HyperHouse
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ROB ZOMBIE – The Triumph of King Freak (A Crypt of Preservation and Superstition)
Travolti da un’onda di metallo nero e acido.
Paolo Bertoni: Coil. Arcangeli del Caos – Ver Sacrum
Su VerSacrum una recensione di Cesare Buttaboni a Coil. Arcangeli del Caos, di Paolo Bertoni, getta luce su una della band più misconosciute e al contempo di culto dell’Inghilterra anni’80. Vi incollo alcune valutazioni di Cesare.
Nel suo monumentale tomo England’s Hidden Reverse David Keenan sottolineava come Current 93, Coil e Nurse With Wound fossero la reincarnazione moderna di una certa tradizione di artisti eccentrici tipica della Gran Bretagna. Credo che questo fatto sia innegabile: David Tibet in particolare ha coltivato un vero e proprio culto per pittori minori come Charles Sims e per scrittori come Arthur Machen, Montague Rhodes James ed Eric Count Stenbock. Non da meno sono, a loro modo, i Nurse With Wound e anche i Coil. Dopo la morte dei membri fondatori John Balance e Peter Christopherson si sentiva la necessità di un testo che facesse un po’ di ordine su quello che è stato e ha incarnato il gruppo inglese ed è quindi con molto interesse che ho accolto il libro di Paolo Bertoni, Coil. Arcangeli del Caos uscito da poco. I Coil sono eredi della tradizione esoterica inglese e di personaggi come Aleister Crowley e Austin Osman Spare. Il gruppo di John Balance e Peter Christopherson purtroppo oggi non esiste più. Tuttavia la sua eredità non è andata perduta e la si ritrova in alcuni dischi capolavoro senza contare l’influenza che hanno avuto su generi come gothic-rock, neo-folk, dark-ambient.
Il libro di Paolo Bertoni è agile e, a mio avviso, molto buono nel seguire lo sviluppo cronologico della loro discografia che, a un certo punto, era diventata un vero rompicapo per i collezionisti. Lo stile di Bertoni è indubbiamente sfavillante, barocco e arzigogolato anche se l’uso della punteggiatura è talvolta discutibile. Bertoni sottolinea come la fase più importante dei Coil è la prima: in effetti i primi 2 dischi Scatology ed Horse Rotorvator rifulgono ancora oggi di un’aura tenebrosa e rappresentano il lato oscuro degli anni ‘80. In pratica con questi enigmatici lavori i Coil hanno inventato un suono definibile come una versione gotica ed esoterica dell’industrial. Con Loves’ Secret Domain hanno poi spiazzato tutti con un disco di musica house (ma all’epoca il fenomeno impazzava in Inghilterra). Comunque trattasi di gruppo molto influente tanto che lo stesso Trent Reznor (come si sottolinea nel libro) ha dichiarato che Horse Rotovator è stata una primaria influenza per Nine Inch Nails. Ma in realtà è l’immaginario di Coil ad affascinare Reznor: non è possibile parlare di loro senza considerare i loro riferimenti eterodossi, l’esoterismo, l’occulto, la sessualità deviata (il loro EP di esordio How To Destroy Angels è stato concepito per accumulare energia sessuale maschile), la cultura gay a cui appartengono, le droghe e nomi feticcio della cultura alternativa e non come Pier Paolo Pasolini (“Ostia” su Horse Rotovator rimane un loro must), lo scrittore horror Clive Barker (per cui avevano composto la colonna sonora di Hellraiser poi rigettata), il grande H.P. Lovecraft (il logo della loro etichetta Treshold House è ispirato al racconto di HPL “Il tempio) e il regista Derek Jarman e i già citati Aleister Crowley ed Austin Osmane Spare.
Stefano Bertoli: Eleven Faces And Forty Two Arms – Ver Sacrum
Su VerSacrum, Cesare Buttaboni recensisce il disco Eleven Faces And Forty Two Arms di Stefano Bertoli, che conosco ormai da molto tempo e che reputo uno dei migliori artisti della scena elettronica e rumoristica, in senso lato e futurista, senza contare gli aspetti olistici che spesso esprime. Vi lascio alle parole della recensione.
Stefano Bertoli (di cui ho parlato di recente a proposito del progetto Andromaca) è un musicista elettronico che fa della ricerca da oltre 20 anni. Ora la Industrial Ölocaust Recordings, un’etichetta di culto per chi segue il post industriale esoterico (ha in catalogo I Cordis Cincti Serpente) con una filosofia di fondo tesa verso il conseguimento di scopi magici abbastanza oscuri per il profano (la IHR è collegata all’A.E.U., organizzazione italiana consacrata in non meglio precisati studi mistici e magici), pubblica un disco a suo nome intitolato Eleven Faces And Forty Two Arms. A dispetto dell’immagine raffigurata in copertina che sembra legarsi indubbiamente con l’esterica magico-rituale dell’etichetta, la musica contenuta in questo disco si riallaccia in realtà alla sperimentazione elettronica dell’inizio degli anni ‘70. Le 2 lunghe tracce (di circa 20 minuti di durata) “Kan” e “Non” mi hanno riportato alla mente un disco senza tempo come Sonanze di Roberto Cacciapaglia, un capolavoro ispirato ai Corrieri Cosmici tedeschi ma che suonava unico e originale. Per l’occasione Bertoli suona strumenti elettronici desueti come il CiatLonbarde CocoquantusII, il Sidrax e il Folktek Resonant Garden oltre a nastri magnetici e microfoni a contatto. Le ambientazioni sono astratte e minimali ma non ascoltiamo mai un suono fuori posto. L’atmosfera è quieta e meditativa e ci culla dolcemente verso il Vuoto Cosmico Il risultato è ipnotico e catartico: a dispetto dell’apparente aseticcità e freddezza della musica questi suoni hanno un’anima e, soprattutto, non viene mai meno l’emozione, elemento per me fondamentale per poter apprezzare la musica. La musica contenuta in “Eleven Faces And Forty Two Arms” ha un senso e ha qualcosa da dire il che non è poco in un mercato inflazionato in cui capita spesso di sentire suoni sterili e messi a casaccio (come in alcune produzioni industrial) oppure dischi che suonano uguali a mille altri senza avere il sacro fuoco dell’ispirazione (è il caso di alcuni artisti ambient). Consigliato ai viaggiatori cosmici.
Pan Sonic – Oksastus | Neural
[Letto su Neural]
Preziosa ristampa di uno storico rilascio dei Pan Sonic, Oksastus, un lavoro che in origine fu pubblicato dalla stessa etichetta Kvitnu nel 2014, quando già il duo non esisteva più da quattro anni. Gravitoni, il loro ultimo album ufficiale, risale infatti al 2010, mentre Oksastus è a tutti gli effetti un live, tenutosi a Kiev, il 6 Giugno 2009. Nulla tuttavia sembra lasciar trapelare un impianto non altrettanto chirurgico rispetto alle registrazioni in studio a firma Pan Sonic, considerando la mancanza di qualsivoglia elemento umano o rumore di scena. Oksastus è una parola finlandese che sta ad indicare un processo di innesto o coltivazione di piante e alla stessa maniera, dall’ibridazione di disparati elementi, prolifera il suono di Mika Vainio e Ilpo Väisänen, combo di culto nelle scene elettroniche più sperimentali, proprio per i suoi intrecci industriali, ambient, techno e brutal noise, detournati dalle loro singole sfere di competenza grazie anche a un’autentica passione per la musica concreta. Il packaging è lo stesso dell’edizione originale, con il design che si deve a Kateryna Zavoloka. Come allora l’edizione in vinile comprende due 12″ bianchi al quale s’aggiunge anche una versione CD, dove spicca questa volta una copertina di cartone appositamente prodotta, stampata con vernice metallizzata e realizzata grazie a un ulteriore processo di stampa a caldo con laccatura UV. È difficile spiegare in poche parole perché i Pan Sonic siano diventati un gruppo così idolatrato, seppure ascoltando la loro discografia e l’impatto che hanno avuto sulla musica elettronica, il tutto diventa evidente. Ancora nel 2014 – stesso anno di questo live – Mika Vainio suonava da solo all’Init Club di Roma davanti ad appena centocinquanta persone, seppure nella sua carriera solista poteva già vantare molte più pubblicazioni e collaborazioni rispetto al compagno di tante scorribande soniche, Ilpo Väisänen, che dopo lo scioglimento consensuale del gruppo si è quasi subito artisticamente defilato. Mika Vainio è venuto a mancare nell’Aprile del 2017 alla giovane età di cinquantaquattro anni, un artista che non ha mai voluto offrire troppi elementi di comprensione della sua personalità e della sua produzione, pur se nel suo caso è stata comunque la contemporaneità e la voglia di nuovo a tenere viva la creatività. Creatività ed innovazione che ancor oggi a quel duo è riconosciuta a pieno.
Emptyset – Blossoms | Neural
[Letto su Neural]
Emptyset, ovvero James Ginzburg e Paul Purgas, nel corso dell’ultimo decennio hanno pubblicato ben sette LP ed un numero – nel complesso – ancora più significativo di singoli, EP, compilation e dj mix. Blossoms, la seconda prova su formato esteso per la Thrill Jockey è stato sviluppato nell’arco di ben diciotto mesi avvalendosi di una rete internazionale di programmatori all’avanguardia nella ricerca sulla sintesi del suono. Questa collaborazione è stata focalizzata precipuamente sugli aspetti generativi della composizione e sulle caratterizzazioni basilari che l’organizzazione di strutture audio originali e complesse comporta. Le ambientazioni cupe e macchiniche alludono a una creazione quasi impersonale, dettata da reti neurali artificiali ed altri astrusi apparati d’origine sintetica e post-human. Su questi aspetti a nostro avviso un pochino s’esagera, perché una forte base autoriale e manipolativa comunque è indubbia. Le tracce non si realizzano da sole, siamo ancora lontani da quel livello cyborg per cui – citando i Kraftwerk – “by pressing down a special key, it plays a little melody”. Qui non ci sono melodie e questa è una scelta, il set di dati sonori è comunque assai ben elaborato e le connessioni tra suoni apparentemente non correlati dubitiamo fortemente siano frutto d’una qualche intelligenza artificiale aliena. Le sonorità ibridate e mutevoli sono combinate con l’ausilio d’impulsi audio complessivamente ben sintetizzati, che fanno uso infatti di riverberi e impulsi dei più disparati ma comunque all’occorrenza progettati. Si enfatizza che in base a diversi parametri iniziali si producano soluzioni imprevedibili ma questo – a dire il vero – non si percepisce poi molto attraverso i suoni, che al contrario sembrano misuratamente spazializzati, ricchi di citazioni industrial e con echi d’elettroacustica d’antan. Il duo è di quelli consolidati e James Ginzburg, head honcho della Subtext, insieme a Paul Purgas, che adesso cura il festival del Wysing Arts Centre nel South Cambridgeshire, non sono certo impreparati nel presentarsi al pubblico. Anche se preferiscono citare i loro sistemi “automatizzati” dietro il tutto c’è solo la loro inesauribile spinta creativa e futuribile.
The Nine Inch Nails in Twin Peaks
Una scena di un episodio della terza serie di Twin Peaks. E qui, si è toccato uno degli apici dell’arte di David Lynch…