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La Divina – Isabella Santacroce – recensione


Cesare Buttaboni recensisce La Divina, di Isabella Santacroce, nome che riemerge dagli abissi dell’oblio; però, sembra valerne la pena:

“Quando un uomo si innamora di me vorrei tagliargli la gola, vederlo crepare davanti ai miei occhi, dargli fuoco. Il potere di una donna è nel disprezzo”.
Pubblicato per scelta al di là dell’editoria convenzionale, “La Divina” vede la luce grazie alla Desdemona Undicesima Edizioni (la mia è la copia numero 415), conferendo al romanzo un’aura di indipendenza e originalità che si riflette nella sua trama audace e nelle sue tematiche complesse.

Il libro è dedicato a re Ludwig II di Baviera, il monarca considerato pazzo e deposto, che un giorno disse: «Voglio rimanere un eterno enigma, per me e per gli altri». Il riferimento al re Ludwig II di Baviera, il “re dei cigni”, e al suo desiderio di rimanere un enigma irrisolvibile, riflette il tema dell’incognita e del mistero che pervade anche il romanzo. Questa sensazione di essere un enigma universale, un sentimento con cui molti possono identificarsi, si intreccia con la ricerca personale di serenità, una dimensione che sembra sfuggire. La protagonista è Eva, “incantevole e folle, angelo pieno di demoni, regina della perdizione e della purezza, libera di sognare la felicità nell’impossibile”.
Nell’oscurità profonda di “La Divina” di Isabella Santacroce, ci si immerge come in un abisso avvolgente, un mondo intriso di colpa e desiderio, in cui l’eros e il thanatos danzano una danza macabra sotto lo sguardo implacabile della Divina Padrona. Attraverso uno stile colto e decadente, Santacroce ci conduce in un regno sospeso tra il terreno e il divino, in cui la figura della Divina domina sovrana, incarnando un’entità mitica che trascende la carne e l’anima. Sotto il suo regno, il BDSM diviene un rituale sacro, una via per l’estasi religiosa, in cui il dolore e la sottomissione sono vie per il riscatto e la redenzione. In questo labirinto di piaceri e tormenti, la Divina si erge come una Grande Madre, una Dea implacabile che trae potere dal disprezzo e dalla distruzione. Attraverso la sua figura, Santacroce esplora i confini estremi dell’esistenza umana, spingendo il lettore oltre i limiti della sua stessa natura. Tuttavia, dietro la maschera della dominazione e del piacere, si cela una discesa agli abissi dell’anima umana, un viaggio verso l’oscuro nucleo dell’esistenza. Come afferma la protagonista, “la vita è una cosa strana se ci pensi, anche quando splende è ignobile”, eppure è proprio in questa oscurità che si trova il nucleo intoccabile, il mistero insondabile che ci spinge ad andare avanti. Attraverso una prosa incisiva e visionaria, Santacroce ci svela i misteri dell’amore e della morte, mostrandoci la bellezza e la brutalità della condizione umana. “La Divina” non è solo un romanzo sul BDSM, ma un’opera che sfida le convenzioni e le certezze, spingendo il lettore verso l’ignoto, verso le profondità insondabili della propria anima.

Dark Delight


Cerimoniale, attende te nel bodoir delle tue emozioni.

Tsaffire – Devora (Official Music Video)


Tra le braccia di un groove di oscure dominanze.

Tutti invitati al Festival dell’estasi – Carmilla on line


A fronte dell’esame condotto nel 1971 dall’antropologa Erika Bourguignon su 488 società di diverse aree del mondo, è emerso che “nel 90 per cento dei casi esistevano rituali istituzionalizzati per raggiungere una condizione di perdita dei confini dell’Io”. Non nella società occidentale, come conseguenza dell’Illuminismo “e del passaggio da una visione del mondo incantata [in cui la psiche umana è “porosa”] a una di stampo materialista”, dove l’estasi è una semplice illusione della mente e i Sé sono schermati, separati dalle altre persone da una sorta di muro e dalla natura per opera della nostra autocoscienza razionale. “Il controllo razionale è alla base della moralità, e la perdita di questo controllo è qualcosa di cui vergognarsi”. In fase di introduzione, l’autore propone dunque una sintesi di come si sia arrivati a una demonizzazione dell’estasi, poi a un suo revival negli anni Sessanta e alle successive analisi del fenomeno come rilevante a quattro livelli (corpo, mente, cultura e spirito) e nei suoi portati positivi (l’estasi guarisce, motiva e agisce da collante sociale) ma anche negativi. Nel procedere idealmente da un padiglione all’altro della ricerca rileveranno – secondo la terminologia di Timothy Leary – il set (atteggiamento mentale del soggetto) e il setting (il contesto dell’esperienza estatica).

Questa è una sorta d’intro redatta da Franco Pezzini al suo articolo ferragostano per CarmillaOnLine, in cui analizza il saggio di Jules Evans, Estasi: istruzioni per l’uso, ovvero L’arte di perdere il controllo, un manifesto d’intenti esplorato poi nel dettaglio, producendo perle di chiarezza cognitiva e surreale, spirituale soprattutto, che scaldano l’anima. Un estratto, quindi:

Attraverso la realtà del sogno (“la più comune delle esperienze estatiche”), le letture di Freud e Jung e il rapporto con l’Ombra, si arriva al macrotema delle arti: “secondo Jung, ci rendono capaci di comunicare con la nostra mente subliminale per mezzo del linguaggio onirico dei simboli, delle metafore e del mito” (il che è una sintesi un po’ concentrata, ma si può perdonare la semplificazione all’autore che un po’ in tutto il libro lavora di sintesi su posizioni di enorme latitudine o complessità). Dopo essersi interrogato se le arti possano essere un sostituto della religione, poi sul rapporto tra culto e cultura e sulla separazione consumata a seguito della Riforma, che prepara alla distinzione tra scienza e arti dell’Illuminismo – con una salutare liberazione, va detto, delle medesime dai vincoli religiosi – nota però che dopo la cancellazione delle visionarie, incantate processioni medioevali dei Misteri per opera dei puritani, un nuovo tipo di spettacolo, il teatro elisabettiano e in particolare di Shakespeare, prende il posto delle liturgie vietate. Con effetto tanto febbricitante che Huxley segnalerà: “L’aggettivo che più spesso vi si applica è transporting: ti trasporta, ti trascina fuori da questo mondo, e ti conduce in un Mondo Altro”.

L’indagine prosegue con il rock and roll (IV), con impagabili incontri tra reverendi canterini, memorie delle leggende della musica, libertà estatica nella danza, commistioni di sacro e profano (“Puoi salvare delle anime!” urla il produttore Sam Phillips a Jerry Lee Lewis, dubitoso di incidere Great Balls of Fire in quanto presuntamente demoniaco), musica che cura, autorizzazioni a perdere il controllo e venerazione degli idoli rock. Come afferma Springsteen al “New Yorker”, “Sul palco sei un po’ uno sciamano che guida la congregazione […] Sei il canale di contatto”, magari attraverso alter ego funzionali all’uscita dall’Io e per sbloccare aspetti subliminale della psiche. Dove i festival diventano “zone temporanee autonome”, come li definisce il filosofo sufi Kakim Bey, “spazi per il sogno collettivo”.

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Chris Shape ft. Su Eko – Bela Lugosi’s Dead (Official Video)


Una cover di un famosissimo brano gothic per rendere omaggio a un famosissimo film chic & dark, il desiderio che prende vita in forme morboelettriche.

Il supplizio buio


Sorprese mostrate come pungoli estremi da ingoiare, le teorie coinvolte sono un raschio giù in gola come un supplizio buio.

Boy Harsher — Pain


Ipnotizzato dal ritmo del dolore magnificato.

CHRIS SHAPE FT. RAFFAELE VENTURELLI – Body Electric (The Sisters Of Mercy)


Adoro le oscurità rese migliori dell’originale, adoro questo miscuglio fetish che dona una song più avvolgente e disturbante dell’originale.

 

Conclamato


La sottomissione è conclamata e resa in formato grafico dai tuoi ologrammi animati, iniettati sopra e sottopelle, ed è impreziosita da icone cognitive d’inseminazione aliena – avvenuta ai confini siderali del rumore.

Home – Ritual The Club


Il sito del RitualTheClub è cambiato, vi invito a farci più di un giro per apprezzare la nuova frontiera del BDSM in musica, dopo la forzatura alla clausura che, magari, ha salvato più di qualche vita.

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