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Intervista a Maurizio Cometto: uno scrittore da anni in bilico fra weird e fantascienza | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine c’è una bella intervista di Cesare Buttaboni a Maurizio Cometto, autore del romanzo Le leggi dell’ordine etico, uscito per DelosDigital, che sto leggendo e che mi sta dando belle soddisfazioni; un estratto della chiacchierata:

1.Sei un autore poliedrico che ha toccato diversi generi letterari: quali sono le sfide che incontri nel passare da un genere all’altro? Credi che ci sia un filo conduttore che collega le tue opere, indipendentemente dal genere?

R: Ciao Cesare e grazie per questa bella occasione. Ho iniziato con il fantastico puro, ho proseguito con il weird, sono passato al fantasy di formazione e infine sono approdato al distopico dopo una puntata nel mainstream. Qualcuno potrebbe pensare che ho le idee confuse, ma non è così. Semplicemente, mi piace cambiare e sperimentare nuove possibilità. La mia idea è che uno scrittore, qualunque scrittore, tiri fuori il meglio di sé quando tenta strade inedite; viceversa, il fossilizzarsi su generi o territori sicuri porta inevitabilmente al ripetersi e all’inaridire la propria vena creativa. Ci sono delle eccezioni, ma spesso è così. Un filo conduttore tra le mie opere: forse, semplicemente, l’essere non totalmente “allineate” al genere in cui si tenta di classificarle. Poi ci sono temi come la memoria, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la ricerca di un significato alle proprie esperienze e al proprio passato, e tanti altri, ma questi li lascerei scoprire ai lettori.

2.Ci puoi parlare de Il costruttore di biciclette, un romanzo che ebbe l’onore di avere l’introduzione di Valerio Evangelisti? Molti lo considerano ancora oggi un libro di culto e una delle tue cose migliori.

R: È un romanzo a cui sono molto affezionato, per vari motivi. Innanzitutto, è il mio primo romanzo pubblicato (avevo esordito con una raccolta di racconti, L’incrinarsi di una persistenza, sempre per le edizioni Il Foglio). In secondo luogo, inaugurò la storica collana “Fantastico e altri orrori” de Il Foglio, e insieme mi fece conoscere l’allora curatore Vincenzo Spasaro, con cui nacque una profonda amicizia che dura ancora adesso. E infine, grazie alla benevolenza del grande e compianto Valerio Evangelisti, che seppe apprezzarlo, mi permise di farmi conoscere a un pubblico di lettori un poco più vasto. In sé questo romanzo contiene molti degli elementi a me più cari, ed è stato un punto di partenza per altre successive esplorazioni. Per certi versi inaugurò il filone cosiddetto “Magnivernese” della mia produzione, cioè quella più weird e più legata alla mia infanzia. Non a caso è stato posto all’inizio di Magniverne, un libro che cerca di mettere un po’ di ordine in quest’area del mio immaginario.

3.Il contesto storico ed economico degli anni 2007-2008, segnati dalla prima crisi economica del secolo, sembra essere un elemento centrale nel romanzo Cambio di stagione, una delle tue opere migliori a mio avviso. Come hai integrato questa situazione di instabilità e precarietà nell’evoluzione del protagonista e nella narrazione complessiva del libro?

R: Mi ha aiutato molto il fatto di viverla in prima persona. Questo libro è figlio diretto di quella crisi economica, i cui effetti, per fortuna non catastrofici, almeno sul piano personale, potei toccare con mano. Si tratta di un libro per certi versi irripetibile, perché, appunto, spuntato fuori dall’unione tra il mio immaginario e certe situazioni di vita lavorativa che mi sono ritrovato ad affrontare. Iniziai scrivendo il racconto Lo smeraldo a porta nuova, cercando di riportare sulla pagina il senso di precarietà e di sfiducia che si respirava allora. Non avevo idea che avrei scritto successivamente altri racconti con gli stessi personaggi, ambientazione e temi. Ma quella vena risultava fervida e urgente, e così uscirono fuori tutti gli altri pezzi, uno dopo l’altro. L’idea di collegare i racconti con un filo conduttore, in modo da farlo diventare una sorta di “romanzo a episodi”, venne dalla discussione con Vincenzo Spasaro, a cui li avevo sottoposti; in quest’ottica revisionai tutti i racconti e scrissi l’atto conclusivo, L’angelo della morte, che scava nella Torino Egizia e ne porta fuori, in fondo, un segno di speranza. Il libro uscì per le edizioni Il Foglio nel 2011, e oggi lo si può leggere anche in formato ebook, essendo uscito per Delos Digital nel 2023. 

 

Intervista a Francesco Corigliano: un viaggio alle radici del Weird | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine c’è l’intervista di Cesare Buttaboni a Francesco Corigliano, autore e saggista weird tra i più quotati; vi lascio ad alcuni brani della chiacchierata:

1.”Malasacra” è finora il tuo libro più importante. Si avverte come un senso si Apocalisse imminente. Hai cercato di trovare una via a una sorta di Sacro capovolto in questi racconti?

Malasacra raccoglie alcuni dei racconti che più mi hanno aiutato a formarmi nel campo del fantastico. L’ispirazione principale resta perlopiù quella lovecraftiana, anche se in alcuni testi ho tentato di trovare una prospettiva diversa, più moderna. Certamente il sacro è un tema centrale di alcuni di quei racconti (come in Sancta Sanctorum e Del male), che poi ho approfondito in storie successive. 
Per me il sacro, inteso soprattutto nell’accezione cattolica, è un argomento che si presta perfettamente alla narrazione fantastica odierna (oltre che essere un punto fondamentale della tradizione letteraria, a cominciare dal gotico). L’idea che il soprannaturale si incarni nel materiale, e che pur diventando concreto non perda la sua qualità metafisica, è un concetto che porta in sé un senso di inquietudine molto vicino alla sensibilità contemporanea. Soprattutto se si immagina che quel sacro abbia una concezione di “giusto” e “sbagliato” diversa da quella comune. In un’epoca che celebra la ricerca del controllo assoluto, la prospettiva che Dio esista e che ce l’abbia con noi può risultare antiquata ma non per questo meno terrificante.

2.Nel racconto “Il dragone del vuoto”, hai descritto il conflitto tra l’antica conoscenza e lo scetticismo moderno. Qual è il messaggio principale che desideravi comunicare attraverso questa allegoria surreale?

Il dragone del vuoto è uno dei racconti di Malascra a cui tengo di più. L’idea di base era quella di giocare con il concetto di “iperoggetto”, descrivendo un’entità che sfidasse I normali approcci conoscitivi. Il Drago è un drago, ma anche una tradizione e una maledizione, una cosa che non si vede ma che pesa sui tetti delle case, che permea un’intera comunità e ne replica i tratti. Per delineare i confini di un ente quasi impercepibile, ho pensato che fosse necessario deformare la prospettiva narrante, e calare il lettore nella mente di qualcuno che sfida l’inconoscibile e che ne è ossessionato. Per affrontare la sua quest lo studioso deve partire dalla conoscenza antica, adattandola in modo nuovo (le pagine che diventano lenti degli occhiali) e confrontandosi direttamente col mostro invisibile. Probabilmente l’intera storia può essere vista come un’allegoria dello studio, della filosofia e anche altro. Direi però che il finale esprime una certa sfiducia epistemologica.

3.In ‘Funerale’, la tua narrazione trasporta il lettore a San Filario, nell’entroterra calabrese, dove una misteriosa confettura sembra determinare non solo la vita e la prosperità degli abitanti, ma anche il loro trapasso. Questo scenario evoca fortemente il folk-horror, con i suoi elementi di oscurità e mistero. Come hai utilizzato l’ambientazione, il tono narrativo e i riferimenti al folk-horror per immergere il lettore negli oscuri riti del Funerale immaginato?

In Funerale ho tentato di rappresentare il punto di vista infantile dinanzi a eventi che sono insieme familiari e minacciosi. La tradizione è rassicurante per gli adulti, ma per arrivare a quel senso di comfort bisogna comunque attraversare un momento di consapevolezza, una soglia che può risultare spaventosa. C’è un primo Natale per tutti, una prima Pasqua e una prima festa del santo patrono. E c’è anche un primo funerale. A San Filario questo cambiamento consiste nel conoscere il mistero che si stende sotto il paese; un mistero il cui orrore viene lenito dal senso della comunità, da volti e sapori conosciuti, e da una fiducia quasi sacrale nella sapienza degli adulti e dei vecchi. Il rito di passaggio della morte coinvolge il defunto, la sua famiglia e l’intero paese, legando tutti in un senso di identità morboso e opprimente, ma che a una bambina può sembrare la cosa più meravigliosa del mondo.
Questa impostazione mi sembrava adatta all’uso della seconda persona singolare, per evocare un tono che fosse insieme di confessione e di comando, un monologo/dialogo interiore infantile.

 

Conversando tra le stelle – Volume 2


È uscito da pochi giorni Conversando tra le stelle – Volume 2, interviste agli autori nostrani di SF orchestrate dal fantastico Filippo Radogna, libro edito da Edizioni Scudo; Filippo, con mio grande piacere, mi aveva chiesto tempo fa una prefazione da pubblicare insieme a quella di Nicoletta Vallorani, e potevo tirarmi indietro di fronte a questa bellissima proposta? 🙂
Leggetevi tutte le interviste, danno il polso dell’attuale scena SF italica, che gode di una eccelsa salute. Grazie, Filippo, grazie…

“Col suo primo libro, Conversando tra le stelle, sempre delle Edizioni Scudo a cui va il nostro plauso, il Nostro ha scandagliato quarantacinque anime scoprendo la diversità di aspetti e motivazioni, mettendo a nudo quel fil rouge che ci lega tutti. (…) Ora, forte del successo della precedente opera, Filippo Radogna torna a proporre le interviste ad altri quarantacinque autori, scoprendo aspetti che sarebbe stato un vero peccato lasciare sotto silenzio”.

Intervista a Lucio Besana, sceneggiatore degli incubi, autore dell’inspiegabile | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine è uscita una bella intervista di Cesare Buttaboni a Lucio Besana, autore “oscuro” tra i più apprezzati in Italia; vi lascio a uno stralcio:

Nelle recensioni dei tuoi libri, viene spesso menzionata la tua abilità nel creare atmosfere suggestive e coinvolgenti. Qual è il tuo processo creativo per costruire queste atmosfere uniche e suggestive?

Nella Serie Cremisi sono partito dalle zone d’ombra della nostra realtà, quelle aree, anche banali, fuori dalla portata immediata e remota della nostra percezione – un paese lontano, il numero di porte nella nostra casa, la nostra memoria. Il presupposto è semplice: per esempio, una nazione che non conosci occupa, nella tua immaginazione, lo stesso spazio di una nazione mai esistita. Ho giocato su questa sovrapposizione per introdurre elementi fantastici nell’esperienza di realtà del lettore. Allo stesso tempo l’ho posizionato nel punto di vista di un turista, di un passante, di qualcuno che non è toccato direttamente da ciò che vede, e che paradossalmente assiste ad eventi prodigiosi e orribili con distacco. Quel distacco, quell’incapacità di meravigliarsi e inorridirsi, era ciò che volevo raccontare.
In Ombre dei Vivi e dei Morti lo scopo era dare al lettore la sensazione di ricordare la storia, più che di viverla leggendo. Per farlo sono partito dal linguaggio dei personaggi narranti e ho astratto la Valle che ha ispirato il romanzo fino a renderla un luogo della memoria più che un luogo reale.
L’Innocenza del Buio è un romanzo più ampio e con un concept classico. Per scriverlo mi sono riferito a canoni noti: Stephen King, il romanzo gotico. La progressione è quella tradizionale: l’orrore è dapprima accennato, poi arriva in ondate sempre più violente fino a esplodere. Mi sono permesso di sperimentare solo nelle parti dedicate alle vite passate dei protagonisti, dove ho cercato uno stile più emotivo e immediato. Ma l’effetto che doveva dare il romanzo era semplice e chiaro, non esigeva particolari accorgimenti di stile e struttura.

Oltre ai tuoi progetti passati, quali sono le tue aspirazioni future come scrittore? Ci sono temi o generi che desideri esplorare che non hai ancora toccato?

La mia priorità per il momento è di pubblicare il materiale che resta dalla mia ultima sessione di scrittura, conclusa nel 2022 e durata circa sette anni, la stessa da cui sono uscite la “Serie” e “Ombre”. Ho quasi finito. Il prossimo titolo che vorrei pubblicare è il romanzo “La Stanza Bianca”, un incrocio ideale tra Salem’s Lot di King e Casa di Foglie di Danielewski. Sono alla ricerca di un editore mainstream e potrebbe volerci ancora qualche tempo. Sto anche pensando a una seconda antologia, una raccolta dei racconti pubblicati negli ultimi anni su varie collane e antologie. Ho già un editore di fiducia interessato, stavolta nella scena indipendente, ma ne riparleremo dopo l’uscita del romanzo. Per il seguito sto accumulando idee e materiale, ma non so dire quando e se queste suggestioni prenderanno una forma definita. Non mi metto fretta. Posso solo dire che non mi sembra di andare nella direzione della “Serie Cremisi” o di “Ombre”. Sto cercando qualcosa di diverso.
Nel frattempo, continuo a insegnare, a tradurre (ho in cantiere un secondo Blackwood e un altro romanzo caro a Lovecraft) e sto pensando a un saggio sul cinema e la letteratura weird e horror.
Le mie intenzioni sono di continuare a pubblicare sia nell’indipendente, senza compromessi e per un pubblico specializzato, sia nel mainstream, tentando di fidelizzare un pubblico più trasversale. Non penso che le due identità siano incompatibili, ma immagino che a un certo punto dovrò scegliere una strada o l’altra. Vedremo.

 

Intervista a Laura Scaramozzino, distopia del junk food | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine una bella intervista di Cesare Buttaboni a Laura Scaramozzino, autrice di J-Card, proposta horror-sociale-distopico che ha riscontrato consensi generali; un estratto:

J-Card affronta temi complessi come le disuguaglianze sociali e le conseguenze delle scelte passate. Qual è stata la tua fonte di ispirazione per creare questo mondo distopico e quali messaggi intendevi trasmettere ai lettori attraverso la storia di Adele e Francesco?

Innanzitutto, grazie per questa intervista preziosa. Rispondo alla prima domanda dicendo che mi sono ispirata ad alcune ricerche che ho condotto nell’ambito del rapporto tra cibo ultraprocessato e l’insorgere delle malattie croniche. Quando ho scoperto ci fosse un nesso molto stretto tra il consumo del cibo spazzatura e, per esempio, l’insorgere dei tumori, ho rimuginato a lungo su questa scoperta. Rinvio, in particolare, agli studi della Dottoressa Maria Rosa di Fazio e del dottor Philippe Lagarde. Non sono né un medico né uno scienziato, ma seguendo i loro studi mi si sono aperti gli occhi. Basti vedere che cosa accede negli Stati Uniti, nei quali il consumo del cosiddetto Junk food, che ha un costo irrisorio ed è dunque accessibile ai più indigenti, provoca obesità e malattie cardiovascolari soprattutto nella frangia più povera della popolazione. L’argomento ha dapprima ispirato il racconto Junk Food selezionato e pubblicato sulla rivista Alkalina e, in un secondo momento, la novella J-Card con cui ho voluto, in una sorta di allegoria distopica, dare veste istituzionale a una realtà sotto gli occhi di tutti. I poveri sono sempre più costretti a mangiare male e a vivere peggio.

La trama di J-Card è ricca di suspense e colpi di scena. Come hai lavorato per mantenere alta la tensione narrativa durante lo sviluppo del romanzo?

Ho spolverato il mio amore per il noir e per certe atmosfere paranoidi che adoro. In questo, sono debitrice alla mia passione per i racconti di Cornell Woolrich che raccontava l’ambivalenza dell’agire umano come nessuno. Niente è come sembra e tutti i personaggi agiscono per ragioni inconsce o legate alla sfera emotiva più cupa e ambigua.

 

Intervista Lili Refrain – truemetal.it


Bella intervista su TrueMetal a Lili Refrain, sciamana che adoro e che capisco molto, molto bene quando viene citato questo aneddoto:

I tuoi concerti in realtà sono performance, rituali. Cos’è che ti ha fatto scegliere questa modalità di espressione artistica, che accompagna l’ascoltatore in una dimensione, chiamiamola così, “spirituale”, o comunque molto diversa dal semplice presenziare a un concerto?

Ci sono arrivata tanto dopo. Nel 2012 mio padre, al quale sicuramente devo la mia passione per la musica, è venuto a mancare per un incidente e questo evento, insieme agli incontri che ho fatto nelle settimane successive, mi ha fatto prendere consapevolezza di quello che stavo facendo. Nonostante la difficoltà emotiva, sono partita per il mio primo tour europeo perché sapevo che mio padre sarebbe stato orgoglioso di me. Durante il tour sono successe molte cose; ad Amburgo ho incontrato una persona della quale non ho mai saputo il nome, ma che io definisco “lo stregone del Mali” (sorride): è stato davanti a me per tutto il concerto, poi è venuto al banchetto e mi ha parlato in francese. La cosa che mi ha scioccato è che mi ha detto: “So tutto del tuo 15 febbraio.” che è la data di morte di mio papà. Abbiamo continuato a parlare dell’inesistenza della morte e del ciclo della vita e, ad un certo punto, mi ha detto: “Tu non sai bene cosa stai facendo. Quando suoni quei campanelli chiami intorno a te un sacco di persone…”. Poi se n’è andato. Non so dirti cosa sia successo, ma so che quello è stato il momento scatenante di una prospettiva diversa su quello che stavo facendo. Ho pensato: se questo è l’ultimo rituale che ci è rimasto, che ci connette a qualcosa di atavico, ancestrale, ho la responsabilità di suonare per dare, per scambiare, per creare un contatto con gli altri.

Sandro Battisti e l’Impero restaurato – Associazione World SF Italia


Sul sito della WorldSF un bel resoconto di Filippo Radogna all’incontro online dei giorni scorsi, presentato da Stefano Spataro, in cui abbiamo parlato di produzioni letterarie, immaginari, politica, surrealtà; un corposo estratto:

È stata pubblicata per i tipi de La Nuova Carne la riedizione cartacea del romanzo “L’Impero restaurato” con cui lo scrittore, poeta, curatore di collane letterarie, artista e conduttore radiofonico romano Sandro Battisti vinse il Premio Urania nel 2014. Sandro è appassionato di storia antica, in particolare di quella romana, ma anche di letteratura dell’immaginario ed è stato tra i fondatori, con Giovanni De Matteo e Marco Milani, del Connettivismo, movimento letterario e culturale eclettico e trasversale che ha raccolto le voci di tanti giovani intellettuali. Nel suo romanzo, pubblicato la prima volta nella Collana di fantascienza Urania Mondadori nel 2015 e divenuto oramai un classico, l’autore rappresenta le vicende di guerra, avvenimenti e intrecci di un grande impero alieno, quello Connettivo, esteso nello spazio e nel tempo, governato da potenti eroi semieterni con a capo l’imperatore Totka_II e il suo influente attendente Sillax. L’Impero Connettivo viene in contatto con il pianeta Terra e nello specifico con l’Impero romano d’Oriente, che fu realmente governato tra il 527 ed il 565 dopo Cristo da Giustiniano “Il Grande” (considerato uno dei più importanti imperatori dell’età tardo-antica) e da sua moglie Teodora.
Nel romanzo viene fuori una storia animata, con una robusta struttura, personaggi consistenti sia quelli davvero esistiti sia quelli concepiti dalla fervida fantasia dell’autore. Una formula narrativa con una scrittura dalle atmosfere oniriche, a volte imperscrutabili che il Nostro porta avanti con la sua consueta abilità di narratore al contempo stimato dalla critica e molto apprezzato dai lettori. La riedizione cartacea del testo è stata presentata nella serata del 29 febbraio nel corso di una diretta su facebook (è possibile rivederla sul profilo dell’autore sia su quello de “La Nuova Carne Edizioni”) nella quale Sandro ha dialogato con Stefano Spataro, studioso di storia della scienza, nonché musicista e autore di science fiction. Nell’introdurre la conversazione Spataro ha fatto presente come il romanzo di Battisti viaggi su due livelli temporali quello vero che storicamente si basa sul passato ampiamente conosciuto e studiato da Battisti e quello del lontano futuro postumano su cui è costruito l’impero alieno. Ma come nasce la storia e qual è il suo fine? Battisti ha spiegato che è impegnato su questo suo filone da oltre venti anni tra scrittura e studi e che si tratta di un’interazione in continuo divenire tra storia e futuro in continua estensione, con sempre nuovi episodi non solo suoi ma anche da parte di altri autori. È quindi divenuta una vera e propria saga.
Alla domanda se abbia un senso politico ha risposto che ha una visione anarco-punk, contro ogni qualsivoglia dittatura. Dal punto di vista letterario ha fatto presente come egli provenga dal filone Cyberpunk e che sotto questo aspetto si riferisce anzitutto a Bruce Sterling, ma che è stato influenzato anche dal maestro del weird Algernon Blackwood.

PINK FLOYD: “CHIT CHAT WITH OYSTERS” – INTERVISTA INEDITA DEL 1971 | PinkFloydItalia


Su PinkFloydItalia la segnalazione di un’intervista ai Floyd datata fine ’71, ritrovata integralmente da poco, in cui la band appare coesa e creativa come forse non lo è mai stata.

Un’intervista inedita del dicembre 1971 dei Pink Floyd allo Studio Europa Sonor in Francia è ora disponibile per la prima volta in versione integrale su YouTube. È stato necessario apportare solo alcuni ritocchi, tra cui il taglio di alcune riprese del Live at Pompeii a causa dei diritti d’autore. Un grande ringraziamento ad Adrian Maben e alla Cinémathèque Française per questa pubblicazione! Potete trovare il video originale di 52 minuti a questo link.
Adrian Maben ripercorre questa esperienza: “Sono riuscito a filmare questa sessione che testimonia la straordinaria complicità che esisteva all’epoca tra tutti i membri del gruppo. Si prendevano gioco di me, dei luoghi comuni dei giornalisti, del pubblico, della droga e di loro stessi. Erano i re dell’understatement, il loro umorismo secco era devastante, destabilizzante e spietato. Soprattutto quello di Roger Waters. Richard Wright, più discreto, si teneva un po’ in disparte rispetto agli altri. In seguito, acquisì il soprannome di “The Quiet One”. La giornata fu lunga. Per darsi forza, mandarono il “roadie”, Chris Adamson, a comprare qualche dozzina di ostriche e birra alla Brasserie Lorraine. Improvvisamente, il banchetto di ostriche divenne l’epicentro di una conversazione esilarante ed esplosiva. Parlarono e parlarono: Pompei, i computer che sostituiscono i musicisti (o meno), l’arrivo di David Gilmour dopo la partenza di Syd, le ostriche che attraversano i confini nazionali, la corale di Berlioz, i soldi e i metodi astuti che hanno inventato per smettere di litigare! Insomma, c’era un po’ di tutto per una mezza giornata di riprese. Bisogna capire che, all’epoca, i Pink Floyd non parlavano al pubblico, non rilasciavano interviste. Per loro i giornali erano privi di interesse, i giornalisti erano vecchi e non capivano nulla della loro musica. La pubblicità era inutile perché i loro concerti erano sempre esauriti, bastava il passaparola per riempire le sale. Questo documento semplice e divertente è unico. Le riprese non hanno richiesto molto editing e catturano lo spirito interiore della band di quattro persone. Tutto sommato, Pink Floyd: Live at Pompeii potrebbe essere proiettato dopo Chit Chat With Oysters, essendo l’uno la controparte dell’altro. Si tratta di un film, di un reportage o di mettere un disco in immagini? Quarant’anni dopo, ancora non lo so“.

Quando la realtà è da fantascienza: intervista a Philip K. Dick | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com, nell’ambito di Delos252, un’intervista impossibile e bella di Carmine Treanni a PK Dick; un estratto:

Non posso non chiederle cosa ne pensa dei tempi in cui viviamo, oggi nel 2024?

È un mondo psicotico, quello in cui viviamo. I pazzi sono al potere. Le mogli vengono picchiate dai mariti; la polizia uccide neri e latino-americani; i vecchi frugano nei bidoni della spazzatura o mangiano cibo per cani: la vergogna impera, regna. Il suicidio è solo uno di una miriade di eventi vergognosi. Quando un certo errore comincia a essere commesso da un bel po’ di persone, allora diviene un errore sociale, uno stile di vita. E in questo particolare stile di vita il motto è: “Sii felice oggi perché domani morirai”; ma s’incomincia a morire ben presto e la felicità è solo un ricordo.

Mi sembra di capire che lei sia abbastanza pessimista. Cerco di formulare la domanda in altri termini: lei si è occupato spesso della realtà e della sua ambiguità, si è posto la domanda “cosa è reale e cosa non lo è.” Qual è la sua definizione di realtà?

Realtà è quello che non scompare quando smetti di crederci. Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole. A volte la risposta appropriata alla realtà è diventare pazzi. In questa vita ci mostrano soltanto i trailer.

Non c’è altra via di uscita, a suo avviso? Dobbiamo accettare una realtà manipolata dalle fake news, quindi, oppure diventare pazzi? Sono queste le due alternative della vita secondo lei?

Il semplice fatto che qualcosa appaia inevitabile non dovrebbe indurci ad accettare supinamente. L’universo non avrà mai fine, perché proprio quando sembra che l’oscurità abbia distrutto ogni cosa, e appare davvero trascendente, i nuovi semi della luce rinascono dall’abisso. In qualche altro mondo probabilmente è diverso. Meglio di così. Esisteranno chiare alternative fra bene e male. Non queste oscure commistioni, queste mescolanze, senza gli strumenti adeguati per distinguerne le componenti. Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. È la condizione fondamentale della vita: essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. È l’ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si nutre della vita. In tutto l’universo.

LA FANTASCIENZA OGGI intervista a Sandro Battisti


Una breve ma corposa intervista a me da parte di Roberto Guerra, che ringrazio, leggibile su Futurismo2000. Vi incollo le domande e le risposte che ho amato dare.

D– Fare fantascienza oggi, negli anni ’20 del Duemila?
 
(S.B.) SF, weird, horror, fantastico a tutto tondo, è sempre importante forgiare l’immaginario di genere perché genera realtà, è un modo per sfuggire alle catalogazioni non di genere, occorre sempre rendere alternative le possibilità di vita, fossero pure psichiche; nella fattispecie, è chiaro che in questo momento che si avvia verso la metà degli anni XX del XXI secolo, c’è bisogno di rendere il genere SF svincolato dalle logiche di mercato, che annichiliscono la creatività per asservirla al ruolo di vassallo del business, e quindi alla morte termica: c’è bisogno che gli autori scavino a fondo delle idee, indipendentemente dai giudizi del marketing e dell’ufficio vendite, sennò tanto varrebbe scrivere la lista della spesa.
 
D- E nello specifico letterario, la fantascienza, forse la più interessante a livello psicosociale?
 
(S.B.) Credo che tutto il settore del fantastico possa raccontare il disagio sociale, come ha fatto il weird in “The others”, per esempio; certo, la SF può partire da una posizione privilegiata, avere la mente già allenata alle distopie e utopie di ogni sorta, ma è tutto il comparto di genere che dovrebbe sentire come obbligo morale quello di ergere bastioni e alternative contro il pensiero unico comune.
 
D- È possibile un Rinascimento cibernetico nel futuro prossimo?
 
(S.B.) La vedo dura, sempre per i motivi che ho espresso sopra. Servirebbe autonomia, consapevolezza, volontà di andare sempre controcorrente al pensiero dominante, certo è che il caos riemerge carsico in ogni tempo e ovunque, e questo è un po’ il fondamento ideologico che rivolgiamo verso le generazioni future; caos, quindi, non ordine: nell’ordine non germina nulla, è l’entropia il seme del cambiamento.
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