[Letto su Neural]
Dopo gli attentati jihadisti del novembre 2015 gran parte degli spazi degli edifici pubblici a Parigi sono stati riprogettati aggiungendo resistenti barriere metalliche agli ingressi. Questa iniziativa oltre ad assolvere a problemi pratici di ordine pubblico ha in qualche modo dato inizio ad un rituale civile di grande impatto simbolico, imponendosi nelle forme di un media event la cui copertura è andata a saturare l’offerta televisiva e giornalistica, con intrecci fra i vari mezzi di informazione, digitali e tradizionali. Di questo trauma culturale Eric La Casa ha immediatamente sottolineato la retorica dello scontro di civiltà e come il tema della sicurezza servisse in realtà solo da paravento al fine di un sistema di controllo sociale sempre più pervasivo e autoritario. “Da cosa e da chi ci stiamo proteggendo?”. Questa la prima domanda, semplice ed essenziale, che l’autore si pone, insistendo anche sul fatto che questi ostacoli in acciaio siano stati installati, senza alcuna consultazione preventiva e senza che venisse fornita ai cittadini alcuna indicazione su quanto tempo sarebbero rimasti in vigore. Eric La Casa dichiara d’essere stato particolarmente interessato nel capire come questi “oggetti” interpretassero la città, quasi fossero anch’essi dotati di percezioni e sensibilità, idea apparentemente bizzarra ma che ha predecessori illustri proprio nei surrealisti francesi, in autori come Louis Aragon, André Breton e Marcel Noll, che già a metà anni venti equiparavano poeticamente architetture, luoghi e strade ad agglomerati aventi una loro specifica natura. Ancora una volta, allora, lo spazio cittadino è esplorato, vagliato, osservato e setacciato attraverso il filtro della visione artistica, che in questo caso non è affatto neutrale, non è solo estetica, non propugna alcun attivismo di mera facciata. Per vincere il labirinto metropolitano è necessario attraversarlo, riconoscendo anche agli oggetti un loro statuto, mettendo in discussione la percezione della realtà stessa, espandendo la nozione di vita quotidiana, registrando anche il rumore di fondo, le risonanze e l’inaudibile. Insomma, siamo ancora in pieno avanguardismo novecentesco, che se non ha mantenuto le sue promesse nemmeno è totalmente fuori sintonia con i tempi, riuscendo a rimanere ancora in relazione con la conoscenza collettiva nei gruppi sociali, funzionando come un metodo di ricettività ed apertura agli altri e al mondo. In Barrières Mobiles le quattro tracce presentate da Eric La Casa, più tre “silenzi” di 10, 20 e 30 secondi, che inframmezzano ogni composizione, scandiscono scenari allo stesso tempo inquietanti, eterei e un po’ claustrofobici, se pure le catture auditive sono state raccolte soprattutto in spazi aperti, come per esempio Parc de La Villette. Il bisogno di una sicurezza silenziosa nella vita di tutti i giorni viene ancora messo in discussione: questo non cambia i destini delle persone ma è ancora qualcosa alla quale aggrapparsi.
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