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il Saggiatore presenta “I salici” | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine la segnalazione di una nuova traduzione per “I salici” capolavoro weird, sovrannaturale e pagano in senso lato di Algernon Blackwood, mai troppo conosciuto e in uscita per i tipi del Saggiatore.
Pubblicato per la prima volta nel 1907, I salici è, secondo H.P. Lovecraft, il più bel racconto soprannaturale della letteratura inglese.
Due uomini, il narratore e lo Svedese, partono per un viaggio in canoa lungo il Danubio in un giorno qualunque. Alla ricerca di un posto dove passare la notte, approdano su un isolotto, ma l’oscurità nasconde presenze ostili: un orrore sconosciuto si insinua nelle fronde dei salici circostanti e l’angoscia prende il sopravvento. Nei Salici non sono streghe, vampiri o fantasmi a terrorizzarci, è piuttosto un paesaggio alieno imperscrutabile. Come scrive Lucio Besana nella sua prefazione “l’oggetto della paura è un’entità ignota che non rivela mai il suo volto ma che con la sua presenza implicita trasfigura la realtà. Per questo ci terrorizza: il mostro risiede nell’occhio di chi guarda e quindi è ovunque”.
Le leggi cosmiche sono per noi indecifrabili, ci schiacciano e costringono a prendere atto della nostra posizione minoritaria nell’universo. È sufficiente muoversi a tentoni nell’oscurità con il solo ausilio di una pagaia per sopravvivere?
Il re degli dèi
Lo osservi per pochi minuti e capisci perché è il re degli dèi, con quella sua luce irradiata che sovrasta ogni altra, soprattutto quando non c’è la Luna…
Le dame di Grace Adieu e altre storie di Susanna Clarke | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la segnalazione della raccolta di racconti Le dame di Grace Adieu e altre storie, di Susanna Clarke, autrice (direi fantastica, non propriamente Fantasy) che adoro perché dotata di un gusto, di una fantasia, di una capacità di innovare i generi che ha pochi riscontri. La quarta:
Dopo Piranesie Jonathan Strange & il signor Norrell, ritorna il magico mondo di Susanna Clarke, la regina del fantasy, finalista al Man Booker Prize e vincitrice del Women’s Prize for Fiction.
Molti mortali hanno vagato per le campagne inglesi senza farne più ritorno. Questo perché tra i boschi silenziosi e le verdi colline si celano dei confini invisibili, al di là dei quali il mondo reale si ripiega su dimensioni assai più magiche e ricche di insidie. Lo sanno bene i protagonisti di queste storie, che si ritrovano a interagire con creature impertinenti e maliziose che giocano con la superficie delle cose, scompigliando il buon senso e l’ordine della realtà. Da una vita di campagna solo apparentemente tranquilla fino ai castelli dove è stata scritta la storia dell’Inghilterra, in questi racconti maghi e fate si intromettono nelle esistenze assolutamente comuni di vicari di campagna e fidanzate gelose, ma anche nei destini di figure storiche come Maria di Scozia e il duca di Wellington.
Con la sua caratteristica prosa che unisce l’ironia vittoriana ai temi classici del folclore britannico, Susanna Clarke tesse le fila di un mondo fantastico dove Storia e magia si intrecciano in maniera prodigiosa e dove il lettore ritroverà alcune vecchie conoscenze provenienti da Jonathan Strange & il signor Norrell.
Tuning rarefatto o eterodiretto
Queste consistenze rarefatte segnano l’orizzonte come un vocabolario alieno, il controllo sui significati è variabile e dipende dal tuning che hai insito, o che ti hanno inculcato.
La dama bianca
Mostrami la consistenza della poesia assoluta, indicami di quale essenza vive, persegui la sua coerenza fino alla fino dei tuoi giorni.
Arbogaste e l’usurpazione di Eugenio (392-394) – Studia Humanitatis – παιδεία
Su StudiaHumanitatis un interessante resoconto storico che testimonia il periodo di transizione tra cristianesimo e paganesimo all’interno dell’Impero Romano, con le lotte intestine e di potere che si susseguirono per decenni, quasi secoli, tra le diverse fazioni di potere religioso. Un estratto:
Dopo la misteriosa morte dell’imperatore Valentiniano II (15 maggio 392), il magister militum Flavio Arbogaste si trattenne sulla frontiera renana (cfr. CIL XIII 8262; PLRE¹ 95-97): i pericoli e le minacce provenienti dalle popolazioni stanziate al di là del fiume esigevano unità di comando, energia e rapidità. D’altra parte, sospettato di aver eliminato il sovrano e in ragione delle sue origini franche, Arbogaste non aveva alcuna intenzione di sostituirsi al defunto Valentiniano, assumendo il titolo di Augustus. Al contrario, il magister chiese ufficialmente di mantenere la propria posizione di difensore del limes renano, giurando fedeltà agli Augusti Teodosio e Arcadio. Ma Teodosio rifiutò l’offerta di Arbogaste, rispettando le ultime volontà di Valentiniano II che lo aveva destituito (Ioh. Antioch. F 187 Müller). Anzi, come prima misura colpì l’aristocrazia pagana di Roma, togliendo a Virio Nicomaco Flaviano l’incarico di praefectus praetorio per Italiam (PLRE¹ 348): a Teodosio e al suo entourage era ben evidente la manovra di avvicinamento tra diversi gruppi di potere che stava avvenendo in Occidente, al punto che, con il favore della comune fede negli antichi dèi, la nobiltà italica aveva avviato ottime relazioni con il condottiero franco. Nei mesi successivi, quindi, Arbogaste ideò una strategia diversa, alternativa a ogni possibile intesa con Teodosio: rotto ogni indugio, il 22 agosto 392 il magister proclamò Augusto il magister scrinii Flavio Eugenio, in precedenza docente di grammatica e retorica (Socr. HE. V 25, 1; Soz. HE. VII 22, 4; Zos. IV 54; Oros. VII 35, 11; PLRE¹ 293). Si trattava di un personaggio di medio rango che tuttavia, nelle intenzioni di Arbogaste, poteva diventare il mediatore tra il suo potere militare sul Reno e l’aristocrazia tradizionale, che al nuovo imperatore doveva fornire i vertici dell’amministrazione. Eugenio, facendo sua la politica del suo generale, cercò dapprima un accordo con Teodosio e, senza muoversi dalla capitale Treviri, inviò ambascerie chiedendo il riconoscimento del proprio potere (Zos. IV 56, 3; Ambr. Epist. 57). Ricevuta una netta condanna dall’imperatore, nel 393 Eugenio decise di invadere l’Italia (Soz. HE. VII 22; Oros. VII 35, 13). A questo punto l’intesa tra Arbogaste, Eugenio, e l’élite imperiale si rivelò chiaramente: una strana alleanza tra militari romano-germanici e senatori romani tradizionalisti, destinata a ripetersi nel corso del secolo successivo. Il caso aveva riposto nelle mani di un comandante di origine barbarica la difesa del mos maiorum e della tradizione religiosa di Roma antica (cfr. Philost. HE. XI 1-2). Trasferitosi a Milano, tra la primavera del 393 e la tarda estate del 394, Eugenio restaurò il culto pagano e ordinò il ricollocamento dell’altare della Vittoria nella Curia a Roma (Paul. Mil. VAmbr. 26); Flaviano riebbe il suo posto di prefetto d’Italia e suo figlio fu elevato a praefectus Urbi (CIL VI 1782). Soprattutto, per la singolare alleanza con il franco Arbogaste, il Senato di Roma recuperò parte del proprio prestigio politico: fu l’ultimo tentativo di uscire da un’umiliante marginalità politica e religiosa, l’ultima chance per rimediare ai colpi inferti al venerando consesso dal regime imperiale fin dal III secolo.
The Sandman: sacrilegio o consacrazione? – Carmilla on line
Su CarmillaOnLine un lungo articolo di Walter Catalano che, partendo dalla serie SandMan in onda su NetFlix, indaga a fondo l’opera omonima di Neil Gaiman, mettendone in evidenza i molteplici aspetti esoterici, pagani ed energetici dell’opera. Un estratto:
L’ispirazione mitografica di Gaiman procede da qui: i suoi protagonisti non sono supereoi ma “dei” di un pantheon caotico in cui convivono e coesistono tutte le mitologie di ogni tempo e di ogni luogo. Gli dèi di Gaiman non sono onnipotenti né immortali: esistono solo finché gli uomini credono in loro, quando la fede dei mortali nei loro confronti si affievolisce anche il dio decade, si spegne e infine muore. Spesso lo scrittore si compiace di accennare alla parabola discendente di una divinità decaduta che per sopravvivere deve adattarsi a fare lavori di bassa lega derivati dalla sua specialità divina (ad esempio un dio dell’Ade può ritrovarsi a fare sulla terra l’impresario di pompe funebri, una dea dell’amore la spogliarellista o la call-girl). L’idea deve forse qualcosa al romanzo di Jean Ray, Malpertuis (1943) e Gaiman la riprende in seguito anche nei suoi romanzi principali, American Gods (2001) e, con meno efficacia, Anansi Boys (2005).
Sandman non è però solo: appartiene ad una famiglia di sette dei, The Endless – gli Eterni, che, come i Neter dell’Antico Egitto, incarnano e sovrintendono ciascuno a un particolare aspetto dell’esistenza umana: nell’originale inglese il nome di ognuno di loro inizia per D. In ordine di anzianità: Destiny, Death, Dream, Destruction, Desire, Despair, Delirium. Ma gli Eterni non sono nomi bensì funzioni: sono quindi superiori agli stessi dei, perché incarnando e nutrendosi di sentimenti, atti e passioni comuni a tutti gli esseri senzienti e praticamente infiniti, esistono da prima che l’uomo potesse concepire l’idea stessa di divinità. Si delinea una precisa cosmogonia: Destino (Destiny), è nato appena prima che il primo essere vivente venisse al mondo, in quanto il destino di un individuo è già scritto prima che egli nasca; alla comparsa del primo essere vivente nasce anche Morte (Death). L’essere appena nato inizia a sognare, ed ecco Sogno (Dream), ma il sogno provoca cambiamento, per cui Distruzione (Destruction) di ciò che era prima, che si manifesta in Desiderio (Desire), e quindi Disperazione (Despair) per non poter avere la cosa voluta, ed infine Delirio (Delirium), che una volta era Delizia, o Piacere.
Novi_sad – ΚΕΡΑΥΝΟΣ | Neural
[Letto su Neural]
Utilizzando l’insolita locuzione OpticoAcoustic Oracle il greco Thanasis Kaproulias, aka Novi_sad, sperimentatore sonoro di ardui paesaggi ambientali, a suo agio con field recording e strutture tonali, influenzate a loro volta da un fortissimo concettualismo, ha dato vita nell’antica città di Olimpia a un progetto audio-visual con suoni e luci laser. L’opera è stata presentata la sera dell’11 marzo 2020, la notte prima della cerimonia di accensione della fiamma olimpica per i Giochi di Tokyo. ΚΕΡΑΥΝΟΣ, questo il titolo sotto il quale sono raccolte le cinque composizioni presentate, si muove nel solco di un’acustica trattazione segnata dalle mutevoli relazioni tra suono, luce, architettura, natura e immagine, rifacendosi direttamente alla mitologia greca antica ed a uno dei suoi simboli imperituri, quello del tuono e della sua divinità suprema, Zeus. La celebrazione di uno degli eventi sportivi mondiali più significativi trova un’efficace sponda nelle intense luci laser colorate, portato delle conquiste tecnologiche, affiancate da costruzioni musicali decisamente lontane dal consueto mainstream – pop o classico – di simili manifestazioni. Ogni composizione si riferisce e ha come nome un preciso continente, ed è stata costruita elaborando suoni ambientali e catture auditive provenienti dalle zone geografiche oggetto dell’analisi (in Oceania nella foresta di Tarkine, in Asia ad Okinawa, in Europa nell’antica Olimpia e anche in Islanda, mentre in Africa i paesi coinvolti sono stati Uganda, Botswana e Namibia e infine in America, dove le registrazioni sono state effettuate nella foresta amazzonica e alle cascate del Niagara). È forse il mistero di un mondo che va scomparendo ad affascinare Novi_sad, che come un postmoderno artista simbolista evoca un mondo d’emblemi, di creature soprannaturali, di timori ancestrali e di forze inesplicabili. È “una completa resa dei sensi” e la forza dei paesaggi sonori evocati s’imprime ora con registrazioni tenui e ambientali oppure – in altri momenti – con rumori, pieni e melodie, modulati in attraversamenti di stato fugaci e stilizzati. Lo stesso titolo, ΚΕΡΑΥΝΟΣ, nel riferirsi esplicitamente al tuono è di fatto un riferimento alle luci laser che illuminano il cielo durante la performance, disegnando i contorni dei cinque anelli olimpi e dei continenti, figure di atleti e simboli matematici. La brulicante elettronica è più tesa in “Oceania”, mentre sia in “Asia” che in “Europe” fanno capolino flussi armonici, liquide sequenze e toni bassi e meditativi. In “Africa”, invece, Kaproulias opta per costruzioni più musicali, articolando le field recording in qualcosa di quasi orchestrale e ripetitivo. Si chiude magnificamente il tutto con “America”, composizione assai densa e dinamicamente cupa.