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NeXT Hyper ObscureArchivio per dicembre, 2020
Parte il vaccino della Nazione Oscura | NAZIONE OSCURA CAOTICA
[Letto su NazioneOscura‘s blog]
Eccoci al decimo anno in cui festeggiamo la fine col botto: la Nazione Oscura, dopo aver annunciato il proprio vaccino, comincia a somministrarlo da oggi!
Il vaccino NOC, che si aggiunge a quello di Pfizer, Moderna, Sinopharm (quello cinese) e Sputnik (quello russo), ha caratteristiche diverse: si conserva a 5/10 °C, è secco, di colore paglierino, alcoolico a 40% vol. e si inietta a temperatura ambiente.
Fumetti solidali contro il randagismo: un crowdfunding d’autore | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la segnalazione di un progetto a fumetti contro il randagismo dei cani, un’operazione che ammiro molto e a cui penso sia giusto dare un corretto risalto; ecco i dettagli:
Chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato, scriveva Arthur Schopenhauer. Anche senza scomodare la filosofia, però, chiunque abbia solo giocato per pochi minuti con un cane sa benissimo quale e quanto amore siano in grado di dare queste più o meno grandi pallottole di pelo. E, probabilmente, saprà anche quanto crudele possa essere il genere umano.Il randagismo, purtroppo in particolare nel Sud Italia, è un problema straziante ed è solo grazie a persone splendide, dotate di rara sensibilità e dedizione, che viene leggermente alleviato. Angela e Marianna sono due volontarie irpine, per la precisione di Fontanarosa (AV), e, solo nel corso dell’ultimo anno, hanno salvato e fatto adottare centinaia di randagi. Hanno fatto tutto da sole, investendo tempo e soldi che neanche avevano, ma, nonostante i loro immani sforzi, la situazione non riesce mai ad essere arginata totalmente e, ora più che mai, hanno bisogno del nostro sostegno per continuare a dedicarsi a cuccioli e cagnoloni (+ qualche gattino)!
Il piano prevede illustrazioni in cambio di donazioni. Sulla pagina della campagna su Produzioni dal Basso, potrete acquistare splendide stampe, tavole originali (tra cui “Spiderman. The Vulture” di Elena Casagrande), sketch già realizzati (tra cui un Miles Morales di Sara Pichelli e un Batman che ride di David Messina) e commission da realizzare con soggetto a scelta del committente. Potrete anche far ritrarre il vostro cane da Virginia Salucci della “Guida galattica per dogsitter”! Ne abbiamo davvero, davvero, per tutti i gusti: corgi che ululano alla luna, supereroi Marvel e DC, Baby Yoda, La regina degli scacchi, Star Trek, Lupin, personaggi onirici e idilliaci, e tanto altro ancora!
Eyes Wide Shut: Il testamento psico-erotico di un maestro
Su OcchioDelCineasta una bella recensione a Eyes Wide Shut, l’ultimo film di Stanley Kubrick, che è stato anche il testamento di una coppia di attori che viveva insieme nella vita e che, dopo aver girato questo film così intimo, si sono lasciati. Un insieme di cause ed effetto che sforano il reale nella finzione, e viceversa. Un estratto della rece:
Il tredicesimo (e ultimo) lungometraggio del maestro del cinema Stanley Kubrick sintetizzò la conclusione degna per una carriera registica che per oltre un cinquantennio si era interessata all’indagine, allo studio dell’animo umano. Il regista, infatti, morì a poche settimane dalla conclusione delle riprese, e non poté né ultimare il montaggio (curato poi da Steven Spielberg) né replicare all’accoglienza tiepida, se non addirittura negativa, di una critica che (come fu per Arancia meccanica) si divise in guelfi e ghibellini.
L’idea di Eyes Wide Shut venne a Kubrick dopo la lettura del romanzo di Arthur Schnitzler Doppio sogno, che rielaborò per trasformare in grande arte filmica l’introspezione freudiana dei problemi coniugali, spostando il contesto geo-storico dalla letteraria Vienna anni Venti alla New York anni Novanta (quest’ultima ricostruita però ai Pinewood Studios di Londra). Una volta chiamata a raccolta la coppia hollywoodiana per eccellenza (Cruise/Kidman), Kubrick ha potuto sguinzagliare tutta la sua visionarietà, andata poi a tradursi nel suo film più doloroso, che valica la contaminazione di sogno e realtà mentre si ammanta di torbidi simbolismi, enigmatico e disturbante per le sinapsi più che per lo stomaco.
Nella New York di fine Novecento, il dottor Bill (Tom Cruise) e Alice Harford (Nicole Kidman) sono la coppia perfetta: giovani, belli, di status agiato e con una bambina piccola. Tuttavia la crisi è dietro l’angolo, e lo spettro del tradimento s’infiltra nella loro vita coniugale. Dopo che la moglie ha confessato di aver fantasticato su un rapporto adulterino, Bill intraprende un viaggio notturno per le vie della Grande Mela, affrontando gli ostacoli dei desideri e delle fantasie più peccaminose. L’apice surreale di questo girovagare verrà raggiunto quando Bill riuscirà a infiltrarsi in una villa di figuranti mascherati dediti al baccanale scambistico, un’esperienza che rischia di coinvolgerlo in un omicidio.
Flaco, dai Punkreas a postino: «Ecco cosa non perdono alla band che mi ha cacciato» | Rolling Stone Italia
Su RollingStoneItalia una lunga intervista a Flaco, ex chitarrista dei Punkreas che ora ha cambiato, in qualche modo, vita. Un estratto:
Gli slogan più famosi del movimento punk recitavano “no future” e “do it yourself”. Sul primo, dopo un po’ di anni, in tanti si sono ricreduti. Almeno tra i sopravvissuti. Il secondo, invece, sembra rimanere un marchio indelebile in chi ha attraversato quella stagione. È il caso di Fabrizio Castelli, per tutti Flaco, storico chitarrista dei Punkreas, che dopo la rottura con la band si è ricostruito una vita in solitaria, arrivando a lavorare come postino a Cassano Magnago (Varese). Un impiego “normale”, dopo 25 anni di dischi, concerti e poghi incendiari scatenati con uno dei gruppi simbolo del punk italiano. Ma nonostante la traumatica rottura, fedele al motto “fallo da solo”, ha prima realizzato un disco solista, Coleotteri, e poi trovato il modo di far riemergere l’altra passione fino ad allora rimasta sopita. Grazie al part-time a Poste Italiane, ha infatti ripreso in mano i libri e ora si propone anche come consulente filosofico (materia in cui è laureato). Per la prima volta dal 2014, anno dell’addio ai Punkreas, ci ha raccontato quanto è stato difficile accettare di essere allontanato dalla band che ha fondato, quali sono gli atteggiamenti che non riesce a perdonare ai suoi ex soci, e di un mondo diviso fra buoni e cattivi – quello a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 – in cui si poteva ancora avere la percezione di cambiare la società attraverso la musica.
Nonostante tutto, la musica fa parte della tua vita?
In realtà, in questo momento sono più concentrato sulla filosofia. La musica resta un capitolo aperto, ma in stand-by. Penso dipenda sia da aspetti personali che generali. Osservando in modo più ampio la questione, la mia storia musicale si è intrecciata, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, con l’occupazione dei centri sociali, quando cioè si poteva ancora dare un senso pieno alla parola underground. Forse è stato l’ultimo momento in Italia del genere, con la presenza di un circuito che sfuggiva alle maglie del mainstream, con una sua capacità stilistica e una autonomia di comunicazione. Senza contare che c’era un tessuto sociale fertile. Erano gli ultimi fuochi del cosiddetto secolo breve.Con i Punkreas vi siete formati nel 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino.
Sembrava più un momento giusto per sciogliersi, ma in Italia arriva tutto in ritardo. Infatti, era ancora presente la partizione mitologica da Guerra fredda che si sarebbe poi dissolta. Però in quel periodo ha prodotto cose valide. È stato un percorso entusiasmante, sia musicale che sociale, in cui avevamo la percezione di poter incidere sul quello che accadeva nel mondo. Che fosse vero o falso non aveva importanza. Quel contesto ha ricevuto la mazzata definitiva, prima a Genova 2001 e poi a Roma 2003, quando una grande partecipazione di massa è stata stroncata senza appello. In seguito, siamo entrati in una fase di riflusso che si è associata con una crisi economica che ha fatto strage di tutte le possibilità di una cultura dal basso. Anche quando è arrivata la rivoluzione digitale, come prima conseguenza ha penalizzato le piccole produzioni.Tutto si è ridimensionato nell’ambito punk, però certe band che hanno fatto la storia del movimento di quegli anni rimangono ancora attivissime. Punkreas compresi…
Personalmente l’esperienza con i Punkreas è finita amaramente. In quel periodo ero abbastanza insopportabile, avendo problemi personali che evidentemente riversavo nella band. È anche vero che non c’è stata dall’altra parte molta attenzione nei miei confronti, però chi è senza peccato scagli la prima pietra. L’ho presa come una occasione per prendere atto che da tempo la mia attività musicale tendeva a fotocopiare se stessa. L’abbrivio iniziale, quello più genuino, cominciava a diventare un cliché e quindi non mi andava più di replicarlo.
Acque profonde – William H. Hodgson – recensione
Recensione di Cesare Buttaboni alla seconda raccolta di racconti di William H. Hodgson, uscita per Hypnos, dal titolo Acque profonde. Ecco uno stralcio della valutazione:
Secondo lo psichiatra e filosofo svizzero Carl Gustav Jung “L’acqua in tutte le sue forme – in quanto mare, lago, fiume, fonte ecc. – è una delle tipizzazioni più ricorrenti dell’inconscio, così come essa è anche la femminilità lunare che è l’aspetto più intimamente connesso con l’acqua”. Il simbolismo del mare non ha mancato di influenzare la letteratura migliore: da Melville a Conrad fino a Stevenson, Jules Verne ed Edgar Allan Poe con il suo celeberrimo Gordon Pym sono numerosi gli esempi in questo senso. Ma forse colui che ha saputo evocare in maniera più efficace il senso di solitudine, di mistero e di minaccia incombente delle infinite distese marine è stato il grande William Hope Hodgson.
L’editore Hypnos, dopo il primo, pubblica anche il secondo volume di “Tutti i racconti di mare” ovvero Acque profonde, un volume curato, con grande passione e competenza, da Pietro Guarriello. La nuova traduzione è della brava Elena Furlan. Ogni racconto viene introdotto e inquadrato da Guarriello con molta precisione e ricchezza di riferimenti bibliografici mentre la sua lunga postfazione Perduto nei mari stregati: William Hope Hodgson e il mistero dei Sargassi è un contributo realmente importante per capire la genesi di quello che, a ragione, può essere definito come il “Ciclo del Mar dei Sargassi”. In definitiva siamo di fronte ad un altro tassello importante per conoscere la produzione di una figura fondamentale nell’ambito della letteratura soprannaturale.
Pink Floyd Live at Pompeii: un grandioso elogio della bellezza
Su OndaMusicale un lungo articolo che dettaglia la storia, lo spirito e i contenuti di PinkFloyd at Pompeii, classicone girato nell’anfiteatro di Pompei al finire del ’71 in cui i Floyd danno, effettivamente, uno dei loro migliori di cui si sono resi protagonisti. Uno stralcio dell’articolo:
Quando la troupe arriva sul posto, i tecnici si rendono conto di non avere abbastanza disponibilità di corrente elettrica per alimentare tutti i macchinari. Il problema viene risolto col famoso cavo, fornito dal Comune stesso e alimentato dalla corrente del Municipio. I disguidi accorciano sensibilmente i tempi previsti per filmare il concerto, tanto che le riprese effettive si concentrano in soli quattro giorni, tra il 4 e il 7 ottobre del 1971. La breve finestra temporale fa sì che non ci sia il tempo di registrare tutte le canzoni previste, che erano più o meno quelle che facevano parte della scaletta live del periodo, con l’aggiunta di due parti della lunga suite di “Echoes”. Per risolvere la situazione si renderanno delle ulteriori giornate di riprese tra il 13 e il 20 dicembre, agli studi Europasonor di Parigi, dove la band suonerà altre canzoni illuminata solo da riflettori simili a quelli impiegati a Pompei; la sovrapposizione di alcune immagini girate tra gli scavi contribuiranno alla riuscita dell’innesto cinematografico, tanto che quasi non ci si rende conto della differente ambientazione. Inoltre, alcune bobine delle riprese vanno smarrite, evento a cui si deve il fatto che, durante l’esecuzione di “One of these days”, le inquadrature si concentrino quasi esclusivamente su Nick Mason, regalando un momento di gloria al membro più sfuggente del gruppo.
Il film è pronto per l’uscita nel 1972: il successo bacia da subito l’opera, sia nelle sale sia per la critica. Negli anni, poi, il live a Pompei diventa un vero e proprio cult per i fan. Non si deve dimenticare, inoltre, che all’epoca i Pink Floyd, pur essendosi già guadagnati lo status di band di culto, erano un po’ degli oggetti misteriosi a livello visivo. Non avevano un frontman di carisma e presenza scenica come i Led Zeppelin, i Deep Purple, gli Who o i Rolling Stones, e i loro live erano talmente imperniati su rivoluzionari effetti visivi e speciali da nascondere quasi i musicisti dagli sguardi del pubblico.
La performance di Pompei mostra finalmente i quattro giovani in piena luce, con la qualità eccezionale del prodotto cinematografico e nello splendore della loro giovinezza. Ma diamo un’occhiata più da vicino al film vero e proprio. La proiezione inizia con lo schermo completamente nero e la grancassa di Mason che riproduce il battito del cuore umano. Passa un minuto buono prima che si aggiungano altri strumenti e quasi due perché il nero si dissolva lasciando spazio alle immagini…
Lankenauta | Cartagine oltre il mito
Su Lankenauta una recensione a Cartagine oltre il mito: prima e dopo il 146 a.C., saggio storico e archeologico di Giovanni Di Stefano che indaga accuratamente i secoli di Storia in cui la città fenicia ha avuto rilievi d’importanza. Uno stralcio:
C’è una sorta di mitologia attorno alla città fenicia di Cartagine che nasce con la sua fondatrice, Elissa, in fuga da Tiro – siamo nel IX secolo a.C., chiamata Didone dalla popolazione della costa africana (dove infine la fuga termina) e continua con la costruzione della città nuova, Qrt Hdst secondo la toponomastica punica. I Fenici sono marinai-commercianti, alla perenne ricerca di oro e argento (così li descrivono Erodoto e Diodoro Siculo), seguaci di dèi sanguinari: ma forse qui il mito dei tophet – uno è visibile sull’isola di Mozia, di fronte a Marsala – cioè i cimiteri che conterrebbero i resti di infanti sacrificati – deve la sua origine più a una storiografia greca “partigiana”, e ai romanzi di Flaubert, che alla realtà storica.
Cartagine è la mitica città da cui muove Annibale, e nella quale si svolgono le guerre puniche, ma sarà anche la patria di Tertulliano, Agostino, Fulgenzio. Una “seconda Roma”, secondo lo stereotipo che continua a condizionare l’immaginario collettivo, come giustamente nota Massimo Cultraro nella prefazione. Un punto strategico, crocevia tra Occidente e Africa, luogo di scambi, di incontro tra culture, ma anche centro di interesse, nella scacchiera imperiale, per rafforzare l’autorità, o per giochi di forza (si veda la rivolta contro Massenzio).
Il periodo romano della Colonia Iulia Concordia Karthago dalla fase augustea a quella giulio-claudia è ben attestato innanzitutto da tre monumenti figurati: l’Ara Gentis Augustea, contemporanea alla romana Ara Pacis, rinvenuta alla Byrsa, anepigrafica ma riconducibile al liberto Publio Perelio Edulo, istoriata con i topoi iconografici romani della fuga di Enea con Ascanio e Anchise, la dea Roma, Apollo e una scena di sacrificio; e due lastre d’altare provenienti dall’area situata tra le cisterne della Malga e l’anfiteatro, vicino all’ingresso principale della città: anche in queste lastre le raffigurazioni ripropongono iconografie romane, influenzate dalla committenza e dalla religiosità locale (culto di Demetra, richiami egizi al culto di Osiride, Marte Ultore, Venere e forse una solennizzazione del giovane Gaio Cesare, prematuramente scomparso, cui venne assegnata postuma la vittoria sui Parti). Sia l’ara che il tempio mostrano da un lato la continuità della nuova colonia da Roma, ma ostentano i risultati della pax augustea che assieme all’ubicazione dei luoghi politici, religiosi e pubblici della città (foro, ingresso, anfiteatro, templi, terme), fanno di Cartagine davvero la “Roma africana”.
Memorie di un colonnello di soldatini | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la segnalazione del nuovo romanzo di Alessandro Forlani, Memorie di un colonnello di soldatini, uscito in cartaceo ed ebook per Amazon. Colto e intrigante, come sempre, il materiale su cui Alessandro ha lavorato:
Italia, 2027. Lo storytelling è diventato una pratica quotidiana: la continua e immaginosa narrazione di ogni fatto, di sé stessi, il proprio intimo, è il mestiere di “inging” professionisti a cui i clienti si rivolgono per raccontare – e vivere le proprie vite – in modi interessanti ed eccitanti. Tale pratica ha allontanato le persone dalla realtà, le ha sospese in esistenze allucinate e soggettivi intervalli di spazio-tempo. Un tessuto inconsistente di forme e di parole. Un limbo. Un sogno. Un incubo. Un delirio. Il mondo sta finendo, sta finendo di finire. Un professore universitario con l’hobby dei wargame, a capo di un movimento clandestino, è deciso ad attuare uno strano “golpe” per salvare la società e il paese dal disastro. Ma ha bisogno del supporto mediatico di una inging di talento. Arianna è la migliore: un’influencer che ha elevato lo storytelling a vera forma d’arte. Un romanzo di fantascienza distopica, new weird e urban fantasy. Una satira sociale, un’accusa. Un romanzo che insinua il dubbio che tutto quello che ti circonda è la storia di qualcun altro, ma non è una storia vera. Potrebbe essere il tuo romanzo, se non fosse che anche tu, forse, non esisti.