Su FantasyMagazine la segnalazione – e qui la recensione – di Dalíland, biopic dedicato agli ultimi anni del maestro Salvador Dalí.
Il film è il racconto del crepuscolo della vita dell’artista, che, tra luci e ombre, e indaga su alcuni degli aspetti meno noti della sua quotidianità. Il giovane James, interpretato da Christopher Briney, viene ingaggiato dalla moglie di Dalí, Gala, interpretata da Barbara Sukowa, entrando nel suo entourage e scoprendone alcuni segreti. Nel cast Ezra Miller nel ruolo del giovane Dalì e Andreja Pejić in quello di Amanda Lear, musa dell’artista per molti anni.
Su PinkFloydItalia l’annuncio dell’uscita di Have You Got It Yet? The Story of Syd Barrett & Pink Floyd, documentario su Syd Barrett e su cosa ha significato per lui e per noi il periodo in cui è stato con i Floyd, all’inizio della loro parabola. In basso il trailer del film:
Icona di culto, enigma, recluso… la vita di Syd Barrett, membro fondatore dei Pink Floyd, è piena di domande senza risposta. Fino a oggi.
Mettendo insieme la sua ascesa cometaria alla celebrità pop, i suoi impulsi creativi e distruttivi, l’esaurimento nervoso, l’uscita dalla band e la successiva vita solitaria, questo documentario si inserisce nel contesto sociale degli esplosivi anni Sessanta. Diretto da Storm Thorgerson (Hipgnosis) e dal pluripremiato regista Roddy Bogawa, presenta nuove interviste agli amici, agli amanti, alla famiglia e ai compagni di band di Syd, Roger Waters, David Gilmour e Nick Mason. Il documentario – che prende il nome da una canzone inedita che Barrett portò alle sue ultime prove con i Pink Floyd – include anche interviste a legioni di artisti ispirati dalla breve permanenza di Barrett nella band – Pete Townshend degli Who, Graham Coxon dei Blur, Andrew VanWyngarden degli MGMT e altri ancora – oltre agli ex manager dei Pink Floyd Peter Jenner e Andrew King, al drammaturgo Tom Stoppard e alla sorella di Barrett, Rosemary Breen.
Il sito ufficiale del documentario: https://www.sydbarrettfilm.com/
Su PinkFloydItalia è uscita questa singolare segnalazione sul libro “Together we stand divided we fall”, versi della celebre song “Hey You” contenuta nell’album dei Floyd “The wall”. Nicola Randone ne è il curatore e indaga da più di dieci anni i significati intrinseci al film omonimo, diretto da Alan Parker.
L’opera “The Wall” dei Pink Floyd non è solo un film, né tantomeno semplice musica pop. I fan conoscono bene le tante sfaccettature nella poetica di Roger Waters (il writer principale) e il suo gusto per le tematiche di tipo esistenziale, ma per molti “The Wall” è rimasto sempre un mistero troppo complesso da approfondire: perché una rockstar drogata dovrebbe diventare un dittatore e che c’entra tutto questo con un padre morto in guerra, una madre iperprotettiva, un maestro di scuola troppo zelante nel voler formare le giovani menti e poi un matrimonio fallito? Cosa c’è dietro la “visione fugace” di Comfortably Numbe perché il maestro ripete sempre ai suoi alunni che non possono avere il dolce se non mangiano la carne? A questa e a tante altre domande, Nicola Randone prova a dare una spiegazione, servendosi del film che fu realizzato qualche anno dopo l’album musicale. Il lavoro di analisi, durato più di dieci anni, ruota intorno all’enorme portata culturale di “The Wall”. Come dice lo stesso autore: «Questo lavoro mi ha portato a interrogarmi su me stesso e sul mondo che mi circonda in un modo che mi è sempre sfuggito e alla fine della lettura sono sicuro che anche voi inizierete a domandarvi, come ho fatto io, cosa state facendo del vostro muro e quale versione di voi state portando avanti, se quella del dittatore o al contrario quella dell’uomo capace di mantenere il contatto col prossimo, per scoprire che gran parte della rabbia, della solitudine, del senso di frustrazione che possiamo avvertire ogni giorno può essere spazzata via solo cambiando prospettiva; e non si tratta di seguire un guru o rigide regole di respirazione, è sufficiente ritornare ad ascoltare la propria umanità».
Su PinkFloydItalia la news della messa in onda live – in alcuni cinema – del concerto di Praga di Roger Waters. I dettagli:
Trafalgar Releasing, in collaborazione con Sony Music, collabora con Roger Waters per la terza volta, dopo le trasmissioni cinematografiche dei concerti “Us And Them” e “The Wall Live”. Infatti Giovedì 25 maggio 2023, trasmetteranno lo spettacolo di Roger “This Is Not a Drill” in diretta dalla O2 Arena di Praga nei cinema di tutto il mondo. Questo evento cinematografico presenterà 20 canzoni classiche dei Pink Floyd e di Waters, oltre al nuovo brano “The Bar”. L’evento live sarà diretto da Sean Evans e trasmesso in oltre 1.500 cinema in più di 50 paesi. I biglietti saranno in vendita da martedì 25 aprile su www.thisisnotadrillfilm.com, dove dovrebbero essere disponibili anche i dettagli sui cinema aderenti. Si informa che l’evento è stato spostato in alcuni mercati per adattarsi ai fusi orari locali, il che è una mossa sensata, per evitare di trovarsi nel bel mezzo della giornata lavorativa o nel cuore della notte. Non è ancora dato sapere se e in quali sale italiane sarà possibile vedere lo show.
Questo il comunicato stampa:
Per una sola notte, Roger Waters, la forza creativa degli anni d’oro dei Pink Floyd, presenta il suo primo tour d’addio, “This Is Not a Drill”, in diretta da Praga, nei cinema di tutto il mondo. Questa stravaganza cinematografica è uno straordinario atto d’accusa contro la distopia aziendale in cui tutti noi lottiamo per sopravvivere e includerà 20 canzoni classiche dei Pink Floyd e di Roger Waters, tra cui: “Us & Them”, “Another Brick In The Wall, Pt. 2”, “Wish You Were Here” e “Is This The Life We Really Want?”. Waters debutterà anche con la sua nuova canzone, “The Bar”.
Waters sarà affiancato sul palco da Jonathan Wilson, Dave Kilminster, Jon Carin, Gus Seyffert, Robert Walter, Joey Waronker, Shanay Johnson, Amanda Belair e Seamus Blake per offrire uno spettacolo indimenticabile con un appello all’azione per amare, proteggere e condividere il nostro prezioso pianeta natale. Si prega di notare che questo evento è stato spostato in alcuni mercati per adattarsi ai fusi orari locali.
Su FantasyMagazine la recensione a Plan75, film – mica tanto, come al solito – distopico giapponese sull’eutanasia che garantisce il sempreverde a una società fortemente votata al liberismo e alla crescita sfrenata e infinita. Vi lascio alla rece:
In un Giappone di un futuro prossimo, per risolvere il problema dell’eccessivo invecchiamento della popolazione, viene ideato il Plan 75, ovvero un aiuto di stato al suicidio assistito per quegli ultrasettacinquenni che ne volessero usufruire, sacrificandosi per il bene comune. Aiuti economici, supporto psicologico, funerali e cremazioni gratuiti persino, a condizione che si accetti di venire cremati insieme ad altri e non singolarmente.
Il quadro che ne viene fuori è devastante. Se è vero che l’adesione a Plan 75 è su base volontaria, è l’intero modello sociale che sembra spingere gli anziani verso il suicidio come unica opzione possibile. Plan 75, scritto e diretto da Chie Hayakawa è una distopia che non spinge sul pedale della descrizione avveniristica di un futuro prossimo venturo. Scegliendo in realtà una rappresentazione aderente al nostro tempo ci mostra come certi processi sembrino già in atto, con il progressivo deupareramento di risorse del welfare, in Giappone come anche nel resto del mondo.
Su HorrorMagazine la segnalazione di Alle radici di un nuovo immaginario, un saggio dei già conosciuti su CarmillaOnLine Gioacchino Toni e Paolo Lago. La quarta:
Consapevoli che lo sguardo sull’alterità è inevitabilmente anche uno sguardo su se stessi, sulla propria identità, alcune opere cinematografiche uscite a ridosso dei primi anni Ottanta del Novecento – Alien(1979) e Blade Runner(1982), entrambe di Ridley Scott, La Cosa(1982) di John Carpenter e Videodrome(1983) di David Cronenberg – hanno affrontato in maniera del tutto nuova le montanti paure identitarie del periodo costringendole al confronto con alterità sempre più spaventose. In film come questi, di cui vengono qua indagati i concetti di identità, alterità e spazio, si possono cogliere le premesse alla nostra contemporaneità, le radici di un nuovo immaginario.
Su Tribunus un bell’articolo sul poema – e implicitamente sul film – De Reditu, del poeta tardo latino Claudio Rutilio Namaziano. Un estratto:
Il De Reditu è un poemetto in distici elegiaci, scritto da Claudio Rutilio Namaziano.
Il manoscritto originale, oggi perduto (ma ancora attestato nel 1706), venne scoperto nel 1493 nel monastero di Bobbio da Giorgio Galbiate, filologo e umanista.
L’opera si compone di due libri, ma il secondo si interrompe bruscamente. Nel 1973 vennero ritrovati due frammenti, i quali fanno cenno a un incontro tra Rutilio Namaziano e tale Marcellino in una località non ben individuata fra Luni e Albingaunum, e l’altro riguarda proprio la ricostruzione della città di Albingaunum (Albenga). Nonostante l’opera sia giunta incompleta, è proprio l’esistenza del poemetto stesso a darci la certezza del successo e del raggiungimento della destinazione del viaggio da parte di Rutilio Namaziano.
L’autore è a noi noto appunto solo dal poema stesso. Appartenente a una famiglia aristocratica di origine gallica, Rutilio fece una lunga carriera politica a Roma: fu dapprima magister officiorum e in seguito praefectus Urbi (nel 413 o 414). Rutilio era forse legato a circoli culturali pagani e conservatori, di cui facevano parte anche numerosi esponenti dell’aristocrazia senatoria romana. Alcuni di questi personaggi sono citati nell’opera.
Il clima del periodo, seppur filtrato dalla visione dell’autore, è restituito dai versi del De Reditu. Il motivo del viaggio di ritorno di Rutilio Namaziano verso la terra natìa (probabilmente era originario di Tolosa o comunque di una cittadina nella Gallia Narbonense. La meta del viaggio non viene esplicitamente citata nel testo) è causato dall’arrivo dei Goti e dalle distruzioni da essi causate, che costringono l’autore ad abbandonare Roma per curare i suoi possedimenti devastati in Gallia. L’invasione gota investì infatti fra il 412 e il 414 i territori della Gallia, sotto la guida del re Ataulfo.
In base a tali dati e a poche sporadiche indicazioni fornite dai versi del poemetto è possibile stabile due probabili date del viaggio: la prima datazione proposta è quella di metà novembre – dicembre del 415; mentre la seconda cade negli ultimi giorni di ottobre del 417. In entrambi i casi, il viaggio è effettuato durante il periodo del mare clausum, periodo che va da ottobre a marzo, in cui la navigazione è quasi del tutto ferma o sottocosta. L’imbarcazione utilizzata da Rutilio è una nave di piccole dimensioni, detta cymba.
Materia del De Reditu sono propri i luoghi che Rutilio vede costeggiando le sponde del Tirreno e le tappe sulla terraferma, ma non mancano riflessioni e incontri con amici, mescolati da frequenti e raffinati richiami letterari e mitologici. L’autore infatti aveva ricevuto un istruzione elevata e colta, studiando letteratura, retorica, e diritto. Il suo bagaglio culturale riaffiora proprio dai versi, in cui vi sono richiami a Ovidio, Orazio, e Virgilio, ma anche nella scelta stessa del distico elegiaco, che rimanda ai toni e ai motivi delle elegie dell’esilio ovidiano. Per Rutilio la partenza da Roma è vissuta con nostalgia e rimpianto, tutta l’ammirazione e l’amore per l’Urbe sono espressi nel cosiddetto “inno a Roma”, che si colloca nel momento in cui Rutilio con un piccolo seguito lascia la città per giungere a Portus, punto di partenza del suo viaggio. Nel poemetto non si fa mai riferimento al sacco subito dall’Urbe nel 410, ma Roma appare ancora gloriosa e come unica e vera capitale dell’Impero. Semmai, le preoccupazioni dell’autore sono incentrate su quella che lui percepisce come una decadenza dei costumi.
La lettura dell’opera doveva essere forse destinata a una cerchia ristretta e fidata di persone, probabilmente amici.
Su FantasyMagazine la recensione di Emanuele Manco a The Whale, ultimo film di Darren Aronofsky che, sappiamo bene, per ogni pellicola che realizza pone sotto shock i suoi spettatori. Ma di cosa parla in questo suo nuovo lavoro?
Quando entriamo gradualmente nella vita di Charlie (Brendan Fraser), insegnante di letteratura in gravissimo sovrappeso, adagiato pesantemente sul suo divano, lo facciamo dalla prospettiva di Thomas (Ty Simpkins), un questuante di una setta che irrompe per caso nella vita del docente. Charlie non puà alzarsi, con il suo peso di oltre trecento chili. La porta è aperta perché Liz (Hong Chau), la sua migliore amica e infermiera che lo assiste da anni, non se l’è sentita di lasciarlo con la porta chiusa in sua assenza. Ma a irrompere da quella stessa porta non sarà solo il giovane Thomas. Ellie (Sadie Sink), entra in quel caos che ha solo vaghi ricordi di quella che era una vita, non sa bene in cerca di cosa. Di risposte? Di aiuto? Charlie è consapevole di avere i giorni contati e non chiede molto, solo di ritrovare un minimo di rapporto con la figlia prima della fine. Non più più curarsi, non ne ha le possibilità. Gradualmente, dalle prospettive di chi entra in quel microcosmo, scopriremo “la verità”. Cosa ha portato Charlie in quello stato, quale dramma, quali sensi di colpa lo hanno spinto.
Praticamente assenti sono gli esterni, pochi gli ambienti. Il formato cinematografico 4:3 è funzionale a evidenziare l’immensa e tragica mole del protagonista. Ma, nonostante The Whale racconti gli ultimi giorni della vita di un uomo, non è un film senza speranza. Nonostante l’ingombrante presenza, non solo fisica, ma anche emotiva di Charlie, è anche la storia dei comprimari, Thomas ed Ellie in primis che vivranno il loro complesso arco narrativo in pienezza. Una storia di empatia, di speranza che ci si possa sempre mettere dal punto di vista degli altri, capire le ragioni di chi sembra aver commesso solo errori, spinti dalla stessa domanda di Charlie: Hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non avere un cuore?
Vi avviso, The Whale vi disturberà. Sul piano emotivo e sul piano fisico. Probabilmente dovrete bene metabolizzarlo prima di riflettere su cosa vi ha lasciato. Probabilmente non vorrete più rivederlo, o non subito quantomeno. Ma è da non perdere.
Su HorrorMagazine la segnalazione di un film che intriga, Moon Garden, film scritto e diretto da Ryan Stevens Harris e di cui è possibile vedere il trailer; la quarta:
In seguito a un terribile incidente, una bambina entra in coma e si ritrova catapultata in un oscuro e surreale paese delle meraviglie industriale. Perseguitata da un incubo che trae forza dalle sue lacrime, la piccola dovrà ascoltare la voce di sua madre attraverso una radio a transistor per cercare di ritrovare la via di “casa”.
Harris ha girato il film utilizzando una pellicola da 35 mm scaduta. E questo sembra spiegare la granulosità delle immagini, oltre a contribuire a creare l’atmosfera del film. La pellicola incorpora poi elementi di animazione in stop-motion, scenografie industriali, luci meravigliose e persino un rinoceronte delle dimensioni di un kaiju. Non possiamo quindi che dirci curiosi. La data di uscita di Moon Garden non è ancora stata fissata, ma il film verrà distribuito per certo nel corso di quest’anno.
Su TiscaliCultura la notizia del supporto di Roger Waters a C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando, film di Federico Greco e Mirko Melchiorre che sta girando l’Italia con una serie di proiezioni evento. Il film non fiction ha al centro la cronaca dell’occupazione, partita a fine 2020, in piena pandemia, con la Calabria in emergenza per la mancanza di posti letto, dell’ospedale di Cariati (Cosenza), non attivo dal 2010, quando in piena spending review furono chiusi in Italia circa 200 ospedali e 18 solo in Calabria.
“Dobbiamo reagire combattendo i poteri forti, e lo si fa anche con un bel film come questo. Dobbiamo impedirgli di distruggere tutto il pianeta, di sacrificarci sull’altare dei loro cavilli e di una mentalità commerciale. “L’establishment va combattuto per impedirgli che ci uccida tutti” – ha sottolineato Waters, che ha anche permesso ai cineasti di utilizzare gratuitamente la canzone dei Pink Floyd Money. “I poteri oscuri tentano di bloccare film come questo o anche le mie canzoni, come sta accadendo in Germania, dove stanno pensando di annullare i miei concerti accusandomi (per le sue posizioni su Israele, ndr) di essere un antisemita. Dobbiamo battere la propaganda e il cinema è una parte molto importante per farlo. Vi faccio i miei complimenti, il film mi ha commosso. La mia scena preferita è quella della danza (con gli occupanti che in una sequenza simbolica citano il finale di Allonsanfan dei Fratelli Taviani, ndr) perché mi riporta a quando avevamo un senso maggiore di comunità; riaprire l’ospedale in Calabria riguarda proprio questo, amo il film e tutte queste persone”.
Ad arricchire il film le riflessioni, oltre che di Waters (che ha fatto conoscere a tutto il mondo il caso, quando ha fatto un appello sui social a sostegno dell’occupazione), fra gli altri di Gino Strada (in una delle sue ultime partecipazioni in video, ndr); il sociologo Jean Ziegler; Ken Loach; Michael Marmot, fondatore dell’epidemiologia sociale; l’esperta di salute globale Nicoletta Dentico; il medico e attivista Vittorio Agnoletto; l’esperta di economia dei sistemi sanitari Maria Elisa Sartor; il filosofo della medicina e sociologo, Ivan Cavicchi; gli economisti Warren Mosler e Randall Wray.
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.
“Siamo l’esperimento di controllo, il pianeta cui nessuno si è interessato, il luogo dove nessuno è mai intervenuto. Un mondo di calibratura decaduto. (…) La Terra è un argomento di lezione per gli apprendisti dei.” Carl Sagan