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NeXT Hyper ObscureArchivio per P.K. Dick
Thomas Ligotti: Il mio lavoro non è ancora finito – Ver Sacrum
Su VerSacrum la recensione a Il mio lavoro non è ancora finito, unico romanzo finora scritto da Thomas Ligotti. Vi lascio alle parole dell’ottimo Cesare Buttaboni, recensore sopraffino di tutta l’aria weird che si riflette, assai spesso, sia nelle Lettere che nella cultura musicale alternativa.
In precedenza avevo sottolineato come riuscissi a reggere l’opera dello scrittore di Detroit a piccole dosi: il suo è una sorta di “horror nichilista” o “horror metafisico” in cui spesso la trama ha poca importanza e dove emerge prepotentemente la sua “visione dell’esistenza” fatta di teorie “antinataliste” e “cospirazioni contro la razza umana”. Spesso, dopo averlo letto, ci si sente a disagio ma forse questo è anche il suo obiettivo. Mi era venuto così spontaneo, in un precedente articolo, definire Ligotti “il teorico dell’orrore” e ritengo il lungo saggio La cospirazione contro la razza umana come il suo vero capolavoro (è anche l’opinione di Ramsey Campbell). Tuttavia non si può certo negare il valore dello stile della prosa ricercata e barocca di Thomas Ligotti che lo mette un gradino sopra molti scrittori horror a lui contemporanei. In questo senso Ligotti è l’anti Stephen King (uno scrittore accusato da parte della critica di scrivere male). Sono quindi rimasto sorpreso dalla lettura di Il mio lavoro non è ancora finito: è come se Ligotti avesse spogliato la sua arte dalla forma lasciando solo la sostanza e lo scheletro, quindi la sua filosofia nichilista. Ho sottolineato come la trama non sia importante nella sua narrativa: invece qui una trama c’è ed è anche molto definita.
La vicenda è basata sulle vicissitudini di Frank Dominio, un anonimo e grigio quadro aziendale che conduce una vita squallida. Quando, durante una riunione con i colleghi e il capo, cerca di uscire dalla mediocrità proponendo una nuova idea, viene subito ostracizzato: per lui la sorte è segnata e sarà costretto a dare le dimissioni. Il contesto descritto è molto realistico e piatto e descrive quello che possiamo definire “l’orrore della realtà” di cui parlava Lovecraft che poi è anche l’orrore del capitalismo. Da qui in avanti però gli eventi prendono una piega inquietante: Dominio (o Domino come lo canzona il suo capo, in realtà alter ego dello stesso Ligotti come da lui stesso ammesso) viene sopraffatto da una non meglio definita tenebra viscosa. Il risultato è che la sua persona sprofonda in in un limbo, un’altra dimensione oscura del reale in cui esiste e non esiste (quasi come gli ospiti del Moratorium descritti da Philip K. Dick in Ubik) assumendo le sembianze di un Angelo della Morte. La vendetta diventerà la sua sola e unica ragione di vita e non si farà nessuno scrupolo per consumarla in maniera spietata. Non mancano descrizioni esplicite della fantasia morbosa e grottesca con cui Domino decide la sorte delle sue vittime: una donna si trasforma in un manichino e viene abusata da 2 senzatetto mentre il corpo di un’altra si fonde, in una stanza di un club sadomaso da lei frequentato, in quello di uno schiavo (un mangia rifiuti) per condurre al suo interno la vita di un parassita. Tutto sommato siamo in presenza di un horror abbastanza convenzionale se non fosse per i tratti tipici “ligottiani” che emergono in superficie come certi passaggi filosofici in cui traspare tutto il suo disgusto per la razza umana o certe descrizioni di degrado urbano molto crude ed evocative, direi quasi “ballardiane”. In definitiva siamo di fronte a un Ligotti inedito e forse qualcuno rimarrà deluso. A me personalmente Il mio lavoro non è ancora finito è piaciuto e lo ritengo la sua cosa più fruibile: è un libro profondamente antiamericano e anticapitalista.
Fiore d’agave, fiore di scimmia. La sicilia magica di Irene Chias è in libreria | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la segnalazione di Fiore d’agave, fiore di scimmia, romanzo davvero particolare di Irene Chias. La quarta:
Adelaide Dattilo ama il fantastico, le distopie, Dick e Lovecraft. Ha pubblicato due romanzi che il fidanzato Simone trova raccapriccianti. Il suo agente la spinge a creare qualcosa di più vendibile: un “romanzo femminile siciliano”. Adelaide decide di provarci e va a trascorrere tre settimane nel paesino di sua nonna: Sant’Angelo Muxaro. Qui inizia a scrivere una storia di passioni e antiche tradizioni, con Adelasia come personaggio principale. Mentre la sua protagonista, distrutta dal tradimento del fidanzato, ritrova se stessa e risolve un antico mistero, Adelaide affronta l’arrivo di Simone, incontra lontani parenti e conosce una sfuggente vicina. Al paese da cartolina del suo romanzo fa da contraltare quello reale: svuotato di possibilità, afflitto da disoccupazione, arretratezza e abbandono, dove la distopia è cronaca quotidiana. Guidata come Dick dall’I-Ching, Adelaide farà i conti con le sue origini e il suo presente. Adelasia, inizialmente lontanissima, finisce col somigliare alla sua autrice, come le due Sicilie inizialmente contrapposte finiscono con lo sfumare l’una nell’altra.
Sigillum S: Bardo Thos Grol – Ver Sacrum
Su VerSacrum la recensione a uno dei dischi cardine del SigillumS – e di conseguenza alla loro discografia. Un estratto:
I Sigillum S sono uno dei gruppi fondamentali della scena post industriale italiana. Si formano alla fine del 1985 dopo che Paolo Bandera risponde a un annuncio di Eraldo Bernocchi e Luca Di Giorgio appeso sulle pareti di un negozio di dischi di Milano. L’anima “matematica” dei Sigillum S è costituita da Paolo Bandera mentre Eraldo Bernocchi rappresenta il lato occulto e spirituale (ha fatto parte per breve tempo del T.O.P.Y.). Il contributo di Di Giorgio (almeno fino al 2007) va in ogni caso considerato essenziale. All’inizio della loro carriera l’influenza più forte è sicuramente quella della scena esoteric-industrial inglese rappresentata da gruppi come Psychic Tv, Current 93 e Coil. In particolare sono soprattutto i primi Current 93, quelli di dischi come Nature Unveiled e Dogs Blood Rising, ad avere un forte impatto estetico nella loro filosofia compositiva. Indubbiamente non sono i soli in Italia a sfruttare il filone del post industrial esoterico: impossibile in questo senso non citare nomi come Rosemary’s Baby e Ain Soph. Ma, in realtà, i loro orizzonti sono molto più ampi e riguardano anche la letteratura e, in particolare, autori come Philip K. Dick, James Graham Ballard e William S. Burroughs. Da quest’ultimo mutuano la tecnica del cut-up.
Blade Runner – Monologo finale – Io ne ho viste cose che voi umani… – I’ve seen things…
La morte del primo postumano estremo della nostra futura storia. Cortocircuiti semantici e il senso di dispiacere immenso, per un’icona, per qualcuno che ha interpretato l’ininterpretabile. Ciao Roy…
Phil K., una biografia a fumetti su Philip K. Dick | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com la segnalazione della realizzazione della biografia di P.K. Dick a fumetti, un lavoro niente male scritta dallo scrittore Laurent Queyssi e disegnata dall’illustratore italiano Mauro Marchesi. Titolo dell’opera: Phil, una biografia a fumetti su Philip K. Dick.
Philip k. Dick (1928-1982) è uno degli autori più innovativi e influenti della science fiction del XX secolo. Dopo gli anni ’80, la sua opera, che mette in discussione la realtà e il principio d’umanità, è stata oggetto di svariati adattamenti cinematografici e televisivi ed è tuttora materia di studio nelle più grandi università del mondo.
Blade Runner, Total Recall, Ubik, Minority Report, A Scanner Darkly e le serie The Man in the High Castle o Electric Dreams sono alcuni degli universi partoriti dalla sua mente fertile. Tuttavia, Philip k. Dick non ha mai conosciuto in vita il vero successo e la sua esistenza ha avuto più che altro a che fare con prigione, depressione, divorzi in serie ed esperienze mistiche.
Il secondo nome fasullo di Patrick Stewart | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com una storiella curiosa, che il buon Silvio Sosio ha saputo rendere in maniera gustosa e intrigante; la chiosa è inquietante. Vi lascio alle parole di Silvio.
Un paio di giorni fa mi hanno segnalato un articolo di un giornale locale toscano che parlava di una breve vacanza di Patrick Stewart a Cortona, in provincia di Arezzo. L’articolo era abbastanza preciso, si vedeva che il giornalista aveva fatto i compiti a casa, documentandosi su cosa avesse fatto l’attore nella sua carriera. Una cosa però mi ha colpito: il nome dell’attore veniva citato sempre con un secondo nome: “Patrick Hawes Stewart”. Hawes. Mai sentito. Mi sono incuriosito, e ho deciso di fare una ricerchina.
Ho cercato “Patrick Hawes Stewart” su Google e ho notato un fatto strano: trovava solo siti italiani. Certo, sono in Italia e quindi di preferenza Google mi passa link in italiano. Il primo risultato era WIkipedia.it; poi tanti articoli, pagine varie che quasi sempre riportavano la riga iniziale di Wikipedia. Ma scorri scorri le pagine, quando cominciavano i siti in inglese la parola “Hawes” spariva, o spariva Stewart dandomi pagine che parlavano del cantante Patrick Hawes.
Un veloce controllo cercando “Hawes” sulla Wikipedia inglese dava esito negativo. Nemmeno su IMDb diceva nulla.
Su un sito di biografie trovo però la grafia “Hewes”. Allora controllo meglio su Wikipedia e scopro com’è andata la faccenda.
Patrick “Hewes” Stewart
In un articolo uscito su Variety, Stewart racconta che quando andò a Hollywood nel 1987 per poter lavorare dovette iscriversi alla Screen Actors Guild. C’era un problema, però: c’era già un attore con lo stesso nome, e per le regole della Gilda non potevano esserci omonimi. Stewart fu quindi costretto a scegliersi un secondo nome per potersi distinguere.
Così scelsi un’iniziale che avesse il minor impatto possibile sul nome come parola unica, e scelsi il nome Hewes, H-E-W-E-S. Così tu poi dire Patrick Hewes Stewart e praticamente non sentirlo. Come se non ci fosse.
L’esigenza del secondo nome durò abbastanza poco, così quella parolina quasi inudibile scomparve del tutto.
L’effetto Wikipedia
Il secondo “Hewes” è stato aggiunto alla voce Wikipedia italiana nel 2009, da un utente anonimo. Nel 2013 un certo “Didone14” pensando di essere spiritoso cambia il nome in
Sir Zio Franco; evidentemente pentitosi, dopo una mezz’ora lo rimette a posto, ma sbagliando a scrivere “Hewes”. Da allora in Italia Patrick Stewart ha avuto il secondo nome “Hawes”.Dopo aver fatto questa ricerchina, ho messo in pratica ciò che raccomando spesso: se trovi un errore su Wikipedia non lamentarti che Wikipedia è sbagliata, documentati bene e correggila. E l’ho corretta, togliendo il secondo nome dalla scheda biografica e aggiungendo un paio di righe sulla faccenda dell’Hewes inventato nel 1987, con tanto di riferimento all’articolo di Variety.
La cosa che trovo interessante tuttavia è che adesso l’internet italiana è piena di articoli che citano questo doppio nome, non solo fittizio ma anche sbagliato, nato dall’errore di uno spiritosone. “Hawes”. E mi chiedo: quanto tempo passerà prima che qualcuno non vada a correggere la mia correzione, riportando come fonte una delle decine di articoli che riportano il nome sbagliato copiato da Wikipedia?
Abbiamo un Effetto Wikipedia, quindi, dove il il flusso degli eventi si ritorce contro il presente e modifica pescando da un ramo collaterale quantico. Nemmeno P.K. Dick avrebbe fatto di meglio…
Verde oscuro
Un oscuro percepire, mentre le onde di verde mi sommergono nei ricordi, e la configurazione resta occulta.