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NeXT Hyper ObscureArchivio per Roger Waters
Pink Floyd – Empty Spaces – What shall we do now?
Un brano straconosciuto, le immagini dal film “TheWall” sono da lungo tempo, ormai, iconiche.
Roger Waters: la sua rivisitazione di “Comfortably Numb” suona sinistra e cupa. Ma molto attuale | OndaMusicale
Cosa c’è dietro la rivisitazione del classicone floydiano “Comfortably Numb” eseguita nel suo ultimo da tour da Roger Waters? Ce lo spiega OndaRock – sotto il clip bello, bello, bello da far piangere:
Prodotta da Roger Waters con Gus Seyffert, che suona nella sua touring band, accompagnata da un video inedito, Comfortably Numb 2022 è stata registrata in vari studi del Nord America. È il pezzo che apre il tour dell’addio di Waters, This Is Not a Drill.
Comfortably Numb è una delle canzoni dei Pink Floyd in cui i talenti di Waters e dell’amico-nemico David Gilmour si bilanciano meglio. Nella nuova versione il pezzo è rallentato, l’atmosfera è sinistra. E il ritornello, che nell’interpretazione di Gilmour “apriva” la canzone in modo forte e poetico, è trasformato in una sorta di canto funebre. Non c’è l’assolo di chitarra finale, uno dei più amati della storia, sostituito da una parte vocale femminile senza parole che porta la durata di Comfortably Numb 2022 a otto minuti e mezzo. La storia del rocker e del suo dr. Feelgood diventa nel video, che si apre sulle immagini di una città colpita dalla guerra, coi grattacieli sventrati e il cielo d’un colore improbabile (e il maiale di Animals), una metafora di come ci stiamo tutti dirigendo “comodamente intontiti” verso l’estinzione, col capo chino sui nostri smartphone, con recinzioni da campo di concentramento sullo sfondo.
Roger Waters, la sua storia preferita su Dark side of the rainbow – Rockol
Su RockOl una gustosa intervista a Roger Waters che verte – anche – sulle coincidenze tra DarkSideMoon e il film del ’39 “Il mago di Oz”; la bizzarra commistione è nota come “Dark side of the rainbow”, ma quali connessioni effettive ci sono tra questi due lavori?
Verso la metà degli Anni Novanta, in un articolo pubblicato sul Journal Gazette di Fort Wayne, Charles Savage, riprendendo un’idea di alcuni fan dei Pink Floyd, suggeriva ai lettori di guardare il film “Il mago di Oz” del 1939 senza audio e con i sottofondo l’iconico album della leggendaria band britannica del 1973, “The dark side of the moon”. Iniziò così a circolare la voce che il disco del gruppo fosse stato concepito in qualche modo come colonna sonora per la pellicola di Victor Fleming. Negli anni successivi poi, i membri dei Pink Floyd sono intervenuti in più di un’occasione per smentire ogni loro possibile collegamento con questo fantomatico progetto conosciuto con i titoli “Dark side of the rainbow” o “The dark side of Oz”. Recentemente, in un’intervista per il podcast di Joe Rogan, Roger Waters è nuovamente intervenuto sulla vicenda e ha raccontato la sua storia e i suoi pettegolezzi preferiti legati a questo mito.
Alla domanda se i Pink Floyd avessero o no pianificato la coincidente sovrapposizione tra il disco e le scene del film, Waters ha risposto: “Stronzate, ovviamente lo sono. Voglio dire, funziona se fai come viene detto, ma nulla ha a che fare con noi. Nessuno di noi c’entra qualcosa e questa leggenda non ha a che fare con nessuno dei Pink Floyd o chiunque abbia scritto o registrato la musica. È una coincidenza, forse una coincidenza cosmica”.
Il 79enne musicista britannica ha poi condiviso ai microfoni del podcast una storia in particolare legata a “Dark side of the rainbow” e ha narrato: “C’era un poliziotto in Louisiana che si mise a inseguire un autobus che zigzagava un po’ per la strada Quindi lo fece accostare. Mise la bici sul cavalletto, aprì la portiera e c’era molto fumo”. Ha continuato: “Entrò, passò tra i sedili dell’autobus e si mise alla ricerca della provenienza del fumo di marijuana. Alla fine arrivò sul retro dell’autobus dove c’era uno scompartimento privato. Aprì la porta, entrò e c’era Willie Nelson”.“Storia vuole che ci fosse Willie Nelson intento ad ascoltare ‘The dark side of the moon’ mentre guardava ‘Il mago di Oz’ in tv. Non credo a una parola della storia, ma mi piace molto!”, ha chiosato Waters.
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Continuando a parlare di Roger Waters, vorrei fare un piccolo salto indietro e rievocare un suo concerto di venti anni fa, forse il suo più intimo a cui ho assistito, pregno del senso floydiano ma anche per pochi sodali, dove vederlo in azione sul palco a pochi metri ha ancora i miei occhi un valore inestimabile, pur se all’epoca Roger non aveva con sé tutto l’apparato tecnologico – ora molto più che floydiano – ma di cui s’intuiva comunque la presenza.
Ho pescato dalla Rete questa recensione dell’epoca, e mi ci specchio quasi totalmente, anche se ricordo che i due chitarristi non arrivavano a fare mezzo Gilmour 🙂
Roma, stadio Flaminio, 12 giugno 2002, un abisso di tempo riesumato su XTM…
Non siamo neanche arrivati al cancello d’ingresso, io e Pink, che iniziamo a sentire, proveniente dall’interno dello stadio, il riff inconfondibile di “In The Flesh”. Sono le 8 di sera, il sole splende ancora altissimo. “Non ti preoccupare, Floyd”, mi fa Pink, “sarà l’impianto di diffusione”. Macché, il concerto è già partito, e d’altro canto l’avevano detto che sarebbe iniziato puntuale per evitare di finire in tarda serata e distruggere la quiete agli abitanti del quartiere.
Inizia una forsennata corsa verso l’erba verde del Flaminio, “The Happiest Days Of Our Lives” e siamo ancora virando sotto le tribune. Entriamo al coro di “We don’t need no education, we don’t need no thought control”, con la Roger Waters Band che alla luce del sole esegue una versione ad altissima fedeltà di “Another Brick In The Wall”. E non ci sono cinismi che tengano, perchè è un momento realmente emozionante: fino a un paio di mesi prima mi stavo rassegnando all’idea che avrei stirato le zampe senza ascoltare mai una nota dei Pink Floyd dal vivo, e invece l’evento sta avendo luogo, proprio di fronte ai miei occhi.
Sempre da “The Wall”, Waters attacca la lenta, struggente “Mother”, ed è il momento di guardarsi intorno: pubblico tra i 10 e i 70 anni di età, tutti con un sorrisino ebete stampato sul viso tranne, presumibilmente, quelli seduti in tribuna, imbufaliti per aver pagato 60 euro (molto più di noi che stiamo sul prato) ed essere relegati in una posizione di sguincio, dato il cambio di venue al Flaminio dal previsto Olimpico (dove avrebbero avuto diritto a una eccelsa postazione di fronte al palco). “Brezhnev took Afghanistan, Begin took Beirut”, attacca Waters, affiancato dai suoi chitarristi Snowy White e Andy Fairweather-Low, e dal tastierista Chester Kamen, fratello di Nick. Arriva anche “Southampton Dock”, mentre sui megaschermi, che dovrebbero proiettare immagini mirabolanti, continua a vedersi poco o nulla, causa sole. All’esecuzione di “Pigs On The Wing” e “Dogs” (da “Animals”) mi è ormai chiaro che si tratta del concerto da stadio con il miglior sound che abbia mai visto, in perfetta tradizione pinkfloydiana. Calano finalmente le prime ombre della sera, e durante “Set The Controls For The Heart Of The Sun” (unica concessione ai Pink Floyd pre-1970) si vedono finalmente nitidamente le prime immagini dai megaschermi: sono Waters, Gilmour, Mason e Wright, ripresi mentre si rotolano in un campo di grano in un pomeriggio inglese degli anni sessanta, giovanissimi e psichedelicissimi. Vengono concessi anche dei momenti di gloria alle tre coriste; una di loro, quella che fa l’assolo, è la mitica P.P. Arnold, “Incise due album sul finire degli anni ’60 per l’etichetta Immediate di Loog Oldham, il manager degli Stones”, informo enciclopedico il buon Pink, “il primo è eccezionale, il secondo molto meno, anche perché uscito in un momento in cui l’etichetta stava collassando…”
Discorso interrotto dall’arrivo, in sequenza, di “Shine On You”, “Welcome To The Machine” e “Wish You Were Here”, un terzetto che lascia me e tutti i presenti con la bocca aperta e le orecchie in tiro.
C’è un break di 20 minuti, che serve a malapena per rifiatare. Si ricomincia con quello che è il clou del concerto e, in ultima analisi, il vero motivo per cui 20.000 persone sono riunite stasera su questo prato dove di solito si gioca a rugby: la sequenza di brani tratti da “The Dark Side Of The Moon”, partendo dal battito cardiaco di “Breathe”, passando per “Time” e concludendo con una ballabile versione di “Money”.
Mi viene in mente, ascoltando quei brani immensi, eseguiti live con una precisione e un’alta fedeltà colossale, di come a volte dimentichiamo (tutti) che “Dark Side” è e resta un caposaldo della musica che in difetto di migliori termini definiamo “rock”. Troppo spesso, certa critica un po’ troppo snob ha storto il naso di fronte al successo universale e un po’ “nazional-popolare” di quell’album datato 1973 e, citando i Pink Floyd, ha magnificato i dischi dell’epoca Barrett per sminuire quelli, diversi ma altrettanto grandi, del periodo Waters. E in cima alle classifiche dei dischi più influenti di tutti i tempi ci andavano regolarmente cose tipo “The Velvet Underground & Nico”, mentre “Dark Side” non riceveva neanche lo straccio di una citazione. Ha influito, su “quella” critica, l’epiteto di “dinosauri” con cui le nuove leve del punk definirono la generazione dei Led Zeppelin, degli Stones e, certo, dei Floyd; e forse anche la famosa t-shirt indossata da Johnny Rotten in alcuni concerti del ’76, recante la scritta “I Hate Pink Floyd”. Ma un mondo senza “Dark Side” sarebbe, musicalmente parlando, molto più povero. Per fare un esempio, una band come i Flaming Lips di “Soft Bulletin” e “Yoshimi” non è assolutamente concepibile se eliminiamo dall’equazione l’epopea sul “lato oscuro della luna”.
La suite di cui sopra viene intervallata da alcuni pezzi tratti dai dischi solisti di Waters, tratti dal valido “The Pros And Cons Of Hitchhiking” e dagli sbiaditi “Kaos Radio” e “Amused To Death”, poi veniamo rispediti sulla luna, con “Brain Damage” ed “Eclipse”, splendidi come li conoscevamo. Waters, che fino a quel momento è rimasto fisso al centro del palco, fa una passeggiata dalle nostre parti, e riusciamo finalmente a vederlo da vicino. “’Ammazza, quanto è vecchio”, è il lapidario commento di Pink, che purtroppo corrisponde a verità: capelli bianchi e abbondanza di rughe, sembra quasi un reduce, come se il Tenente Waters protagonista di alcune delle sue canzoni fosse tornato indenne dallo sbarco di Anzio per offrirci una dissertazione in musica sui suoi orribili incubi di guerra.
Si finisce in crescendo, con “Comfortably Numb”, uno dei migliori episodi (il migliore?) da “The Wall”. C’è tempo per una encore, la nuovissima “Flickering Flame”, unico pezzo inedito contenuto nell’appena uscita compilation di brani del periodo solista.
Poi tutti a casa, anzi, nel nostro caso, al pub, a discettare del perché e del percome le canzoni epocali che Waters scrisse quando aveva tra i 20 e i 30 anni siano nettamente superiori a quelle prodotte in età più matura; e di come vedere Waters (il songwriter) sia ben più significativo che non assistere ai Floyd di Gilmour, Mason e Wright, che sono sempre stati dei semplici, benchè validi, esecutori.
This Is Not A Drill Tour Review: The Genius of Roger Waters
Una recensione al tour attuale di Roger Waters (This Is Not A Drill: sarà davvero l’ultimo?), in particolare per la data di San Francisco; vi lascio ad alcune note in inglese del recensore ThePaltrySum:
Before I carry on, I will say this. If you don’t have tickets to see Roger’s This Is Not A Drill performance, if you even have the vague notion that you ‘might like to go to the show’, stop reading this review right now, fire up ticketmaster and buy two tickets, in the most expensive seats you can afford. Just do it. You can read the review and salivate at the prospect of getting to experience this goodbye tour from Waters after. You will not regret it, and might even consider me quite a stand up kinda girl for giving you the hint. After all I could simply have not told you, and then you would be missing out on seeing what was the best show of my lifetime, and that would just be sad.
When we took our seats, in the center of the top end section of the stadium I became acutely aware of the problem that performing in the round poses. Everyone wants to see Roger and the rest of the performers, and everyone in there needs to get a good look at the light and projection show, which absolutely makes This Is Not A Drill into the masterpiece it is. The sight of crossed hammers with This Is Not A Drill written under them greeted the audience, being beamed in by an uncertain and sometimes fuzzed out interrupted transmission.
More importantly perhaps, Roger’s heart is clearly in the right place. Roger is the ultimate hippy child, all grown up, who always did see the wolf knocking at the door, and started to warn us all in the 70s that the ‘Lunatics (were) on the grass’, trying to cut all us little people up into lamb chops, to mix my album metaphors. Tonight there was plenty of material from both Animals and Dark Side of the Moon. In fact Roger played for 2 and 3/4 hours. Track after perfect track, stunningly presented, perfectly played and proving who Pink was this whole damn time. It was Rog. You see Roger can do Floyd without Mason or Gilmour, but Gilmour cannot do Floyd adequately without Roger. Heck Waters even have a new guitarist and singer of Money, whose name is also David. The fact is the New David’s guitar work is every bit as luscious as Dave “Killer” Gilmour’s, it is every bit as perfect as David’s work on the albums. The New Dave doesn’t go off the beaten track and improvise like Old David does, but in my mind that is good. People love the albums. They want to hear it like it is on the album, not feel sad because their favorite song sounds different. We need that soaring arpeggio. The audience thirsts to hear the songs that are part of their life, their social awareness, their friends, their comfort, exactly how they are on the albums, and for the most part, Roger gives us boys and girls exactly what our hearts desire.
ROGER WATERS IN ITALIA NEL 2023! – “THIS IS NOT A DRILL” A MILANO E BOLOGNA!
Come annunciato da PinkFloydItalia, la prossima primavera Roger Waters suonerà il suo This is not a drill anche in Italia – al momento Milano e Bologna, ma è lecito sperare anche Roma?
Il cuore batte forte, e intanto proviamo a ragionare sul joke verbale di Roger riguardo al suo addio… Ringraziando gli dèi, non si arrenderà mai!
In basso la registrazione del gig di Minneapolis, così, giusto per capire di cosa parliamo.
Alla fine, è arrivato l’annuncio ufficiale: il discussissimo tour “This Is Not A Drill” di Roger Waters, dopo l’America, arriverà anche in Italia!
I concerti di Roger Waters, sono sempre “senza compromessi”, uno spettacolo cui sarà difficile rimanere indifferenti, quindi, se quando il tour sarà in Italia, voi “non sarete al Bar“, scrivetelo nei commenti! Inoltre, la nuova grafica a supporto del tour europeo 2023 fa riferimento al “suo primo tour d’addio in assoluto” – fate come volete, ma un tour d’addio non viene mai normalmente definito il “primo in assoluto” di una persona! Forse si tratta di uno scherzo di Roger, oppure non è un vero tour d’addio?
Cose esterne?
La lascivia dei tuoi sensi sembra un warning diffuso attraverso canali sensoriali estranei a quest’ordine dimensionale.