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Archivio per Marco Maculotti

Kenneth Anger, la “Babilonia hollywoodiana” e la fine del “sogno aquariano”


Marco Maculotti propone su AxisMundi un momento molto particolare degli anni ’60, vedendola dall’ottica di Kenneth Anger e della sua sensibilità occulta, capace di ordinare il mondo attraverso altri algoritmi. La chiosa della traduzione di Elizabeth Horkley, che razionalizza un testo che di razionale ha solo l’empatia dei dettagli e della vertigine sensoriale:

Per i primi decenni della sua carriera, Anger ha operato al di fuori di un sistema di studios a cui era vietato pubblicare film come il suo. Lavorando nel ventre del movimento controculturale, si è trovato in una posizione unica per esporne le contraddizioni. Invocation è in definitiva una testimonianza del potere della visione di Anger. Non ha previsto gli omicidi di Manson con il casting di Bobby Beausoleil, né le morti ad Altamont filmando gli Hells Angels. Ma Anger ha riconosciuto le forze subliminali che costringevano le persone ad agire in modi che altrimenti non avrebbero fatto.

OGNI ANIMA È UNA STELLA — 1) Gustav Meyrink – Axis ✵ Mundi


Su AxisMundi un post astrologico sullo scrittore esoterico Gustav Meyrink. Un corposo estratto:

Già con la superficiale vista del segno e ascendente (Sole-Capricorno, Ascendente-Gemelli) si può dire che si tratta di un individuo concentrato nell’usare il suo intelletto per realizzare i suoi obiettivi, un sapere autorizzato e finalizzato, qui la curiosità è responsabile.
Il Sole congiunto a Mercurio e Marte porta l’io a proiettarsi nel pensiero e nell’azione. Troviamo quindi una amplificazione delle caratteristiche mercuriali già forti attraverso l’ascendente e quelle marziali attraverso l’esaltazione di Marte nel Capricorno. Inoltre questo aspetto porta forza e sicurezza nella formulazione del pensiero e delle idee, l’io riesce a trovare immediato corpo di azione attraverso la parola (☿) e attraverso il gesto, l’azione che simbolicamente appartiene alla guerra ma che per analogia riguarda tutto ciò che si immette, proietta attivamente attraverso l’energia fallica. Tale proprietà è interessante da notare nel tema in quanto si riferisce a uno scrittore: la penna sul vergine foglio, il dito sull’accondiscendente tasto — sono tutti simboli fallici che connettono la scrittura a Marte.

Però questa congiunzione si dispone su due fronti vicini, su diverse case: l’io e il pensiero (Sole-Mercurio) sperimentano la IX casa, dunque simbolicamente si può parlare di un interesse verso i temi filosofici: qui si trova il senso, il nucleo motrice, l’investitura divina nella vita. È una casa di idealismo che costringe i pianeti in essa, a affrontare e affermare da sé e da altri i propri processi espansivi, ideali, credenze che devono diventare tangibili anche attraverso prove e abbagli; è una casa che esalta, crea uno slancio per far funzionare correttamente gli archetipi personali interessati nella vita. L’operato letterario di G.M. è fonte di grandi suggestioni, è un voler ispirare, far insorgere all’interno del lettore la necessità di mantenere il fuoco acceso, “stare svegli” — è la casa del Sagittario: l’individuo attinge esperienza dal tempo funzionale alla sopravvivenza nei momenti più bui dell’anno, è un fuoco invernale, un fuoco che si sta per spegnere e si alimenta nel sostenere con la fede la rinascita del sole che avviene per l’appunto al termine del segno, ossia il 21 dicembre, giorno del solstizio — parole ispiratrici dunque e suggestioni radicali, esaltanti, per alcuni fin troppo ardite, destabilizzanti, suggestioni che in parte volutamente hanno saputo trasmettere una tensione, e una “provocante” paura: si tratta comunque di uno scrittore, se non orrorifico stricto sensu, fantastico e decadente — e a conferma di ciò rileviamo la congiunzione di tali pianeti con Lilith, che rende un individuo tagliente e “arpionante”, un individuo che non ha paura della propria “ombra” (in positivo), un’anima che sa ascoltare tutto ciò che non è “normale” e “conforme” per la società — questi sono i temi principali che portano Lilith o apogeo lunare sotto le vesti del mito sulla ribellione verso il patriarcato — e tipico di Lilith: fornire un magnetismo che può spaventare l’esterno, percepire l’individuo Lilith come un usurpatore, un tentatore o un essere da tenere lontano. Posso solo accennare ai casi giuridici a cui G.M. è stato sottoposto anche a causa delle sue idee e ai casi spirituali come le critiche che Rudolf Steiner rivolgeva alle sue “visioni” o alle tremolanti considerazioni di René Guenon nella lettera a Guido De Giorgio in cui si lamentava del contributo di Julius Evola nel pubblicare le opere di G.M., ritenuto dal tradizionalista francese un uomo sinistro e inquietante. Ma Lilith ha anche una forte correlazione con la magia e attraverso suoi transiti o posizioni di nascita può indurre il confronto con un’altra mente — è un apogeo ossia una luna occulta, non ha un corpo fisico, ma una dimensione spettrale — e uso questo punto per trattare dalla casa in cui giace Lilith e Marte, ossia la VIII: è la casa dell’inizio della morte, la dimora di Plutone, delle paludi ctonie procreative e della ricchezza minerale che emerge sedimentandosi sulle sponde. È una casa d’acqua legata al segno dello Scorpione, il suo ambiente è torbido e stagnante. Il veleno rende fertile questa terra: è infatti la casa delle “acque corrosive” e del mutamento (XIII arcano), connessa con il denaro e la sessualità, le vie occulte di conoscenza, con tutto ciò che prevede una “trasvalutazione”, uno scambio, una trasmutazione, un “solve”. La casa VIII è la conoscenza che cambia il conoscitore.

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Apollo, Angelo dell’Abisso | Axis ✵ Mundi


Su AxisMundi la recensione di Giovanni Sessa al saggio di Marco Maculotti “L’Angelo dell’Abisso. Apollo, Avalon, il mito polare e l’Apocalisse”, in cui s’indagano le interazioni mitologiche, energetiche ed esoteriche di Apollo. Un largo estratto:

Il libro muove dalla condivisibile concezione che gli archetipi, compreso quello apollineo: «sono ancora vivi e vegeti, e aspettano solo di essere colti da chi sappia comprenderli e “svelarli” dalla patina storica con la quale sono stati così accuratamente offuscati» (p. VIII). Si tratta di un testo che, costruito tanto sull’analisi delle fonti antiche quanto sulla più accreditata letteratura critica, decostruisce il mito di un Apollo esclusivamente uranico, solare, prodotto tipico del neoclassicismo di Winckelmann e presenta un Apollo dal duplice volto, tanto solare, quanto ctonio.

Marcel Detienne, in uno studio ricordato da Maculotti, Apollo con il coltello in mano, ha sostenuto che il nome del dio rinvia al verbo apollunai, «far morire», significato che, con tutta evidenza, è sintonico alla dimensione tellurica. Eliade aveva colto nel dio della Luce qualità ambigue e nient’affatto riconducibili al mero ordine del reale e all’armonia cosmica. La potestas apollinea, infatti, in Attica era collegata a Pan e alle Ninfe, portatrici, come ben sapeva Calasso, delle «acque mentali» atte a indurre mania. Le Sibille vivevano in antri sotterranei e in essi, visitate dal dio, vaticinavano. Maculotti, in sostanza, sostiene che Apollo è dio della coincidentia oppositorum, nella sua figura divina convissero la dimensione polare e il daimon sotterraneo: «Una doppiezza che, tuttavia, si risolve proprio comprendendo l’essenza di quella dimensione assiale di cui Apollo è epifania, quell’Iperborea dalla quale proviene» (p. 6).

L’autore rileva, inoltre, che il culto apollineo sorse in stretta connessione con la tradizione sciamanica nordasiatica. Per questo i suoi sacerdoti, gli Iatromanti, come attestato da copiosa e verificata letteratura, compivano viaggi «in spirito» e immersioni nell’Ade. Essi, il più delle volte «vivevano e agivano da asceti solitarî, praticando una forma di religiosità che esulava nettamente dai riti e dai sacrificî su cui era imbastita la religione olimpica delle póleis» (p. 7). Sciamanesimo e culto apollineo trovarono una loro coerente elaborazione e sviluppo nella nascita della filosofia, stante la lezione di Colli e Tonelli. Il culto del Fuoco, così rilevante in Eraclito, rinvia al Fuoco-Luce quale arché che vive nei molti e dinamizza la physis. L’esperienza sciamanica è, del resto, presente in Empedocle. La sua morte, realizzata gettandosi nel cratere dell’Etna, rinvia a un’ascesi che si mostra solo successivamente alla pratica della «discesa agli inferi». Molte le testimonianze inerenti i Sapienti che narrano di pratiche estatiche atte a separare l’anima dal corpo, mentre altre testimoniano delle loro capacità medico-taumaturgiche.

 

L’«Altra Realtà» di Arthur Machen – Axis ✵ Mundi


Su AxisMundi una segnalazione/recensione a Un’altra Realtà. Racconti del Mistero, saggio di Pietro Guarriello sulla figura di Arthur Machen, uno dei massimi autori del weird mondiale; un estratto:

Fino a qualche tempo fa un comune appassionato di letteratura fantastica avrebbe associato il nome di Arthur Machen al Grande Dio Pan e al Popolo Bianco. O, forse, a nessuno dei due. Negli ultimi anni la produzione macheniana sta venendo riscoperta da più prospettive, anche grazie al costante lavoro di Pietro Guarriello e della Dagon Press. Il quarto numero della rivista Zothique, uscito nell’estate del 2020, è interamente dedicato allo scrittore gallese, offrendone una panoramica tanto esauriente quanto approfondita. Come sottolinea Matteo Mancini nella sua dettagliata ricostruzione:

“Era un personaggio che ripudiava il materialismo, completamente disinteressato ai soldi e alle cose materiali, sospettoso circa l’utilità del progresso scientifico, essendo ancorato a valori spirituali che lo portavano a regredire ai fasti di un antico passato, in un crocevia di culture tra paganesimo e cristianesimo, passando dalle tradizioni romaniche a quelle celtiche, per interessarsi più alle cose dell’altro mondo – quello a cui si riferiscono gli occultisti – che a quelle del mondo che scandisce i ritmi e determina le scelte di vita della maggior parte delle persone”.

Un’altra realtà. Racconti del Mistero presenta dodici racconti, una poesia e un saggio perlopiù inediti in Italia, introdotti da un testo di Marco Maculotti e dalle contestualizzazioni storico-editoriali del curatore. Nella puntuale introduzione Maculotti, giunto all’ennesima pubblicazione macheniana in pochissimi anni, rileva i tratti biografici principali dell’autore, la stima profonda di Howard Phillips Lovecraft nei suoi confronti, nonché l’utilizzo dell’idioma inquietante definito gaelico cosmico o lingua delle fate.
I racconti, che coprono un arco temporale di quasi cinquant’anni, sono fortemente caratterizzati da un velo di mistero e da un’aura di alterità rispetto al mondo materiale. Del resto, all’inizio del saggio che dà il titolo alla raccolta, Machen scrive senza mezzi termini: «Le persone certe che non ci sia nient’altro, oltre alla materia, sono mediocri; e proprio il muro contro cui si appoggiano si comporta in maniera strana, minacciando di volger loro le spalle prima in direzione dell’energia, e poi della mente».

Non stupisce dunque che uno dei temi centrali della raccolta risieda nel rapporto con sé stessi e nella ricerca della propria individualità. In Johnny e il doppio, uscito nel 1928 e definito da un recensore dell’epoca come un racconto «abbastanza insolito da regalare un brivido», Machen indaga la figura del Doppelgänger attraverso un giovane protagonista in grado di sdoppiarsi e di trovarsi contemporaneamente in due posti differenti, talvolta in degli scenari macabri. La metafora del doppio viene affrontata da un’altra prospettiva in uno dei testi più brevi del volume, Psicologia, pubblicato nella raccolta Ornaments in Jade nel 1924, composta da dieci mistici poemi in prosa. In questo intenso frammento Machen relaziona il contesto di un tranquillo quartiere di Londra con le convulse riflessioni esistenziali di uno scrittore, animate dalla rabbia, dal sogno e dalla follia. La narrazione, che ruota attorno all’insondabilità profonda della natura umana, si conclude con una domanda paradossale: «E ogni giorno […] conduciamo due vite, e la metà della nostra anima è follia, l’altra metà un cielo illuminato da un sole nero. Dico di essere un uomo, ma chi è quell’altro che si nasconde dentro di me?».

La nuova carne presenta: “Massacro – la rivista novocarnista” | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la segnalazione di una nuova rivista, Massacro, edita dal collettivo più attivo del momento: “La nuova carne”. Vi lascio alle note del curatore:

Massacro è la rivista di horror, weird, fantascienza, narrativa, controcultura e cultura estrema dell’associazione culturale La nuova carne. Massacro è un dispaccio d’orrore che proviene da Marte, o dalla Cambogia di Kurtz; è un pensiero dogmatico frantumato; è narratologia dell’oscuro/dell’oscurato. MASSACRO sono le dita di San Tommaso che rovistano il costato di Dio; Massacro è il cazzo di Rasputin, Massacro è la gamba amputata di Rimbaud; è il suono cacofonico delle lamiere che trasuda, incubato nel cemento e nella terra rapinata, dai piazzali delle fabbriche abbandonate.

Homunculus, di Giorgio Borroni
William Mortensen, di Niccolò Ratto
Essi vivono, noi dormiamo, di Marco Maculotti
Poesia Dark: Rapsodia di sangue, di Alessandro Manzetti
Divorati dall'”altro” cannibale
, di Eleonora D’Agostino
L’ultimo volo di Bird, di Alessio Bacci e Diego Frazzi
Ballard e il rifiuto dell’utopia
, di Stefano Spataro
Livello 49, di Alessandro Pedretta
Racconti: Mister Sangue
, di Caleb Battiago
Concerto
, di Andrea Mungello
L’uomo senza pisello, di Stefano Fantelli

Illustrazione di copertina di Luca Brandi, Illustrazioni interne di Luca Brandi, Stefano Cardoselli e Piercarlo Carella, Grafica e impaginazione di Andrea Garagiola. A cura di Alessandro Pedretta. Pagine: 72, € 8,32

Convegno: “Psychic Landscape. Psichedelia, Magia e sviluppo della Coscienza” – A X I S ✵ m u n d i


Su AxisMundi la segnalazione del convegno Psychic Landscape. Psichedelia, Magia e sviluppo della Coscienza, che verrà tenuto domenica 27 febbraio a partire dalle 17.00 sul canale youtube LSDZ; vi lascio ai contenuti dell’evento:

“Ritengo che il linguaggio sia qualcosa che deve essere visto, non udito, e penso che ci evolveremo verso un linguaggio visibile, anche se al momento stiamo operando con questi codici acustici di qualità scadente. Credo che per certi versi la storia sia il processo che permette a questo linguaggio naturale di uscire, rivelarsi, definirsi, raffinarsi”. – Terence McKenna

Le sostanze psichedeliche nell’ultimo secolo sono state oggetto di grandi controversie da un punto di vista prima mediatico e poi sociale. È solo grazie ad alcuni grandi pionieri della ricerca antropologica ed etnobotanica, come Mircea Eliade e Terence McKenna, e in un secondo momento ad altri ricercatori in campo scientifico come Albert Hoffmann ed Eric Strassman, che l’occidente inizia a vedere queste sostanze sotto una luce diversa.

“È come far cadere una goccia di inchiostro in una tazza d’acqua pulita, improvvisamente le correnti convettive dell’acqua limpida diventano visibili, perché le particelle di inchiostro tratteggiano le dinamiche dell’acqua stagnante che prima erano invisibili. La mente è esattamente così, e gli psichedelici sono simili a un colorante gettato in questo sistema acqueo.”

Partendo da questo assunto esploreremo i mondi delle sostanze enteogene, cercando di metterli in relazione con quell’aldilà popolato di esseri ed entità di cui parlano i maghi e gli sciamani di tutte le ere. Per affrontare questo viaggio nel mondo degli psichedelici abbiamo pensato di coinvolgere ospiti nazionali e internazionali, passando dalla ritualità sciamanica messicana e andina, ai moderni approcci occidentali sviluppati dai pionieri della psiconautica come Peter J. Carrol ed altri esponenti della Chaos Magic. Sarà Julian Vayne a guidarci in questo ultimo argomento, con oltre trent’anni di esperienza nel campo della Chaos Magic e di studi sulle sostanze enteogene.

Il servizio divino dei Greci | AxisMundi


Su AxisMundi un lungo articolo che tratteggia i caratteri salienti dall’antica religione greca, rilevandone le caratteristiche sacrali che “si fondano su una fitta rete di corrispondenze mitico-storico-astrologiche, che consente allo storico delle religioni di considerarla sotto vari aspetti fra loro concatenati: Teogonia, storia esoterica del cosmo e delle stirpi umane, escatologia dei Misteri, sciamanesimo iperboreo”. Alcuni dettagli maggiori:

Nell’antico Egeo, millenni di riti e credenze sacre, in una prima fase “preistorica” pre-indoeuropea (o forse, piuttosto, proto-indoeuropea) e in una seconda fase “storica” indoeuropea, si sono stratificati e armonizzati sorprendentemente, al punto che spesso risulta difficile comprendere con esattezza a quale delle due fasi cultu(r)ali essi appartengano. Storie di dèi ed eroi, disseminate su tutto il territorio dell’antica Ellade, col passare dei secoli hanno plasmato un corpus mitologico che non ha meramente il carattere della leggenda e del folklore, essendo anche fortemente impregnato di corrispondenze esoteriche ed astrologiche. «Non v’è mai stato un servizio divino pari a quello greco: per bellezza, sfarzo, varietà e unità esso è unico al mondo e rappresenta uno dei prodotti più alti dello spirito universale».

“Isis in Paris”: note sul simbolismo ermetico della Cattedrale di Notre-Dame – A X I S ✵ m u n d i


Su AxisMundi un corposo articolo sulla Cattedrale di Notre Dame di Parigi. Una storia che comincia in epoca pagana, col tempio dedicato a Giove riconvertito in chiesa e poi cattedrale della fede cristiana a partire dal IV secolo d.C., arricchendosi via via di simboli che Fulcanelli, nel suo celebre tomo sulle cattedrali gotiche, ha indagato dal punto di vista alchemico ed esoterico. Un estratto della trattazione:

Victor Hugo definì Notre-Dame di Parigi, «un geroglifico completo, la sintesi più soddisfacente della scienza ermetica». Quest’opera divina più che umana, espressione dell’architettura gotica fu costruita per custodire i segreti cristiani che non possono essere compresi da tutti costituendo una vera e propria enciclopedia completa, depositaria di misteri e punto di congiunzione tra il mondo della manifestazione e quello della trascendenza.

La facciata occidentale, affiancata dalle torri campanarie gemelle mostra l’immagine della lettera H corrispondenti alla eta greca (Η, η), iniziale del dio solare Helios e all’ebraica hêt (ח) del nome di Elia. Il simbolo della luce è comune e allude al collegamento tra terra e cielo tralasciando appositamente la numerologia del 4 e dell’8 cui è riferito.
Il portale di centro della facciata occidentale, dopo numerosi restauri e ricostruzioni, è depauperato di gran parte dei simboli, ma sul pilastro centrale erano presenti le allegorie delle scienze medioevali, tra cui l’Alchimia, che si staglia frontale al sagrato su un posto d’onore. Raffigurata come una donna assisa in trono con la fronte rivolta verso il cielo, sfiora le nuvole e reca uno scettro nella mano sinistra (sovranità) e due libri nella destra, uno chiuso (esoterismo), l’altro aperto (essoterismo). Stringe tra le ginocchia una scala di nove gradini, scala philosophorum, simbolo ascensionale mistico che innalza l’uomo attraverso la trasformazione verso il Divino e la comprensione dell’arte.

Osservando la porta centrale, fuori delle strombature, emergono quattro bassorilievi; il sacrificio di Isacco da parte di Abramo, Giobbe sul letamaio, San Cristoforo che attraversa un torrente e infine un uomo su una torre, intento a scagliare frecce verso il Sole. Quest’ultima figura per molti è Nimrod, costruttore della Torre di Babele, che dopo aver combattuto l’umanità è raffigurato nell’atto di sfidare Dio. Per gli ermetisti queste figurazioni bibliche incarnano la ricerca della Pietra Filosofale, laddove Abramo è emblema dell’obbedienza, Giobbe del dolore, San Cristoforo della carità e Nimrod del desiderio di potenza, ostile avversario dei praticanti l’Arte.
Ai lati del portale, una serie di dodici bassorilievi mostrano, sotto forma di simboli racchiusi in medaglioni e sorretti da altrettanti personaggi, le fasi evolutive della Grande Opera alchemica. Nella fila superiore emerge il Corvo di colore nero che rappresenta la “Putrefazione” ovvero la fase di nigredo. Conclude la serie l’emblema del Pentagono, riferimento allegorico all’Athanor, e alla figurazione della Pietra Filosofale.

Il portale d’accesso principale, in posizione centrale, è detto “Portale del Giudizio Universale”, in riferimento al tema dei bassorilievi della parte superiore. Nell’architrave, in particolare si evidenzia la raffigurazione della resurrezione dei morti dalle tombe, annunciata alle due estremità da angeli che suonano la tromba. Nella fascia immediatamente sovrastante, San Michele Arcangelo e Satana collaborano amichevolmente alla pesa delle anime, che vengono suddivise tra beati a sinistra e dannati a destra mentre il diavolo ambiguamente cerca di spostare il peso della sua parte.

Voci notturne a ponte Sublicio – A X I S ✵ m u n d i


Marco Maculotti su AxisMundi traccia le rotte esoteriche e non solo che Pupi Avati predispose, più di ventisei anni fa, col suo sceneggiato TV Voci Notturne, trasmesso in prima serata su Rai1 e di fatto, da allora mai più rimandato in onda così popolarmente.

Al centro della misteriosa vicenda vi è infatti il ricordo (che solo ricordo non è) di ancestrali riti sacrificali con vittime umane, officiati dai sacerdoti del culto dal ponte Sublicio, che fu il primo ponte sacro per i Romani, evidentemente continuatori di una tradizione più arcaica, di ecumene etrusca. Il ponte da cui il sacrificio veniva effettuato era stato edificato, secoli prima del dominio romano, in legno senza l’utilizzo dei chiodi (Sublicius significa proprio “che poggia su pali”): peculiarità da connettere forse alla credenza diffusa anticamente, ad es. anche nei paesi celtici, sull’effetto negativo del ferro sugli spiriti dimoranti nell’Altro Mondo.

Si trattava, dunque, di un rito antichissimo, espressione esteriore di un culto in parte acquatico officiato in epoca romana dal collegio sacerdotale degli Argei: ogni anno le vestali gettavano dal ponte alcuni manichini di vimini, come reminiscenza dei mai dimenticati (e, forse, mai realmente interrotti) sacrifici umani che venivano compiuti nel medesimo luogo in epoca preromana. La vittima veniva precedentemente cosparsa di unguenti e le si faceva ingurgitare una sostanza purificatrice, un estratto di silfio, per separarla dal mondo profano. Il suddetto background storico degli avvenimenti narrati nei cinque episodi che compongono Voci notturne ci viene riferito nel bel mezzo di un dialogo dell’episodio IV: viene pure riportata una testimonianza di Marco Terenzio Varrone, secondo cui le vittime designate (due per volta) venivano annegate nel Tevere, anticamente chiamato Albula.

Fin dai tempi della dominazione etrusca — si rivela in seguito — i costruttori del ponte (pontifex) avevano mantenuto il più stretto riserbo sul segreto iniziatico connesso ai sacrifici rituali, di cui essi erano e — lasciano intendere gli eventi narrati in Voci notturne — sono tuttora gli unici depositari. Da tale confraternita semisegreta derivò successivamente, come viene esplicitato nel IV episodio, quella dei Fratelli Muratori e dei Costruttori delle Cattedrali gotiche. Viene anche detto che i membri della setta, che tra di loro si chiamano alternativamente “custodi del passaggio”, “costruttori del passaggio” e “costruttori del ponte”, si ricordano le rispettive vite passate e si credono immortali, oltre a essere capaci di uccidere pur di mantenere gelosamente i proprî segreti.

Uno di questi sta proprio nell’utilizzo del silfio: proprio semi di silfio vengono rinvenuti nello stomaco di Giacomo Fiorenza, il ragazzo morto improvvisamente in apertura dell’episodio pilota del serial… peccato solo che la pianta del silfio sia estinta da almeno 1500 anni! Più avanti (ep. IV) viene ad ogni modo rivelato che il suo utilizzo provoca effetti stupefacenti: nella massa cerebrale del giovane Giacomo, infatti, continuano a registrarsi deboli segnali elettrici anche a mesi di distanza dalla sua dipartita.

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Giovanna d’Arco, le Fate e “San Michele” | AxisMundi


Su AxisMundi – dove, come sempre, gli articoli sono molto interessanti – un piccolo trattato su Giovanna d’Arco e le fate, e le sue visioni mistico-surreali. Un buon estratto:

Sebbene molti ritengano che, storicamente, l’Europa sia da quasi mille anni interamente cristiana, lo studio delle testimonianze d’epoca, a partire dai processi alle streghe e dai canoni ecclesiastici, ci racconta una storia ben diversa, che emerge tra le pieghe per chi la sappia vedere. Per gli studiosi della storia delle religioni dell’ultimo secolo, d’altronde, la contrapposizione cultuale e ideologica che oppose, per quasi due millenni, il cristianesimo e le religioni native europee è cosa nota.
Giovanna d’Arco era nata a Domrémy: questo luogo era noto nell’antichità per aver dato i natali a numerosi sensitivi e guaritori, individui cui nella tradizione celtica si attribuisce la cosiddetta «seconda vista». Non lontano dal villaggio svettava un faggio, denominato dai popolani «l’Albero delle Fate» o «delle Signore». Era un faggio, da cui si ricavava ogni anno, per la festa di fine anno, il «palo di maggio» (o, più semplicemente, «il maggio»). A poca distanza sorgeva una fonte sacra,  alle cui acque si attribuiva il potere di guarire le febbri. Giovanna fin da bambina danzava intorno all’Arborum Dominarum, intrecciava ghirlande di fiori freschi e ne decorava i rami in onore all’immagine di Santa Maria di Domrémy, e «cantava canti e carmi con certe invocazioni». È evidente che il substrato mitico e sacrale del luogo è tutto fuorché cristiano: siamo nell’ambito del culto delle Fate (Faés) o «Dame Bianche», di sapore inconfondibilmente celtico. Quella del fairy-tree è una tradizione ancora oggi diffusa in Irlanda: io stesso ne ho visitati un paio, presso la sacra collina di Tara e la tomba a corridoio di Carrowkeel, siti entrambi risalenti al Neolitico (il che la dice lunga sulla longevità storica di certi culti).

Era inevitabile che prima o poi se ne accorgesse anche il potere ecclesiastico, ancor più allarmato in quanto correva voce tra i popolani che Giovanna avesse ricevuto la sua missione divina dall’Albero delle Fate. Sotto le sue fronde aveva udito delle voci, che da quel momento in poi la indirizzarono in tutte le decisioni più importanti della sua vita. Durante gli atti processuali, interrogata dagli inglesi, confessò che la sua madrina aveva visto le Fate e ci aveva parlato, ma sottolineò il fatto che ella era «una donna buona, e non una divinatrice o una strega». Le confessioni della giovane ricordano quelle dei Benandanti friulani quando vennero interrogati dall’Inquisizione, tra il XVI e il XVIII secoli, sui proprî caratteristici culti «estatico-agrari», di netta impronta pagana: come questi anche Giovanna riceve nottetempo le visite di un «angelo di luce», che scoprirà poi essere San Michele.

«Quelli della mia parte sanno bene che la voce mi fu mandata da Dio, hanno visto e conoscono questa voce. Anche il mio re e molti altri hanno udito le voci che venivano a me… Vidi lui [San Michele] con gli occhi del mio corpo, come vedo voi», si difese Giovanna, affermando di averlo visto molte volte prima di sapere che era San Michele, quando era ancora bambina. Obbedendo alle voci, la novella Vestale era convinta di fare la volontà delle «Persone Sante», di cui San Michele era il comandante nella millenaria guerra contro il Male. Rifiutò ostinatamente di giurare sul Vangelo e fu difficile persuaderla a fare lo stesso col messale, e quando le domandarono se avesse mai bestemmiato Dio, rispose che «non aveva mai maledetto i Santi». Chiestole se avesse mai rinnegato Dio, affermò di «non aver mai rinnegato i Santi»: «io credo alla Chiesa che è in terra».

Giovanna era convintissima della sua missione divina, e nessuno avrebbe potuto convincerla del contrario. La Francia, d’altronde, si era salvata grazie a lei, e alle voci a cui ella obbediva. All’inizio del processo disse che «era venuta da Dio» e che «non aveva niente da fare qui», chiedendo a gran voce di essere rimandata al più presto donde era giunta. Come il Salvatore cristiano, sapeva già che il suo tempo era limitato, perché glielo avevano rivelato le voci delle Persone Sante: sarebbe stata presa «prima della festa di S. Giovanni», cioè il solstizio d’estate. Tuttavia le dissero anche che non doveva affliggersi ma accettare fino in fondo il suo destino e la sua missione, che sarebbe infine giunta nel regno dei cieli. Su queste entità divine, che sebbene negli atti del processo denomini «angeli» presentano molteplici punti di contatto con i fairies (lett.: «i luminosi», «gli splendenti») del folklore celtico, aveva detto ai suoi accusatori: «Vengono spesso tra gli uomini senza che nessuno li veda; io stessa li ho visti molte volte in mezzo alla gente».

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