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La nostra recensione di Zothique n. 12 | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni a “Zothique n. 12”, la rivista di cultura fantastica & weird curata da Pietro Guarriello. Un estratto:
Il nuovo numero di “Zothique” è particolarmente interessante, perché ci presenta due scrittori fondamentali – e purtroppo ingiustamente caduti nel dimenticatoio – di quella letteratura popolare che mischiava science fantasy, horror e fantascienza: Catherine L. Moore e Henry Kuttner.
Moore, che ha sempre nascosto la sua vera identità firmandosi con le sole iniziali (C.L. Moore, così usava siglare le sue opere), divenne nota grazie al racconto Shambleau, pubblicato per la prima volta sulla leggendaria rivista Weird Tales nel 1933. Si tratta di una storia che rivisita il mito della Gorgone, nel racconto interpretato in maniera eterodossa, e che riveste una particolare importanza nella storia della letteratura. Il motivo è spiegato nel bell’articolo firmato da Domitilla Campanile.
Sempre dedicato alla scrittrice americana è l’approfondito articolo di Laura Coci (fresca vincitrice del Premio Italia nella categoria “articolo su rivista non professionale”), esperta di fantascienza femminile. I suoi molti articoli li trovate in rete, sulla rivista online Vitamine Vaganti.Henry Kuttner è l’altro grande protagonista di questo numero, un gigante dell’horror e della fantascienza, presentatoci attraverso il bell’articolo di Davide Arecco. E di recente Guillermo Del Toro, nella serie televisiva Netflix Cabinet of Curiosities (che mostra anche due adattamenti di racconti di Lovecraft), ha presentato la trasposizione di un suo mitico racconto: lo spaventoso I ratti del cimitero.
Le storie pubblicate su questo numero di Zothique sono molto buone, a partire da Il segreto di Kraliz, che risente dell’influenza di Lovecraft come anche Lo strano caso del signor Geech. Lo straordinario potere di Edwin Cobalt mi ha invece ricordato certi paradossi sulla natura della realtà di Philip K. Dick e stranamente l’ho trovato simile, per certi versi, al romanzo Baffi di Emmanuel Carrère che si basava un po’ sulla stessa idea.
In definitiva un numero da non perdere che colma un vuoto nei confronti di questi due scrittori.
Cosa “raggi B”, cosa “lacrime nella pioggia”?
I sintomi che provi sono assimilabili agli stimoli che fornisci, mostri di empatia che navigano nel tuo subconscio fino alle porte di Tannhäuser.
Addio Magister | Fantascienza.com
Su Delos 235 l’editoriale di Carmine Treanni che ricorda Valerio Evangelisti, anche tramite un paio di pensieri che incollo qui sotto; Valerio ci manca ogni giorno di più…
Ecco cosa disse Evangelisti, ormai un po’ di anni fa, riguardo la letteratura di SF:
“Io sono convinto che in tutta la letteratura di genere, la fantascienza sia stata la regina assoluta, e sicuramente la più prossima, pur nella sua diversità apparente, alla letteratura generale, ma non generica, cioè mainstream, ma alla letteratura alta. Se prendo uno scrittore di gialli, ma anche di un noir tradizionale, mi è difficile pensare ad un qualsiasi rapporto con la letteratura generale, mentre con la fantascienza il rapporto diventa facile. Per esempio, c’è stato il recupero di uno scrittore come Philip Dick, considerato uno scrittore di fantascienza solo una ventina di anni fa, e oggi apprezzato come uno scrittore tout court. La fantascienza è una letteratura capace di indagare anche sulla società e sull’uomo. È uscita dall’ambito strettamente letterario, fino ad impregnare letteralmente tutto il nostro immaginario, indebolendo fortemente l’oggetto letterario. Questo vuol dire una supremazia assoluta nel campo della narrativa di genere, e una assoluta appartenenza alla cultura del nostro tempo”.
Ecco cosa disse Valerio a proposito dei suoi romanzi:
“Mi spaventerebbe pensare che i miei romanzi siano facilmente etichettabili. Fin dall’inizio, Vittorio Curtoni, disse, a proposito dei miei romanzi di Eymerich, che non era fantascienza, ma che era anche fantascienza. Ritengo che in una fase in cui la letteratura non di genere esprima abbastanza poco, la letteratura di genere – che è massimalista, perché contiene grandi idee, concetti e visioni – sa affrontare problemi che la letteratura non di genere normalmente trascura. Io ho tentato di scrivere romanzi costruiti sulla base di tutti i generi letterari. In alcuni romanzi, ad esempio, ci sono anche aspetti horror. In pratica, ho tentato di trasfondere nella mia scrittura tutto ciò che avevo letto e con cui mi ero formato, quindi anche della letteratura di genere”.
Small Town in Wonderland – LiquidSky Agency
Anticipazione di LiquidSkyAgency per WonderLand in onda martedì sera su Rai4, dove nell’angolo “SoundInvaders”, curato da Mario Gazzola si parlerà di P. K. Dick e di Blade Runner, perché è il quarantennale del film.
La puntata sarà dedicata a celebrare il quarantennale dell’uscita nei cinema di Blade Runner, alla memoria di Philip K. Dick (qui sotto a sinistra), il suo autore letterario scomparso proprio 40 anni fa (di cui Mondadori sta ripubblicando tutte le opere in Oscar Cult), e di Vangelis, autore (anche lui scomparso purtroppo pochi giorni fa) della non meno memorabile colonna sonora del capolavoro cinematografico diretto da Ridley Scott.
Scorreranno sullo schermo tre video clip di altrettante band italiane ispirate dal titanico scrittore californiano, mito della fantascienza mondiale: il primo sarà Mondi Paralleli della PFM, dall’ultimo album Ho sognato pecore elettriche, poi seguirà V.A.L.I.S. dei milanesi Amplifire, ispirato all’omonimo romanzo fantamistico della fase finale di Dick. Quindi sarà la volta Small Town, New Town dei bresciani Mugshots, che presenteranno in anteprima mondiale a Wonderland il videoclip della canzone ispirata al racconto del 1954 Piccola Città, opera del team creativo di LiquidSky.
Anticipato dal servizio pubblicato sul ReWriters Mag Book di aprile – di cui QUI vi presentiamo in esclusiva l’estratto in quadricromia – il videoclip diretto e montato da Walter L’Assainato si basa su un’animazione 2D vintage dei disegni realizzati da Roberta Guardascione, che per gli scenari urbani ha rielaborato le foto scattate da Mario Gazzola, autore anche della sceneggiatura e delle foto del gruppo; e sfoggia una scala cromatica “rugginosa”, che punta a rievocare anche i minacciosi scenari di un classico come Metropolis di Fritz Lang, che notoriamente fu d’ispirazione per la Los Angeles futurista di Blade Runner.
Altre notizie riguardo la rubrica, le potrete leggere sempre sul post; ci vediamo su WonderLand?
Di cosa parliamo quando parliamo di cyberpunk: due visioni opposte ma complementari della tecnologia | Holonomikon
Sul blog di Giovanni De Matteo è comparso un post molto articolato in cui ci si confronta su due aspetti del cyberpunk, che in realtà poi è uno solo (anche se le evidenze sembrano divisive): Neuromante, il romanzo di William Gibson che ha aperto la stagione del cp, e Blade Runner, il film di Ridley Scott che pesca da una storia di P. K. Dick e che in realtà è stato il contrafforte su cui Gibson ha fondato la sua carriera letteraria (e che ha dato l’assist a Blade Runner). L’estratto iniziale:
Di cosa parliamo quando parliamo di cyberpunk? La risposta è molto meno scontata di quanto potrebbe sembrare a un approccio superficiale. Il cyberpunk letterario è stato spesso accusato di scarsa originalità, monotonia di fondo e, col tempo, conformismo a tutta una serie di elementi divenuti un po’ dei cliché: il mondo distopico dominato dalle multinazionali, gli hacker solitari in lotta contro il sistema, la vita di strada nei bassifondi delle megalopoli… e potremmo continuare. Ma se prendiamo in considerazione i due titoli che hanno contribuito maggiormente a plasmare la nuova sensibilità della fantascienza dagli anni ’80 in avanti, ci accorgiamo di tutta una serie di differenze anche abissali legate non a elementi di contorno, che tutto sommato sono anche abbastanza sovrapponibili (*) – come dimostrano anche le dichiarazioni di William Gibson sulla sua esperienza come spettatore in sala all’uscita di Blade Runner – ma su un elemento che per il cyberpunk è tutto fuorché accessorio: la tecnologia.
Partiamo da Neuromante, il manifesto letterario del cyberpunk. Uscito nel 1984, è ambientato secondo le stime di Gibson intorno al 2035 (sebbene l’arco della trilogia copra 16 anni e quindi questa datazione vada presa molto con le molle, potendo oscillare, diciamo, tra il 2025 e il 2040… ma tutto sommato ancora dietro l’angolo, a differenza di quanto dedotto invece da un lettore su Vice basandosi su altri elementi interni ai romanzi ma probabilmente più dovuti a sviste dell’autore che non riconducibili alle sue reali intenzioni) e dipinge una tecnologia ormai smaterializzata, micro- e nanometrica, pervasiva.
Nel mondo di Case e Molly, la tecnologia si è ormai integrata in maniera indistricabile con i corpi e la psiche degli utenti: il cyberspazio è un piano dell’esistenza complementare alla realtà fisica, con cui si compenetra in declinazioni che assumono di volta in volta le forme di un’internet ante litteram, della realtà virtuale o di una realtà aumentata, e che assolve al ruolo di vero e proprio ecosistema, con le sue nicchie e i suoi agenti (virus informatici, ICE, costrutti di personalità riconducibili al mind uploading, intelligenze artificiali…).
Case, Molly e gli altri abitanti del futuro come loro non esitano a modificare i propri corpi attraverso impianti prostetici che ne aumentano le facoltà e attivano un feedback con il cyberspazio: non sono più solo agenti, ma la loro psiche e il loro organismo diventa un target su cui la rete e altri agenti possono produrre effetti tangibili. La strada ha trovato il suo uso per la tecnologia uscita dai laboratori, per dirla con Gibson. Anzi, ha trovato mille modi per utilizzarla e piegarla alle necessità dei singoli operatori, attraverso tutto un mercato nero di tecnologie trafugate dai centri di ricerca delle multinazionali o dell’esercito e messe in circolazione da una rete di contrabbandieri, corrieri, rigattieri…La visione della “Trilogia dello Sprawl” prende forma tra la fine degli anni ’70 e i primissimi ’80, e nel 1982 arriva nelle sale Blade Runner. Un film che si inserisce nel solco di quella visione cupa e pessimistica del futuro che negli stesi anni si andava definendo grazie a pellicole epocali come Mad Max di George Miller (1979) e 1997: Fuga da New York di John Carpenter (1981), o Alien dello stesso Ridley Scott (1979). Ma, con la notevole eccezione di quest’ultimo, i film che stavano ridefinendo l’immaginario del futuro erano prevalentemente accomunati da un basso tasso tecnologico: la tecnologia era o ridotta al puro elemento meccanico (le automobili di Mad Max con cui vivono in simbiosi i sopravvissuti dell’outback australiano) o a strumento di controllo (le bombe miniaturizzate iniettate a Plissken per convincerlo a esfiltrare il presidente dal carcere di massima sicurezza di Manhattan). Lo stesso Alien non è che brilli sotto il profilo dell’estrapolazione tecnologica, ma se non altro, sullo sfondo di una civiltà che è stata comunque in grado di mettere in campo lo sforzo necessario a esplorare rotte spaziali al di fuori del sistema solare, presenta personaggi che sono androidi meccanici indistinguibili dagli esseri umani e computer che rasentano, per autorità anche se non proprio per flessibilità (e qui torniamo alle forme di controllo già citate sopra a proposito di 1997: Fuga da New York), lo status delle IA. Elementi che, con le dovute variazioni, caratterizzano anche Blade Runner, dove ritroviamo appunto una tecnologia pesante: gli avanzamenti nella biotecnologia hanno permesso lo sviluppo di replicanti, androidi biologici indistinguibili dagli esseri umani (anzi, più umani dell’umano), destinati all’impiego in teatri di guerra extra-mondo e a farsi carico di mansioni che richiedono forza e resistenza fisica. L’uso più soft contemplato per i Nexus-6, i replicanti di ultima generazione, è per i modelli femminili, adibiti alla prostituzione nei bordelli delle colonie, non proprio un esempio di visione futuristica sull’impiego del più sofisticato prodotto della tecnologia umana.
In Blade Runner, la tecnologia è sempre separata dai corpi e dalle menti dei suoi utilizzatori umani: l’intermediazione tecnologica nelle relazioni umane è ridotta al minimo, i telefoni sono ancora in cabine pubbliche, i computer quasi nemmeno si vedono e – tralasciando volutamente, per il momento, qualsiasi grande o piccola retcon operata da Blade Runner 2049 – la rete nemmeno esiste. La tecnologia non è bassa, ma è sostanzialmente hard e ha a che fare con la programmazione/manipolazione biologica dei corpi, confinata all’interno di questi (alcune decine o centinaia di migliaia di replicanti sparsi sulle colonie extra-mondo, e pochissimi fuggitivi clandestini sulla Terra), mentre il mondo di fuori è sostanzialmente la fucina di catastrofi ambientali in cui ci troviamo a vivere oggi, con un downgrade della tecnologia attuale a quella degli anni ’80.
I libri che hanno ispirato Matrix | Bistrot dei Libri
Sul Bistrot dei Libri un post che serve a rinfrescarci la memoria sulle ascendenze letterarie di Matrix, la saga cinematografica appena giunta al quarto capitolo. Un estratto:
A cavallo tra cyberpunk e fantascienza, Matrix si basa su un’idea di fondo: niente è reale, tutto è creato in maniera fittizia dalle ‘macchine’ per tenere buoni gli esseri umani e fargli produrre tanta bella energia che le suddette macchine utilizzano per il loro sostentamento.
Poi la trama è ben più complicata di così, c’è di mezzo un eletto e un bel po’ di altre cosette interessanti, ma restiamo fermi sulle fondamenta del mondo matrice: da dove viene questa idea? Quali le fonti di ispirazione? In particolare, ci chiediamo: quali libri hanno ispirato Matrix?L’ispirazione primaria arriva indubbiamente dall’antichità, in particolare dal Mito della Caverna di Platone. La trama del film iniziale delle Wachowski potrebbe davvero sembrare una versione moderna e fantascientifica del celebre mito classico.
Andiamo avanti. Nella scena iniziale del primo film il protagonista, ancora nei panni di Thomas Anderson, vende un disco contenente un software pirata pescandolo da una scatola a forma di libro sulla cui copertina, se vi soffermate a osservare, potete leggere ‘Simulacri e Impostura‘ di Jean Baudrillard…