HyperHouse
NeXT Hyper ObscureArchivio per Guy Ben-Ary
Bricolage, what if a cell were to escape, like a tiger from the zoo? | Neural
[Letto su Neural]
Bricolage è un’installazione che cresce nell’incubatrice che la custodisce. In questo ambiente protetto creato ad hoc crescono dei “bio-bot”, strutture cellulari autonome, specificamente bioingegnerizzate da Nathan Thompson, Guy Ben-Ary e Sebastian Diecke. I bio-bot sono fatti di cellule di sangue, muscolo cardiaco e seta e crescono assembrandosi autonomamente in forme sempre diverse: si contraggono, si dimenano e si aggregano, diventando man mano visibili a occhio nudo. Il loro aspetto è simile a una medusa senza tentacoli, nei minimi movimenti si percepisce un ritmo che ricorda il (nostro) battito cardiaco. La mancanza di intermediazione di strumenti tecnici specifici (come per esempio il microscopio) rende l’interazione con queste entità immediata e diretta, quasi familiare. Nell’allestimento, l’installazione è accompagnata da un testo visivo della scrittrice Josephine Wilson, che esplora il concetto di “bricolage” come processo creativo che mette in relazione caotica l’arte e la scienza. “What if a cell were to escape, like a tiger from the zoo?”, “Can you feel sorry for a cell, or does it depend where they come from?”, si legge nei suoi scritti. È difficile prevedere quali forme emergeranno dal processo di autoassemblaggio, ed è in questa incertezza che lo spettatore è invitato ad entrare e osservare.
cellF, External Brain Improvisation | Neural
[Letto su Neural.it]
cellF di Guy Ben-Ary è un “autoritratto biologico” diviso in due parti. Innanzitutto l’artista ha riprogrammato le cellule della pelle per trasformarle in una rete neurale funzionale, definita come il suo “cervello esterno”. Poi ha sviluppato un corpo robotico per interfacciarsi con una vasta gamma di sintetizzatori modulari analogici. In entrambi i corpi, le tensioni sono passate attraverso i vari componenti per produrre dati o suoni. In un evento live, Darren Moore esegue la sua musica, che è stata innestata nei neuroni del “cervello esterno” in guisa di stimolazioni elettriche. I neuroni hanno risposto controllando il sintetizzatore. Il grado delle “umane” decisioni in questa performance è l’aspetto principale messo in discussione dall’artista. Qui siamo in grado di andare anche oltre, chiedendoci se l’influenza delle componenti macchiniche stia influenzando la produzione di musica, favorendo il fatto che questa suoni in maniera non-umana. Ma questa è esattamente l’intenzione dell’artista – vivere con questi dubbi, mentre si esperisce la realtà che egli stesso ha creato.