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Vindicatrix – One or Several Tigers | Neural


[Letto su Neural]

Prende le mosse da One or Several Tigers, una performance-installazione di Ho Tzu Nyen, artista e filmmaker di Singapore avvezzo a un’immersiva progettualità multimedia, questa uscita di David Aird, aka Vindicatrix, per Cellule 75, etichetta di Amburgo fondata nel 2016 da Marc Richter. La simbologia alla quale si fa riferimento è quella della tigre malese, che in epoca precoloniale era considerata una specie d’emanazione degli spiriti ancestrali, presagio ambivalente, maestra di metamorfosi, dalla natura caotica e sfrenata. È conseguente che i confini tra uomo e animale, ragione e magia, storia e folklore si confondano – nel succedersi di voci e dialoghi operistici – nei solchi delle dieci tracce presentate, una teatralizzazione che confina nella contemporaneità digitale di droni ed elettronica, ai quali sono d’assommare poliritmie e sonorità che riverberano d’esotismi e tribalismo. Le cosmologie e le ecologie del Sud-Est asiatico prendono ancora una volta le sembianze d’una tigre malese: non è la prima volta che attorno questa figura mitologica Ho Tzu Nyen imbastisce una narrazione e l’artista – più dei suoi colleghi europei o nordamericani – sembra assai coinvolto da una lettura in qualche modo storica, politica e sociale, fortemente simbolista, fantastica e affabulatoria. Vindicatrix interpreta più ruoli e naturalmente il tutto non è esente da sapori spoken word, che insieme al bel catalogo (130x190mm) di 24 pagine che accompagna il CD danno al tutto un sapore ancor più multiforme e straniante, che se nelle immagini ricorda certi collage surrealisti deve questo a una miscellanea di tecniche cinematografiche antiche e contemporanee, tra cui le marionette delle ombre, la computer generated imagery, la motion capture e l’animatronica. Così anche i riferimenti più prettamente musicali, oscillano pericolosamente fra elettroacustica e rumorismo, romanticismo da operetta e grand guignol un po’ macabro, tingendosi d’un illusionismo istrionico e melodrammatico. Insomma, il reticolo del nostro tempo in cui si muove la multimedialità è un campo non sempre scontato d’espressioni artistiche, qui arricchite da culture assai composite continuando una tradizione orale che in altri contesti è difficilmente praticabile. Ancora una volta però qui non conta solo la musica o quello che si dice ma tutto l’intreccio: il respiro, il ritmo, il silenzio e le stesse atmosfere abilmente costruite a quattro mani.

Andrea Borghi – Palsecam | Neural


[Letto su Neural]

Sono essenzialmente manipolazioni attorno il formato delle videocassette d’antan, quelle che Andrea Borghi combina assieme, rimestando meticolosamente con microfoni a contatto, vecchi nastri VHS e gli apparati che li riproducono, non appalesando tuttavia alcuna nostalgia per i film che potrebbero essere registrati su quei supporti, focalizzando invece l’attenzione su ronzii ed emissioni elettroacustiche, eventi auditivi anche meccanici o comunque correlati a field recording, tutti frammenti poi opportunamente raccolti ed organizzati utilizzando per l’editing un computer. A volte anche brevi spezzoni dei materiali originari registrati sulle videocassette possono essere oggetto di montaggi, anche se sono perlopiù i suoni familiari oggetto delle catture auditive ad essere riconoscibili ad un primo ascolto, unitamente ai glitch, ai click e ai fruscii di vario tipo e intensità. Pal e Secam – assieme all’americano NTSC – sono stati sin dai primi anni ’60 i metodi di codifica del colore universalmente utilizzati nella televisione analogica. Sta di fatto che tutte queste tecnologie, così come il sistema di videoregistrazione VHS, sono diventate progressivamente sempre più obsolete. Dei kipple, per dirla alla maniera di Philip K. Dick, oggetti inutili che hanno perso la loro originaria funzionalità e vocazione. La retromania allora qui è completa, esaltata dal recupero come objet d’art di qualcosa che in realtà è dismesso, mentre la tecnologia detournata esala i suoi ultimi rantoli assecondando modalità improprie d’utilizzo. In questo progetto di Borghi le otto composizioni presentate sono spinte ai limiti dell’udibile, tra suono e materia, evocando una qualità tattile del quale lo sperimentatore toscano è sempre portatore raffinato, muovendosi a suo agio anche in territori più propriamente elettroacustici. Prescindendo dalla title track, prima composizione in scaletta della durata di sei minuti, tutte le altre incisioni sono abbastanza brevi, appena abbozzate, esercizi di stile sul crinale fra malinconia e sperimentazione, rimpianto feticistico dell’offline e passione per il bricolage elettronico orientato a una ricerca comunque multidisciplinare, perché ha a che fare con un’archeologia dei “nuovi” media, analizzando processi d’innovazione che sembravano inossidabili ma invece hanno avuto un loro inizio, una durata e una fine.

Roger Waters: nuovo tour in Italia (e addio alle scene) nel 2024? | OndaMusicale


Roger Waters ha davvero terminato la sua carriera live? Seconda OndaMusicale no; ecco alcuni dettagli, ma non faccio certo fatica a crederci…

A seguito degli eventi che stanno sconvolgendo il mondo intero, siamo certi che Roger Waters sia pronto per un altro tour, il suo strumento per diffondere la visione che ha, per mettere a nudo i problemi della società, con un’intensità emotiva che ha sapore di commiato e di strigliare la massa con un’energia e determinazione unica dell’artista.
In molti lo danno in tour già dal 2024, sulla stessa onda di altri artisti in tour nel 2023 e che hanno annunciato un nuovo tour nel 2024. Rumors ripresi da più testate lo darebbero in estate a Piazza del Plebiscito a Napoli, località molto amata dall’ex Pink Floyd. Pare infatti che subito prima della pandemia di Covid-19 ci fossero stati i primi contatti per una tappa campana, che sia questa la volta buona?
Il momento storico è favorevole a Waters per poter esprimere a pieno la sua visione del mondo, rivoluzionando il modo di lottare e provare a innescare un cambiamento attraverso la sua musica, con il suo ultimo (?) tour d’addio in pieno stile Roger Waters.

Thomas Köner – Daikan / Banlieue Du Vide | Neural


[Letto su Neural]

Thomas Köner fu insignito nel 2000 a Montreal del New Media Prize, un riconoscimento che sicuramente giovò alla sua carriera, iniziata prima come tecnico del suono in ambito cinematografico e poi continuata coniugando audio e video in istallazioni sempre più articolate e multimediali. Daikan – questo il titolo della composizione che gli valse la segnalazione – fu licenziata nel 2002 su Mille Plateaux dopo essere stata registrata live l’anno precedente in un altro media art festival a Osnabrück. La scultura sonora, il sound design e la performance diventarono presto centrali nella progettualità di Köner, sperimentatore che in quella stagione fu puntuale nel cogliere le potenzialità di queste espressioni artistiche, particolarmente congeniali per il pubblico di club ed eventi della new media art, grazie anche a spazi dedicati che erano ideali per la fruizione d’un minimalismo totalizzante e radicale. Daikan è il termine giapponese che sta a significare “il più freddo” o “la parte più fredda dell’anno”, titolo di un’opera sviluppata qui in tre parti e i cui suoni sembrano costituire una sorta di ricovero spirituale, qualcosa in grado d’indurre una differente tensione nella nostra percezione, agitando qualità spaziali che descrivono orizzonti incerti, per i quali la stessa visibilità è un fenomeno piuttosto indeterminato. Per Köner il paesaggio fisico riflette sempre anche dello spazio mentale, essendo in qualche modo due elementi che infine combaciano e questo traspare in maniera ineccepibile nell’ultima traccia adesso presentata, “Banlieue Du Vide”, un’altra opera in qualche modo storica, che nella sua versione moving images live performance è stata vista da migliaia di spettatori in svariati musei d’arte – tra cui il Centre Pompidou – ed in eventi come Ars Electronica. Questo progetto audio-video è stato frutto di un’approfondita ricerca che ha assemblato oltre 3000 immagini di webcam in un flusso dagli infinitesimali spostamenti, sonorizzato dal vivo in un’apoteosi di tonalità di grigio e biancori notturni. “Banlieue Du Vide” non è mai stata pubblicata in precedenza e adesso questa nuova uscita per Köner sarà un’ulteriore maniera per depotenziare l’importanza dell’interazione audio-video nel proprio lavoro, visto che egli stesso è convinto che non esista nessuna relazione fra i due differenti campi d’azione, che considera indipendenti e capaci tutt’al più di completarsi a vicenda. Il tedesco è sempre a suo agio con i paradossi concettuali: “la musica stessa non significa niente di concreto” afferma, ricordando con cipiglio materialista quanto questa sia in effetti solo una pratica sociale, determinata da altre strutture sociali. Strutture che sono a loro volta governate da processi ed economie molto precise e sovrastanti.

Kirlian Camera: Radio Signals for the Dying – Ver Sacrum


Su VerSacrum una recensione di Cesare Buttaboni a Radio Signals for the Dying, nuovo lavoro di Kirlian Camera; un estratto:

I Kirlian Camera sono un pezzo di storia della musica new wave italiana. Il loro ultimo lavoro, Radio Signals for the Dying, si distingue come un punto di svolta che ricollega il gruppo ai loro dischi migliori. Dopo alcuni passi falsi, i Kirlian Camera mostrano un ritorno agli antichi fasti, rinnovando il loro marchio con una maestria che ricorda i loro lavori più celebri. Qui, i Kirlian Camera si reinventano sottilmente ricollegandosi ad alcuni dei momenti migliori del loro passato. Attraverso questo nuovo lavoro, i Kirlian Camera si ricollegano alle loro radici, evocando le atmosfere e le emozioni dei loro dischi più acclamati. In questo viaggio sonoro, emergono echi dei loro lavori seminali, mentre la band esplora nuove direzioni e rinnova il proprio suono con una freschezza che ricorda i giorni d’oro della loro carriera. L’inizio di Radio Signals For The Dying è piuttosto oscuro con la profonda “Il Tempo Profondo” (che si può trovare più tardi in una versione ‘radio signals’ più accessibile), mentre in “Madre Nera” respira un’atmosfera neoclassica, cosa che vale anche per la nota semi-acustica “Deleted Msg” o “Esilio”. Brani come “Genocide Litanies”, “Luminous Shade”, “Homicide Aristocracy” o “We Have To Amputate” mostrano il lato più sperimentale e avanguardistico dei Kirlian Camera. “Winter” è una cover ode al frontman dei The Sound Adrian Borland eseguita magistralmente, come solo i Kirlian Camera sanno fare. Un momento commovente ed emotivo dell’album è la cover dei Depeche Mode “Wrong”, eseguita con maestria dai Kirlian Camera.

Intervista Lili Refrain – truemetal.it


Bella intervista su TrueMetal a Lili Refrain, sciamana che adoro e che capisco molto, molto bene quando viene citato questo aneddoto:

I tuoi concerti in realtà sono performance, rituali. Cos’è che ti ha fatto scegliere questa modalità di espressione artistica, che accompagna l’ascoltatore in una dimensione, chiamiamola così, “spirituale”, o comunque molto diversa dal semplice presenziare a un concerto?

Ci sono arrivata tanto dopo. Nel 2012 mio padre, al quale sicuramente devo la mia passione per la musica, è venuto a mancare per un incidente e questo evento, insieme agli incontri che ho fatto nelle settimane successive, mi ha fatto prendere consapevolezza di quello che stavo facendo. Nonostante la difficoltà emotiva, sono partita per il mio primo tour europeo perché sapevo che mio padre sarebbe stato orgoglioso di me. Durante il tour sono successe molte cose; ad Amburgo ho incontrato una persona della quale non ho mai saputo il nome, ma che io definisco “lo stregone del Mali” (sorride): è stato davanti a me per tutto il concerto, poi è venuto al banchetto e mi ha parlato in francese. La cosa che mi ha scioccato è che mi ha detto: “So tutto del tuo 15 febbraio.” che è la data di morte di mio papà. Abbiamo continuato a parlare dell’inesistenza della morte e del ciclo della vita e, ad un certo punto, mi ha detto: “Tu non sai bene cosa stai facendo. Quando suoni quei campanelli chiami intorno a te un sacco di persone…”. Poi se n’è andato. Non so dirti cosa sia successo, ma so che quello è stato il momento scatenante di una prospettiva diversa su quello che stavo facendo. Ho pensato: se questo è l’ultimo rituale che ci è rimasto, che ci connette a qualcosa di atavico, ancestrale, ho la responsabilità di suonare per dare, per scambiare, per creare un contatto con gli altri.

Langham Research Centre and John Butcher – Six Hands at an Open Door | Neural


[Letto su Neural]

Il Langham Research Center è un collettivo dedito a performance di musica elettronica analogica piuttosto colta, sperimentale e improvvisativa, nel solco della tradizione della musica concreta e di quelle che sono state le altre avanguardie novecentesche, cercando di attualizzarne gli stilemi, aprendo il campo a nuovi approcci e concettualizzazioni. Per questa uscita su Persistence of Sound salgono in cattedra i soli membri Iain Chambers e Robert Worby, accompagnati dall’ospite John Butcher, sassofonista avvezzo a sonorità piuttosto estreme e innestate da feedback impressivi. Butcher è un musicista assai apprezzato in ambito free form e ben consapevole dell’unicità di ogni setting, attento alle relazioni che si possono creare in ogni tipo d’improvvisazioni. Il Langham Research Center, che in molte occasioni ha eseguito composizioni indeterminate di John Cage ma ha anche tratto ispirazione e sonorizzato un romanzo visionario e multiforme come The Atrocity Exhibition di James G. Ballard, è un gruppo aperto e dalle molte vocazioni, che modula le sue azioni a seconda dell’estro e delle opportunità, mettendo in campo la formazione più adatta al bisogno e combinando conoscenze tecniche e teoriche, attitudini molteplici e predisposizione al contemporaneo. In Six Hands at an Open Door Chambers e Worby utilizzano registratori a cassette, oscillatori sinusoidali e radio a onde corte, organizzando meticolosamente piccoli suoni amplificati che Butcher idealmente connette con le sue intricate e sofisticatissime emissioni audio, dando vita a sequenze decisamente materiche e coinvolgenti. Dice John Butcher che bisogna liberare il proprio subconscio per afferrare delle idee istantanee e che immediatamente dopo si possono fare dei collegamenti. “Mi interessano moltissimo le trasformazioni e gli sviluppi, ossia come si possa passare da un momento al successivo con l’aiuto delle idee che si raccolgono in quell’istante”. Qui la musica certo non scaturisce dal nulla e le aspettative sono quelle innestate da interventi ben preparati e dalle qualità sonore certo non convenzionali, che poi vengono agite per essere attraversate dai lancinanti interventi di Butcher. Sono sei le composizioni presentate, due piuttosto brevi – “Giddy Liberty” e “Everything is Immanent”, di soli due minuti circa – e un altro paio superiori ai dieci minuti, “A Structural Creaking” e “Shadows in Place of Logic”, produzioni quest’ultime che risultano particolarmente significative proprio per loro particolare struttura e interpretazione del concetto di “improvvisazione controllata”.

Magnetica Ars Lab: Ruggine – Ver Sacrum


Su VerSacrum una bella recensione di Cesare Buttaboni a Ruggine, nuovo lavoro di Magnetica Ars Lab, progetto di Arnaldo Pontis; ecco cosa scrive Cesare:

In un mondo sconfinato di suoni e sensazioni, Ruggine del progetto Magnetica Ars Lab di Arnaldo Pontis si erge come un’opera visionaria che sfida i confini della percezione sonora. Pontis, una figura iconica della scena industriale italiana, affronta un viaggio sonoro che va al di là dei limiti convenzionali, guidando l’ascoltatore attraverso un labirinto di emozioni e paesaggi mentali. Quest’opera, pubblicata per la label digitale Maison Le Gras, è molto più di una semplice raccolta di tracce; è un’esperienza immersiva che fonde soundscape ambientali con interventi di spoken word e improvvisazioni jazz, creando un collage sonoro ricco e coinvolgente. Ruggine è un’odissea di oltre un’ora che invita l’ascoltatore a esplorare mondi interiori e a confrontarsi con la propria percezione del suono. La presenza di una nutrita schiera di ospiti, tra cui Joe Perrino, Fausto Rossi e Stefano Giaccone, arricchisce ulteriormente il tessuto sonoro dell’album, offrendo una varietà di sfumature e influenze che contribuiscono a creare un’atmosfera poliedrica e vibrante. Attraverso una combinazione di chitarre incantevoli, suoni ambientali eterei e interventi vocali evocativi, Ruggine cattura l’immaginazione dell’ascoltatore e lo trasporta in un viaggio oltre i confini del tempo e dello spazio. Le tracce si susseguono con fluidità, creando un flusso continuo di emozioni che si dipanano come fili di un intricato intreccio. La musica di Pontis penetra nell’animo dell’ascoltatore, scavando profondamente e toccando corde emotive nascoste. Le composizioni si sviluppano con una maestria e una sensibilità che rivelano la profonda conoscenza e la passione dell’artista per l’esplorazione sonora. Ruggine evoca paesaggi onirici e surreali, immergendo l’ascoltatore in un mondo di suggestioni e visioni. Le tracce si trasformano in racconti emotivi che si dipanano attraverso strati di suoni e significati, creando un’esperienza intensa e coinvolgente che lascia un’impronta indelebile nella mente di chi ascolta. In definitiva, Ruggine è un viaggio sonoro straordinario, un’opera d’arte che trasforma il semplice atto dell’ascolto in un’esperienza profonda e trasformativa. Arnaldo Pontis e il suo Magnetica Ars Lab hanno creato qualcosa di veramente speciale, un’opera che rimarrà impressa nella memoria degli ascoltatori per molto tempo a venire.

Carmilla on line | Kick out the jams, moterfuckers! Wayne Kramer (1948 – 2024)


Su CarmillaOnLine la rutilante storia degli MC5, band protopunk americana dei fine ’60 che col suo stile di vita delirante ha tracciato uno dei tanti viatici caotici alla creatività. A cura di Sandro Moiso; un estratto:

Non ci pagarono, ma ci diedero i biglietti per il viaggio, così cercammo di farci ingaggiare per qualche altro concerto in Inghilterra. Partimmo per Londra dove rimanemmo per circa un anno. Era l’ultimo viaggio all’estero degli MC5, sapevamo che non saremmo rimasti insieme ancora per molto. Ci fu poi quella tournée, la migliore che avessimo mai avuto, Avrebbe dovuto durare sei settimane, dieci giorni in Scandinavia poi l’Inghilterra, la Francia, con apparizioni alla televisione e alla radio, per finire con due settimane in Italia. Avremmo potuto separarci con stile alla fine della stessa, avendo qualche migliaio di dollari in tasca per incominciare qualcosa di nuovo, ma quando stavamo per partire arrivò la moglie del cantante: disse che non avrebbe lasciato venire suo marito. Risposi che ero pienamente d’accordo con lei sul fatto che suo marito non avrebbe dovuto cantare in un complesso, per il semplice fatto che non ne era all’altezza. A spassarsela fra un concerto e l’altro era bravissimo, ma solo a far quello. Pensavo però che avendo firmato un contratto avrebbe dovuto rispettarlo, se non altro perché se non fosse venuto avrebbe messo in difficoltà tutti noi. Finimmo però per partire senza di lui.
Io e Fred facemmo a turno i cantanti, senza sapere neanche la metà delle parole delle canzoni o cantandole nella tonalità sbagliata. Fu un’esperienza orribile, la peggiore della mia vita: si arrivava in un posto, c’era il finanziatore con la moglie, si mangiava qualcosa, si beveva, dicevamo le solite cose. «Come siamo contenti di essere qui» eccetera eccetera. Poi salivamo sul palco, facevamo uno spettacolo pietoso e quando tornavamo nei camerini se ne erano andati tutti, non riuscivamo a trovare nessuno per farci pagare. Gli italiani, visto come andavano le cose, cancellarono i nostri spettacoli: «Paghiamo per cinque e ne vengono soltanto quattro. Potete scordarvelo». Questo capitava mentre Sinclair era in prigione.4.

Lankenauta | Asymmetric Thought


“Tutte le forme simmetriche inclinano allo stato inerziale, quindi si troverà che spesso vi corrisponde una tendenza alla corazzatura. Per contro le forme asimmetriche sono delle possibilità pienamente esplicate, sono i veicoli dell’evoluzione, del mutamento, della deviazione”.

Questo l’abstract, di Ernst Jünger, che su Lankenauta viene utilizzato per introdurre Asymmetric Thought, disco di Davide Ficco che esplora le semantiche caotiche alla ricerca di non-equilibri. Trovo che solo per questi accostamenti l’operazione artistica di Ficco sia da esplorare.

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