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Rome’s Commerce with India – Travel between Italy and the Near East – Novo Scriptorium
Su NovoScriptorum un lungo post – in lingua inglese – in cui si dettagliano i movimenti commerciali del periodo d’oro dell’Impero Romano verso l’est asiatico, Cina e India in particolare, ma credo anche Giappone. Un estratto:
The first two centuries of the Roman Empire witnessed the establishment and development of a profitable commerce between two great regions of the earth, the Mediterranean countries and India. We need not wonder at this. In the first place, the century after Christ was an era of new discoveries and enterprises, for the western world, after ages of struggle, was united under the firm rule of Rome, and, in the enjoyment of lasting peace and prosperity, was ripe and ready for fresh developments in the intercourse of men; in the second place, the welding of the races of the West and of the near East into one well-governed whole brought into sharp relief the prominent geographical feature formed by Asia Minor, Palestine, Arabia, and the north-eastern corner of Africa. By using the near East as a base, merchants filled with the western characteristic of energetic discovery and the will and power to expand, backed by the governing power of Rome and the prestige of her great name, and helped by Roman capital, were readier to push eastwards by land and sea than they had been before. The moving force from first to last came from the West; the little-changing peoples of the East allowed the West to find them out. We have, then, on the one side India of the Orient, then, a disjointed aggregate of countries and, while open to commerce, content generally to remain within her borders and to engage in agriculture. On the other side we have Rome, also at first agricultural, but now risen after centuries of triumph to be mistress of a vast empire of peoples, with whom and through whom she conducted all her commerce. The peculiar attitude of Indians and Romans towards commerce caused them to meet each other rarely along any of the routes which linked them over long distances, and to conduct their affairs over unexplored seas and dangerous solitudes on land by means of intermediaries.
Lankenauta | Cartagine oltre il mito
Su Lankenauta una recensione a Cartagine oltre il mito: prima e dopo il 146 a.C., saggio storico e archeologico di Giovanni Di Stefano che indaga accuratamente i secoli di Storia in cui la città fenicia ha avuto rilievi d’importanza. Uno stralcio:
C’è una sorta di mitologia attorno alla città fenicia di Cartagine che nasce con la sua fondatrice, Elissa, in fuga da Tiro – siamo nel IX secolo a.C., chiamata Didone dalla popolazione della costa africana (dove infine la fuga termina) e continua con la costruzione della città nuova, Qrt Hdst secondo la toponomastica punica. I Fenici sono marinai-commercianti, alla perenne ricerca di oro e argento (così li descrivono Erodoto e Diodoro Siculo), seguaci di dèi sanguinari: ma forse qui il mito dei tophet – uno è visibile sull’isola di Mozia, di fronte a Marsala – cioè i cimiteri che conterrebbero i resti di infanti sacrificati – deve la sua origine più a una storiografia greca “partigiana”, e ai romanzi di Flaubert, che alla realtà storica.
Cartagine è la mitica città da cui muove Annibale, e nella quale si svolgono le guerre puniche, ma sarà anche la patria di Tertulliano, Agostino, Fulgenzio. Una “seconda Roma”, secondo lo stereotipo che continua a condizionare l’immaginario collettivo, come giustamente nota Massimo Cultraro nella prefazione. Un punto strategico, crocevia tra Occidente e Africa, luogo di scambi, di incontro tra culture, ma anche centro di interesse, nella scacchiera imperiale, per rafforzare l’autorità, o per giochi di forza (si veda la rivolta contro Massenzio).
Il periodo romano della Colonia Iulia Concordia Karthago dalla fase augustea a quella giulio-claudia è ben attestato innanzitutto da tre monumenti figurati: l’Ara Gentis Augustea, contemporanea alla romana Ara Pacis, rinvenuta alla Byrsa, anepigrafica ma riconducibile al liberto Publio Perelio Edulo, istoriata con i topoi iconografici romani della fuga di Enea con Ascanio e Anchise, la dea Roma, Apollo e una scena di sacrificio; e due lastre d’altare provenienti dall’area situata tra le cisterne della Malga e l’anfiteatro, vicino all’ingresso principale della città: anche in queste lastre le raffigurazioni ripropongono iconografie romane, influenzate dalla committenza e dalla religiosità locale (culto di Demetra, richiami egizi al culto di Osiride, Marte Ultore, Venere e forse una solennizzazione del giovane Gaio Cesare, prematuramente scomparso, cui venne assegnata postuma la vittoria sui Parti). Sia l’ara che il tempio mostrano da un lato la continuità della nuova colonia da Roma, ma ostentano i risultati della pax augustea che assieme all’ubicazione dei luoghi politici, religiosi e pubblici della città (foro, ingresso, anfiteatro, templi, terme), fanno di Cartagine davvero la “Roma africana”.
Il bosco sacro dei Parioli e il capodanno nella Roma antica – TRIBUNUS
Conoscere questi luoghi, quelle empatie, quei piccoli segni che lasciano filtrare il contatto trascendentale… Su Tribunus qualche nota sul bosco sacro dei Parioli.
A Roma, nell’area dove sorge l’attuale quartiere di Parioli, nell’antichità vi era un Bosco Sacro, che i Romani credevano fosse abitato dalle Ninfe. Quest’area verde era intoccabile, le distese di arbusti erano come templi, e tutto ruotava attorno a una sorgente naturale (Piazza Euclide, ndr). Intorno a quest’ultima era stata costruita un’enorme vasca, che raccoglieva l’acqua della polla: questa sacra sorgente era dedicata a una divinità molto antica: Anna Perenna, che presiedeva allo scorrere del tempo, e del suo continuo rinnovarsi.
Non a caso, uno degli auguri che i Romani si scambiavano era: “Annare Perreneque commode”, cioè “Trascorrere un ottimo anno da capo a coda”. Un buon auspicio, pronunciato soprattutto in occasione del Capodanno.
In epoca repubblicana, questa festa era celebrata attorno alle celebri Idi di Marzo (15 del mese), mentre in età alto imperiale vennero anticipate al primo di Gennaio.
In migliaia si radunavano attorno alla sacra fonte per banchettare, divertirsi, e cantare. Lunghi tavoli erano posti lungo la via Flaminia, e l’alcool scorreva abbondante.
Secondo il poeta Ovidio, la festa era molto giocosa e a chiaro sfondo erotico, poiché la celebrazione aveva un carattere iniziatico, e molto donne avrebbero perso la verginità in tale occasione. Nella fonte, inoltre, i Romani gettavano molte offerte, tra le quali uova (simbolo di fecondità e fertilità) o pigne (simbolo di fertilità, ma anche di castità).
La fonte di Anna Perenna continuerà a esser il fulcro del culto legato alla fertilità, al buon augurio, e alla festa per il nuovo anno almeno fino al III secolo d.C. Intorno al IV-V secolo sarà usata solo per pratiche oscure legate soprattutto alla superstizione popolare. L’imperatore Teodosio ne vorrà la definitiva chiusura, per via della proibizione dei culti pagani.
I grandi assedi che hanno cambiato la storia | ThrillerMagazine
Su ThrillerMagazine la segnalazione di un saggio storico di Alberto Peruffo che passa in rassegna gli assedi che nel corso dei secoli hanno caratterizzato le varie guerre: I grandi assedi che hanno cambiato la storia. Un estratto:
La storia della guerra si accompagna da sempre a quella delle tecniche di assedio. Espugnare una città o un forte significa molto spesso volgere a proprio favore le sorti di un conflitto, e per questo gli eserciti di ogni epoca hanno posto particolare impegno nel trovare il modo più efficace di attaccare (o difendere) luoghi del genere. Questo libro esplora la storia delle tecniche di assedio attraverso l’analisi di più di settanta assedi divenuti celebri per la loro importanza o per l’asprezza delle battaglie che li coinvolsero. Da eventi mitici come l’assedio di Troia ai sanguinosi combattimenti per Gerusalemme durante le Crociate, fino ai terribili scontri della Seconda guerra mondiale, Alberto Peruffo illustra l’evoluzione degli strumenti e delle tattiche volti alla conquista di postazioni e insediamenti fortificati. Un excursus dettagliato e affascinante all’interno della storia militare.
L’ultimo eroe dell’impero romano: Graziano Paleologo – TRIBUNUS
Su Tribunus un breve articolo per ricordare Graziano Paleologo, parente dell’ultimo imperatore romano e ultimo eroe del mondo romano, che tentò di difendere l’ultimo avamposto sopravvissuto alla caduta di Costantinopoli del 1453.
Se l’impero romano aveva ufficialmente finito di esistere, le ultime sacche di ciò che restava della romanità – Despotato di Morea e il da lungo tempo indipendente Impero di Trebisonda – resistettero ancora alcuni anni, prima di soccombere all’invasione ottomana. Particolarmente nel caso della Morea, non si può certo parlare di una caduta memorabile come quella della capitale.
Il Despotato era governato congiuntamente dai due fratelli minori dell’ultimo imperatore, Demetrio e Tommaso Paleologo. I due fratelli non andavano affatto d’accordo tra di loro. Dopo aver sedato la cosiddetta ribellione dei Cantacuzeni tra il 1453 e il 1454 (con l’aiuto degli Ottomani), Demetrio e Tommaso entrarono apertamente in conflitto tra loro. In posizione svantaggiosa e timoroso di perdere il potere, Demetrio Paleologo nel 1460 optò per chiedere aiuto proprio a Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli. Il sultano non perse l’occasione per potersi impadronire direttamente del territorio della Morea, e intervenne con un imponente esercito nel Peloponneso. Tommaso Paleologo fuggì a Roma con la sua famiglia, di certo non desideroso di condividere la sorte del fratello Costantino XI. Demetrio, pur avendo confidato di ricevere il Despotato per sé, sarebbe rimasto invece a mani vuote, finendo per diventare un semplice funzionario del sultano. Pare che Maometto II avrebbe avuto a dirgli: “Tu, Demetrio Paleologo, non sei abbastanza uomo per governare alcun Paese.”
Recensione: “I Bizantini in Italia”, di Giorgio Ravegnani – TRIBUNUS
Su Tribunus la recensione a I Bizantini in Italia, saggio storico di Giorgio Ravegnani che indaga i secoli in cui i Bizantini – ma sarebbe più corretto dire i Romani d’Oriente, alla fine sempre i Romani – tentarono di riprendere e governare a lungo l’Italia, come parte integrante di un impero che si dichiarava ed era romano a tutti gli effetti. Un estratto:
Per quanto Ravegnani, da buon accademico, userà “Bizantini” per tutto il testo, ci tiene a sottolineare come questo sia un uso che non riflette la realtà delle cose. La sua premessa funge anche da utile introduzione e riassunto al tema. Vediamone uno stralcio.
“I Bizantini in realtà non sono mai esistiti: essi chiamavano se stessi ‘Romani’ e la definizione con cui li indichiamo è un portato della cultura moderna che così li indicò per distinguerli dai Romani dell’epoca classica. E lo facevano a ragion veduta dato che ciò che noi abitualmente definiamo bizantino altro non era che l’evoluzione dell’impero romano di Oriente. […] nel 330 […] iniziarono a differenziarsi due realtà statali, Occidente e Oriente romano […]. La divisione non significò la fine di ogni rapporto: dal punto di vista giuridico lo stato romano continuò a essere considerato unico e, nella pratica, Costantinopoli intervenne in più occasioni, direttamente o indirettamente, nelle fasi cruciali del dissolvimento dell’altra metà dell’impero. Nel secolo successivo poi i Bizantini arrivarono in armi per ricondurre sotto il loro dominio quanto dai barbari era stato sottratto, illegalmente secondo il loro punto di vista. Iniziava così la lunga storia dell’Italia bizantina che, sia pure con vistosi cambiamenti territoriali, si protrasse fino alla seconda metà dell’XI secolo.”
Il prof. Ravegnani, più avanti nel libro, riconosce anche un’accelerazione della trasformazione sotto Eraclio, ma con questa premessa siamo rassicurati sul fatto che i Bizantini di cui leggiamo altro non sono che, ovviamente, i Romani. Inizia così l’avventura nell’Italia bizantina. Come accennavo sopra, un’avventura lunga quasi settecento anni.
Infatti Ravegnani non si limita a partire da Giustiniano (imperatore al quale il professore ha dedicato numerose pubblicazioni, come L’età di Giustiniano, La corte di Giustiniano, Soldati e guerre a Bisanzio, Il secolo di Giustiniano) e dalla riconquista dell’Italia con la guerra gotica, ma parte da più lontano. Il primo capitolo, “Collaborazione e conquista” (il più lungo del libro) prima di lanciarsi nella lunga guerra tra Romani e Ostrogoti, dedica infatti diverse pagine agli interventi dei Romani d’Oriente in Occidente tra IV e V secolo, a partire dalle campagne di Teodosio contro Magno Massimo prima, contro Eugenio e Arbogaste poi.
Ascesa e caduta: le statue a Costantinopoli – prima parte – Piervittorio Formichetti – EreticaMente
Su Ereticamente un lungo articolo che indaga l’arredo imperiale di Costantinopoli, nell’arco della sua esistenza millenaria. Un estratto:
Le statue nelle città bizantine ebbero un ruolo non certo secondario. Uno dei più importanti edifici antichi era senza dubbio l’ippodromo o circo, adibito alle gare di corsa dei carri tirati da cavalli, che i Romani avevano assimilato durante le conquiste ellenistiche. La sua struttura e la sua forma divennero tipiche del mondo romano: una lunga area di terreno approssimativamente a forma di U, divisa longitudinalmente da un terrapieno o da un muro detto spina, su cui potevano essere poste statue e obelischi. In epoca tardoantica il circo divenne un luogo sempre meno rappresentativo di “pure” gare sportive, e sempre più un luogo di celebrazione dello «spettacolo imperiale»; per esempio, nell’ippodromo di Costantinopoli l’imperatore Teodosio I (379-395) fece collocare un obelisco egizio del 1500 a. C., e lungo la spina, tra le gradinate e sotto le arcate sovrastanti le stalle dei cavalli erano state collocate statue provenienti da diverse parti del mondo greco-romano, da quella dell’imperatore Diocleziano (inizio del IV secolo) fino ad alcune realizzate quasi mille anni prima dal celebre scultore greco Fidia. Gli aurighi erano veri e propri vip, come i calciatori dei nostri giorni; essi gareggiavano per una delle due squadre o fazioni maggiori, gli Azzurri (per i quali probabilmente parteggiava lo stesso imperatore Giustiniano I, regnante dal 527 al 565) e i Verdi, o a una delle due minori, i Bianchi (dalla parte degli Azzurri) e i Rossi (dalla parte dei Verdi). Potevano essere ingaggiati da una o dall’altra fazione per poi eventualmente ritornare alla prima, e in occasione delle loro vittorie più importanti, i demi – cioè i tifosi – facevano erigere statue dei propri campioni. Dunque nell’impero romano d’Oriente esisteva una statuaria privata e “amatoriale” dedicata alle celebrità dell’ippodromo, permessa dallo Stato e mal sopportata dalle autorità della Chiesa cristiana, ma indipendente da entrambi.