alle classi dirigenti e ai nazionalismi sia in Oriente che in Occidente”.
Su CarmillaOnLine considerazioni di Sandro Moiso sullo stato del caos internazionale ucraino, semplifichiamolo così, in cui in realtà si rispecchiano le politiche mondiali tutte, in un crogiolo pericoloso e vomitevole. Un estratto:
Parafrasando la gelida portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, in un’intervista a Sky News Arabia, in cui ha affermato che «L’Ucraina che conoscevamo, all’interno di quei confini, non c’è più. Quei confini non ci sono più», si può affermare che il mondo uscito sia dal secondo conflitto mondiale che dalla fine della Guerra Fredda è definitivamente tramontato. E così pure quei confini che si era dato sotto l’egida imperiale occidentale e americana. Non solo, ma anche lo stesso strumento che quest’ultima si era data per violarli ovunque almeno a livello commerciale e finanziario, ovvero la globalizzazione, sta definitivamente tramontando. Prova di ciò non sono soltanto i 120 e passa giorni di guerra in cui, proclamando fin troppo facili vittorie militari e sanzionatorie sulla Russia oppure rovistando tra le feci di Putin per individuare i segni di malattie oncologiche o d’altra natura che ne indicassero una prossima fine, i rappresentanti politici e mediatici dell’Occidente si sono comportati esattamente come i buoi borghesi di cui parlava Marx a Kugelmann nel 1871, ma anche l’andamento dei combattimenti, con la lenta ma progressiva avanzata delle forze russe sul fronte del Donbass1, e quanto si è visto ed udito al 25° Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF). Forum a cui, dopo gli iniziali sbeffeggiamenti della stampa italiana mainstream che tendeva a definirlo come la “Davos degli sfigati”, hanno partecipato i rappresentanti economici e politici di circa 140 paesi e svariati rappresentanti delle maggiori imprese francesi, canadesi, americane e altre ancora dello schieramento occidentale “anti-putiniano” e “filo-ucraino” (tra cui Unicredit e Confindustria italiana). Come a sottolineare che se le Olimpiadi invernali di Sochi si erano potute boicottare, altrettanto non si poteva fare con il Forum tenutosi sulle rive del Baltico. Approfittando di tale contraddittoria situazione, il 17 giugno, lo stesso Vladimir Putin è così intervenuto esponendo un visione strategica degli interessi russi, ma non soltanto, che, al di là delle chiare ragioni propagandistiche, conteneva numerosi motivi di interesse. Infatti, proprio nei giorni in cui iniziavano a chiudersi i rubinetti di Gazprom verso l’Europa, nonostante la minaccia delle temute sanzioni prospettate da quest’ultima nei confronti dell’economia russa, il presidente della Federazione Russa ha potuto affermare:
Su CarmillaOnLine un lungo articolo di Sandro Moiso che fa il punto sulla guerra ucraina, in cui il pungolo liberista fa precipitare ogni cosa verso il gorgo del disfacimento politico e materiale. Un corposo estratto:
Nonostante la versione patinata di stile hollywoodiano della guerra fornita dalla propaganda occidentale, che continua a parlare di vittoria di Kiev e della NATO, ballando una sguaiata rumba sia sulla pelle dell’orso russo (non ancora acquisita, però, come trofeo) che su quella delle vittime civili e militari di entrambi i fronti in guerra, i fatti degli ultimi giorni, se non delle ultime ore, rivelano uno scenario ben diverso da quello così superficialmente descritto. Soprattutto per quanto riguarda le alleanze economiche, politiche e militari che gravitano intorno agli Stati Uniti e all’Europa e che vanno man mano disfacendosi lungo i confini orientali di quest’ultima. Un’immagine che potrebbe riassumere per tutte lo stato delle cose sul campo è quella della parziale resa e ritirata dall’acciaieria Azovstal di Mariupol dei buona parte dei difensori.
Simbolo dell’”eroismo” e della “resistenza” ucraina1 nel corso dei primi 82 giorni di una guerra destinata a durare ed allargarsi negli anni a venire, paradossalmente, è stato anche il primo contingente militare ucraino ad entrare, seppur parzialmente, in conflitto con Zelensky e il suo governo, proprio per il tentativo di quest’ultimo, molto simile a quello di Hitler con le truppe tedesche assediate a Stalingerado nell’inverno tra il 1942 e il 1943, di elevare i militari a eroi destinati al martirio senza tentare di far alcunché, nemmeno sul piano delle trattative per cercare di salvarne almeno un certo numero. Per cui, nonostante le ultime dichiarazioni rilasciate dal comandante del battaglione Azov, Denis Prokopenko, riferentisi alla necessità di obbedire agli ordini del comando supremo, e le divisioni intercorse tra gli stessi soldati sulla resa o meno, appare evidente che in realtà la trattativa per la resa e l’evacuazione dei feriti sia iniziata sul campo e in seguito alle proteste dei famigliari dei soldati del battaglione e dei marines ucraini ancora lì asserragliati, represse e disperse a Kiev nelle settimane precedenti, prima che a livello governativo e diplomatico.
Su CarmillaOnLine un articolo di Sandro Moiso che fissa alcuni aspetti della comunicazione di massa che non posso non colpire chi è attento alle dinamiche e dialettiche di un universo impossibile e improponibile, in cui il bene è tutto da una parte e dall’altra c’è solo il male. Un estratto:
Spesso chi parla con troppa facilità e superficialità di “crimini di guerra” sembra voler far credere, oppure credere egli stesso, che esistano guerre pulite, senza ricadute sui civili. Ammaestrati da un immaginario cinematografico di stampo hollywoodiano in cui al massimo sono gli “eroi” a morire. Ignorano, i sostenitori della guerra pulita e intelligente, possibilmente democratica, che dal secondo conflitto mondiale e per tutta la seconda metà del secolo appena trascorso sono stati i civili a subire il maggior numero di perdite, violenze di ogni genere e patimenti. In un crescendo in cui dalla Palestina a tutto il Medio Oriente, dal Vietnam a tutte le tragedie asiatiche fino alle guerre balcaniche (di cui i media si dimenticano sempre, fingendo che prima della guerra in Ucraina non vi siano più state guerre sul territorio europeo fin dal 1945) e passando per le tragedie infinite del continente africano e del sub-continente latino-americano sono stati milioni i civili uccisi, mutilati, stuprati, torturati. Di ogni genere e età, ma non sempre appartenenza sociale, poiché in fondo alla scala stanno sempre i poveri, i lavoratori, i senza riserve. Vittime della violenza del capitale sia in guerra che in pace. Se poi qualcuno osasse ricordare le bufale che accompagnarono la caduta di Ceausescu, senza per altro voler affatto difendere la sua dittatura personale, con i cadaveri tirati fuori dalle fosse per dimostrare una strage mai avvenuta a Timisoara nel 1989, oppure ricordare che sulle pagine del «Guardian», quotidiano britannico tutt’altro che filo-putiniano, sarebbe apparsa un’inchiesta in cui si rileverebbe che diverse vittime di Bucha sarebbero state abbattute da proiettili ucraini2 o, ancora, ricordare come tre ben noti salotti televisivi (Piazza Pulita, Controcorrente e Porta a porta) abbiano utilizzato immagini tratte da un videogioco per illustrare la “struttura inespugnabile” dei bunker sottostanti alle acciaierie Azovstal di Mariupol, allora apriti cielo e caccia all’untore filo-putiniano e creatore di fake news anti-occidentali. Guai a dire che il diritto che riconosce la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e imperiali è un diritto che non è tale, che è nato morto per disseminare la Morte in nome degli interessi nazionali, geopolitici e proprietari. Guai a dire soltanto che, anche nel contesto di un diritto internazionale segnato dal marchio di produzione capitalistico e borghese, chi invia armi ad un paese in guerra è cobelligerante di fatto. Tanto poi ci penserà la propaganda a spiegare che era inevitabile finire in guerra a causa dell’aggressività del nemico. E che le armi servono a disseminare la Pace. Anche quando, nelle parole di leader come Boris Johnson e dei media occidentali, non servono più a difendere la nazione “offesa”, ma ad aggredire e colpire l’ avversario. In casa, sul “suo” territorio. Un “nemico odioso” che ci obbliga a scegliere tra il nostro meritato benessere e la rinuncia a qualche grado di fresco in estate e di caldo in inverno, mentre i nostri democratici governanti si arrovellano tra l’accontentare le richieste del socio di maggioranza a stelle strisce e le necessità, non della popolazione civile e reale, dei soci di minoranza (impresari, investitori, compagnie petrolifere e del gas, banchieri e finanzieri) che potrebbero subire gravi perdite nei loro interessi economici e manifatturieri. Già, ma non chiamateli oligarchi. Loro no, loro sono altra cosa. Si nutrono di carne umana e di lavoro vivo, di prebende statali e interessi politico-mafiosi ma, non scherziamo, son mica russi! Hanno giornali e televisioni, si son comprati giornalisti, intellettuali e politici di ogni risma, colore, sesso, età e origine sociale. Controllano il mercato azionario e delle materie prime, magari rivendendo le scorte accumulate ad altri paesi per approfittare degli alti prezzi causati dalla speculazione ancor prima che dalla guerra, ma no chiamateli oligarchi. No, magari squali e profittatori, come furono definiti dopo il primo conflitto interimperialista da coloro che seppero ribellarsi alla prima carneficina su scala mondiale.
Ecco il secondo estratto da Che la terra ti sia lieve – qui il primo – mio romanzo collocato nella saga dell’Impero Connettivo ed edito da DelosDigital nell’ambito della collana L’orlo dell’Impero; la cover è di Ksenja Laginja. L’ebook è disponibile sul DelosStore e sugli altri portali online al prezzo di 3,99€. Buona lettura 🙂 […]
Pubblico qui sotto un primo estratto da Che la terra ti sia lieve, mio romanzo collocato nella saga dell’Impero Connettivo ed edito da DelosDigital nell’ambito della collana L’orlo dell’Impero; la cover è di Ksenja Laginja. L’ebook è disponibile sul DelosStore e sugli altri portali online al prezzo di 3,99€. Buona lettura 🙂 Bill, Tunes & […] […]
Con oggi, posso festeggiare i miei primi venti anni da blogger. Era infatti il 12 marzo 2003 quando aprivo il blog cybergoth, in compagnia di un manipolo di redattori che mi aiutarono nel corso di quei meravigliosi otto anni su Splinder; tanti lettori, tante conoscenze, tanti progetti che da allora sono nati e che hanno […]
[Letto su KippleBlog] Continuano le presentazioni online di Kipple Officina Libraria. Giovedì 16 marzo alle 21.00, sulla pagina FB della casa editrice, Marco Scarlatti presenterà il suo romanzo Il giorno dell’uragano, vincitore del Premio Kipple 2021; saranno presenti nella diretta StreamYard l’editore Lukha B. Kremo, l’editor Sandro Battisti e Ksenja Laginj […]
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Su Fantascienza.com la segnalazione di Che la terra ti sia lieve, mio romanzo inedito – appartenente al ciclo dell’Impero Connettivo – ed edito da DelosDigital, nell’ambito della collana L’orlo dell’Impero (copertina di Ksenja Laginja). Così Silvio Sosio sull’articolo, e poi la quarta: Un impero eterno, esteso al di là dello spazio e del tempo, una […] […]
Nei prossimi giorni uscirà il mio romanzo inedito per l’Impero Connettivo “Che la terra ti sia lieve (sit tibi terra levis)”, edito per i tipi di DelosDigital, collana L’orlo dell’Impero; intanto, ecco la cover reveal dell’ennesimo capolavoro realizzato da Ksenja Laginja. Keep Talking…
Come annuncia Fantascienza.com, esce oggi Delle Eloquenti Distopie, miniantologia che ho curato per i tipi DelosDigital nell’ambito della collana, anch’essa curata da me, non-aligned objects. In questo momento storico sembra di essere caduti in un mondo di eloquenti distopie, dove entità sociopolitiche in cui ci sentiamo intrappolati ed eterodiretti ci stann […]
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.
“Siamo l’esperimento di controllo, il pianeta cui nessuno si è interessato, il luogo dove nessuno è mai intervenuto. Un mondo di calibratura decaduto. (…) La Terra è un argomento di lezione per gli apprendisti dei.” Carl Sagan