Roger Waters ha davvero terminato la sua carriera live? Seconda OndaMusicale no; ecco alcuni dettagli, ma non faccio certo fatica a crederci…
A seguito degli eventi che stanno sconvolgendo il mondo intero, siamo certi che Roger Waters sia pronto per un altro tour, il suo strumento per diffondere la visione che ha, per mettere a nudo i problemi della società, con un’intensità emotiva che ha sapore di commiato e di strigliare la massa con un’energia e determinazione unica dell’artista. In molti lo danno in tour già dal 2024, sulla stessa onda di altri artisti in tour nel 2023 e che hanno annunciato un nuovo tour nel 2024. Rumors ripresi da più testate lo darebbero in estate a Piazza del Plebiscito a Napoli, località molto amata dall’ex Pink Floyd. Pare infatti che subito prima della pandemia di Covid-19 ci fossero stati i primi contatti per una tappa campana, che sia questa la volta buona? Il momento storico è favorevole a Waters per poter esprimere a pieno la sua visione del mondo, rivoluzionando il modo di lottare e provare a innescare un cambiamento attraverso la sua musica, con il suo ultimo (?) tour d’addio in pieno stile Roger Waters.
Su PinkFloydItalia un resoconto delle due serate che Roger Waters ha dedicato, a Londra, al suo redux di DarkSide of the Moon, capolavoro floydiano di cui ne è stato l’artefice principale. Un estratto:
La prima sera Roger ha raccontato – seduto a un tavolo, leggendo da un computer portatile – tre estratti: uno con pesanti dettagli sui nomi delle strade di Cambridge e sulle indicazioni stradali, un altro che parlava del periodo trascorso con Syd, che stava inventando le canzoni, e infine uno che fa riferimento alle foto di Roger con un’anatra sui suoi social media, con un lungo pezzo sul suo periodo con Donald, un uccello portato da uno dei suoi gatti. Questi brani hanno richiesto un po’ di tempo e alcuni membri del pubblico si sono agitati e hanno protestato, con grande disappunto di Roger. La seconda serata ha visto Roger tagliare le prime due, ma nonostante abbia esordito dicendo che non ne avrebbe letta nessuna, ha comunque proseguito con la storia del papero chiamato Donald. Una volta terminato, ha accolto i musicisti – 14 persone – sul palco per eseguire un’eccellente versione estesa di The Bar, seguita da un’interpretazione di Mother. La prima serata ha avuto un intervallo, prima che un filmato di 20 minuti apparisse sugli schermi di garza che si srotolavano dalla cima del palco. Il filmato mostra Roger che ripercorre ogni brano dell’album, parlando delle sue origini e del motivo per cui ha rivisitato l’album, a distanza di circa 50 anni. È stato uno sguardo interessante sulle motivazioni che lo hanno spinto a realizzare la versione Redux, e ha preparato perfettamente la scena per l’ingresso della band mentre il canto dell’uccello riempiva l’auditorium, per dare inizio all’esecuzione dal vivo dell’album nella sua interezza. Per qualche motivo, però, il film è stato proiettato PRIMA dell’intervallo, il che ha fatto perdere l’atmosfera.
L’esecuzione di The Dark Side Of The Moon Redux in entrambe le serate è stata estremamente efficace, con l’album che ha funzionato molto bene dal vivo. Roger ha messo insieme un’ottima band, molti dei quali hanno partecipato all’album stesso. C’era una sezione d’archi di sei elementi guidata da Gabe Noel, alcuni membri dell’attuale touring band di Roger (Jon Carin, Jonathan Wilson, Gus Seyffert, Robert Walter e Joey Waronker), insieme a Johnny Shepherd (organo, pianoforte e voce), Via Mardot al theremin e Azniv Korkejian alla voce. Sono state le voci di Johnny e Azniv su The Bar a elevare il brano nel primo tempo.
Su OndaRock, Fabio Zuffanti festeggia gli ottant’anni di Roger Waters, che cadono proprio oggi. Eccovi uno stralcio dell’articolo:
Roger Waters, oggi fresco ottantenne, è sempre stato un punk. Uno vero, anche senza bisogno di creste e spille. Faccia tosta, anarchico, ghigno beffardo, sboccato, esagerato: Roger non scende mai a compromessi e manda affanculo tutto e tutti perpetuando con infuocato vigore le sue battaglie. Mi fa morire quando lo sento parlare, col suo accento di Cambridge e i sui continui fuck, il suo atteggiamento, la sua risata, la sua forza, il suo scagliarsi contro potenti e benpensanti sbattendosene di tutto e tutti, sempre fiero e convinto. Lo sento a pelle che tutto il suo essere è punk.
Del resto, ci vuole sicurezza nonché ambizione per diventare in breve testa di ponte di un gruppo chiamato Pink Floyd. Partita con grandi aspettative e un ottimo successo di classifica, in capo a un anno la band rischiava di sfaldarsi a causa del compositore/cantante/chitarrista troppo sensibile per lo spietato mondo del music business, stato d’animo che lo spingeva a esagerare con gli acidi fino a perdere ogni cognizione di realtà.
Questo è l’altro Roger del gruppo, che di cognome faceva Barrett e che da tutti era chiamato Syd. Il ragazzo carismatico e geniale che in capo a pochi mesi aveva preso le distanze dal mondo senza che ci fosse modo di farlo continuare a suonare e cantare in maniera decente. In quel frangente Waters si era preso le palle in mano e aveva capito che doveva fare l’impossibile per tenere le redini di un progetto che sentiva destinato a enormi traguardi, non potendo fare affidamento sui caratteri meno reattivi dei compagni Nick Mason e Richard Wright, rispettivamente batterista e tastierista. Roger invece suona il basso, è autodidatta ed è contento di esserlo, suona esattamente con lo stesso spirito di coloro che nel 1976 irromperanno sulle scene: supplisce con le idee lì dove non arriva con la tecnica e se ne frega di essere un virtuoso, lui quel basso lo fa urlare con la sola forza delle sue grandi mani.
Su SentireAscoltare c’è una recensione molto approfondita di Animals – uno dei capolavori dei Floyd, ancor di più nella recente versione remix – che indaga molti aspetti di quel disco che normalmente non vengono considerati; un estratto:
Dopo The Dark Side Of The Moon, il disco della grande abbuffata critica all’unanimità dalla loro parte ed economica fino a un punto imprevedibile, e dopo Wish You Were Here, l’album del rammarico e dei sensi di colpa ancor più celebrato, i Pink Floyd si ritrovano in una sorta di condizione di stallo. La pancia è piena, in tutti i sensi, e la creatività dopo due (capo)lavori come quelli del 1973 e del 1975 in fase di ricarica. Decisi a ritirarsi dalla vita pubblica, causa problemi personali e una crisi di rigetto per il mondo discografico – all’uscita di Wish You Were Here non organizzarono conferenza stampa, interviste o concerti – i Nostri cambiano idea al momento di inaugurare la Britannia Row Productions Ltd, che aveva sede al 35 di Britannia Row, a Islington, nella periferia nord di Londra, dove i Floyd approntano tra le tante cose il loro personale studio di registrazione comunque aperto a tutti – per esempio al fiatista Michael Mantler (insieme a Edward Gorey), amico di Mason, che nel 1976 incide ed esegue il missaggio, in parte, di The Hapless Child (And Other Inscrutable Stories), o addirittura ai Damned, prodotti nel 1977 proprio dal batterista (ma i punk, non odiavano i Floyd?).
Nick Mason assicura che diventare padroni dei propri ritmi di registrazione cambiò in positivo il clima all’interno della band: in realtà David Gilmour era in fase depressiva a causa di un furto che l’aveva privato di molti strumenti ai quali teneva, mentre Richard Wright era roso addirittura dall’idea di abbandonare la band. «È stato il primo disco per cui non ho scritto nulla, ed è stato il primo album in cui il gruppo stava perdendo la sua unità. Fu allora che iniziò il periodo in cui Roger voleva fare tutto», dichiarava il tastierista a Guitar World nel 2002. Attento alle istanze pubbliche, e sempre più coinvolto nelle scivolose vicende politiche del paese che lui voleva portare all’interno degli argomenti dibattuti dai Floyd, il bassista traeva linfa dal complesso e sofferto momento che appesantiva il clima sociale del Regno Unito, quello stesso sfondo plumbeo che musicalmente aveva recentemente dato la stura al fenomeno iconoclasta del punk. Waters è l’album’s domine: firma quattro brani in solitaria e il quinto, Dogs, insieme a Gilmour. Pigs On The Wing 1e Pigs On The Wings 2furono inoltre causa di ulteriore malumore perché sbilanciavano i guadagni a favore di Waters, dato che le royalty venivano distribuite in base al numero dei crediti di composizione e non alla durata dei brani. Gilmour si sentiva preso in giro, dato che i 17 minuti di durata di Dogs valevano meno dei 3’ complessivi di Pigs On The Wing 1 e 2.
Su PinkFloydItalia il video – 17 minuti, spesso fuori sincro – del famigerato concerto dei Floyd a Montreal del ’77, quando Waters litigò furiosamente con alcuni del pubblico che, di certo, non si stavano comportando troppo bene; da quell’episodio, che chiuse il tour di Animals, scaturì poi TheWall.
Ogni artista ha quel momento che li ha ispirati a creare qualcosa di grandioso. Spesso, questi momenti nascono da traumi. Per Roger Waters, la scintilla che ha ispirato “The Wall” è avvenuta il 6 luglio 1977, durante l’ultimo concerto dei Pink Floyd del loro tour negli stadi “In The Flesh” al Big O di Montreal. Una folla estremamente turbolenta e un fan particolarmente fastidioso hanno spinto Roger oltre il limite quella sera. Dopo la fine del concerto, mentre tornava a casa in aereo, Roger sentì che si era sviluppato un muro tra lui e il pubblico per cui stava suonando. Chiaramente, Montreal lo aveva cambiato. La serie di eventi di quella notte lo ha condotto in una profonda introspezione spirituale, che ha riversato in uno degli album rock più influenti di tutti i tempi, “The Wall”.
Durante una conferenza stampa 39 anni dopo, nel marzo 2016, al Big O di Montreal, Roger fece una confessione completa: “Ero arrabbiato a causa di un gran numero di persone che, con tutto il rispetto per la popolazione di Montreal, erano ubriache e non attente a ciò che stava accadendo sul palco e un ragazzo stava arrampicandosi davanti e credo che gli abbia sputato addosso… Ho capito che ero nel posto sbagliato al momento sbagliato a fare la cosa sbagliata. E avevo bisogno di esprimere che non mi sentivo umano e tutti vogliamo sentirci umani. La mia risposta a tutto ciò è stata scrivere uno spettacolo che coinvolgeva la costruzione di un enorme muro tra me e le persone con cui cercavo di comunicare“.
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.