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Archivio per Recensioni

Carmilla on line | Il paradigma Amazon


Su CarmillaOnLine un lungo articolo che illustra le dinamiche e metodologie che animano Amazon, qualcosa che è sempre bene tenere a mente; un estratto della recensione di Sandro Moiso a Da New York a Passo Corese. Conflitto di classe e sindacato in Amazon, saggio di Charmaine Chua, Spencer Cox, Marco Veruggio; un estratto:

“Una delle caratteristiche essenziali del modello Amazon è la trasformazione della forza-lavoro in commodity, materia prima indistinta. Non contano le differenze qualitative tra i singoli lavoratori, ma soltanto la loro capacità di fornire all’azienda una prestazione lavorativa conforme agli standard aziendali, perfetta incarnazione di ciò che Marx chiamava “lavoro sociale medio”. La parcellizzazione del lavoro, tipica del taylorismo e del fordismo, in mansioni elementari e ripetitive, così da imprimere al lavoro il giusto ritmo e controllarne ogni sua fase, qui, grazie all’innesto delle tecnologie digitali e all’intelligenza artificiale, viene portata alle estreme conseguenze. Se […] le mansioni della logistica risultano di per sé abbastanza semplici, la sussunzione del lavoro da parte degli algoritmi che regolano ogni più minuto aspetto della vita in Amazon cancella ogni residua autonomia del lavoratore, trasformandolo in una sorta di automa: «Sei una specie di robot, ma in forma umana. La puoi chiamare automazione umana» è l’icastica sintesi fatta da un’ex manager inglese di Amazon a una giornalista del Financial Times.
Alienazione e ritmi elevati consentono ad Amazon di imporre livelli di produttività (e di estrazione di plusvalore) elevati, ma rendono il lavoro estremamente sfibrante. L’impegno ad applicare la job rotation, raccontano lavoratori e sindacalisti, è ampiamente disatteso. Negli enormi magazzini grandi anche decine di migliaia di metri quadrati su più piani un picker arriva a percorrere anche 20 chilometri al giorno. Chris Smalls, oggi leader del primo sindacato riconosciuto ufficialmente da Amazon negli USA, Amazon Labor Union (ALU), mi ha raccontato che molti lavoratori del magazzino di Staten Island, a New York, per reggere i ritmi – negli USA si arriva a lavorare 12 ore al giorno e fino a 50-60 ore a settimana – conducevano uno specifico allenamento fisico. L’introduzione sempre più massiccia di robot per spostare la merce dai picker ai packer sta solamente attenuando il problema.
Nonostante ciò nella selezione del personale non vengono richiesti particolari requisiti fisici7.

Quest’ultimo punto è particolarmente importante, poiché all’interno di ciò che Chua e Cox definiscono come “fabbriche della vendita al dettaglio” «la catena di montaggio tipica del fordismo è potenziata dall’innesto delle più moderne tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale»8. Il che permette, per esempio, tramite un programma attivo da qualche anno:

“di fare il fattorino di Amazon in qualità di lavoratore autonomo, loggandosi ad Amazon Flex, la app che regola ogni aspetto del lavoro: basta avere 18 anni, un mezzo proprio e la patente. Una vera e propria “uberizzazione” delle consegne, che in Italia per ora ha ancora una portata limitata e che inscrive una quota ridotta dei lavoratori Amazon dell’e-commerce nel perimetro della cosiddetta gig economy (insieme a chi lavora per la piatta-forma di microlavoro Mechanical Turk, lanciata da Jeff Bezos nel 2005) 9.

Carmilla on line | Rebuilding America: Civil War di Alex Garland


Su CarmillaOnLine una disanima di Sandro Moiso sulla guerra civile immaginata da Alex Garland nel suo film “Civil War”, reminiscenze delle lucide immagini di Valerio Evangelisti e della sua R.A.C.H.E. che tanto hanno tempestato i romanzi del ciclo di Eymerich; un’America divisa in fazioni, in cui il ricordo della passata unità politica rievoca le suddivisioni del Sacro Romano Impero, e dell’Impero Romano nel suo tardo disfacimento.

– Chi siete?
– Siamo americani.
– Sì, che tipo di americani?

È racchiuso tutto in questo brevissimo dialogo, contenuto in una delle scene più drammatiche del film scritto e diretto dal britannico Alex Garland (classe 1970), non soltanto il senso di una delle opere cinematografiche più intense degli ultimi tempi, ma anche delle divisioni che hanno fatto precipitare il cuore dell’impero occidentale nella guerra civile rappresentata sullo schermo e che, anche nella realtà, covano sotto le cenerei di quel che resta dell’American Dream. Un film che già ha fatto discutere e che in un panorama politico e culturale asfittico come quello italiano, diviso tra l’intimismo cinematografico troppo spesso travestito da impegno civile e lo sciapo dibattito “antifascista” sulla censura all’ancor più insipido monologo di chi vorrebbe atteggiarsi a novello Matteotti, esplode letteralmente sullo schermo e nello sguardo dello spettatore. Con una forza e una virulenza ormai lontane da qualsiasi prodotto della nostra intellighenzia vacua e perbenista.

Alexander Medawar Garland, scrittore di romanzi e già sceneggiatore di 28 giorni dopo (28 Days Later, 2002) di Danny Boyle, non è la prima volta che porta sullo schermo le possibili conseguenze di una violenza a lungo repressa e negata che può, però, trasformarsi in autentica guerra interna alle società che si credono più evolute e liberali. Ma l’opera che gli ha dato la celebrità come sceneggiatore il tema era ancora collegato ad un contesto di carattere grosso modo fantascientifico e anticipatorio, Civil War ci parla, sostanzialmente, del qui e adesso.
Il viaggio della veterana fotoreporter di guerra Lee, dei due giornalisti Joel e Sammy e dell’aspirante e acerba fotoreporter Jessie, non è un viaggio in un futuro distopico, ma fa precipitare lo spettatore nelle contraddizioni di una guerra civile latente già visibile oggi, per gli osservatori più attenti, nelle pieghe di una società sorta da una guerra civile mai del tutto risolta e che da anni torna a presentarsi come inevitabile necessità storica1.
Sono 758 miglia quelle che separano New York, punto di partenza dell’equipe di reporter, da Washington, punto di arrivo programmato per un’ultima e incerta intervista a un Presidente degli Stati Uniti ferocemente abbarbicato al potere, ma ormai circondato dalle truppe del Fronte Occidentale, dell’alleanza tra Texas e California (i due stati più grandi dell’Unione), che hanno mantenuto le strisce bianche e rosse della bandiera nazionale riducendo però le stelle a due, e dell’Alleanza della Florida.

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Challengers | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la recensione a Challengers, il nuovo film di Luca Guadagnino, regista che qualche anno fa ho tanto apprezzato nel suo rifacimento – ma direi più riscrittura – di Suspiria. Vi lascio alle note critiche:

Art è un giocatore di tennis ormai a fine carriera. Sua moglie Tashi che gli fa da manager e da coach, per farlo tornare in carreggiata e riacquistare la fiducia in vista degli US Open, decide d’iscriverlo a un challenger, ovvero un incontro di livello inferiore nel mondo dei tornei professionistici. Arrivato in finale Art trova però dall’altra parte del campo Patrick, un giocatore finito in disgrazia e decisamente meno blasonato di lui e che pure gli dà parecchio filo da torcere. Si scopre che i due anni prima erano migliori amici e condividevano la passione per il tennis da quando avevano dodici anni, vincendo anche un torneo di doppio insieme. A sconvolgere la loro amicizia era stata Tashi, una tennista promettente che da prima aveva iniziato una relazione con Patrick ma, dopo un’incidente che l’aveva costretta al ritiro, aveva preferito Art. La donna aveva riversato sul marito le speranze per la sua carriera sfumata, ma ora che lui pensa al ritiro e dopo la ricomparsa di Patrick ogni equilibrio nella vita dei tre rischia di saltare.

Challengers mostra una partita a tre giocata con pari volontà anche se con ruoli diversi dai protagonisti, contravvenendo alla regola del tennis in cui la partita si gioca in due o al massimo in quattro. Ogni punto perso e dato all’avversario è sempre dovuto a una scelta che si propaga come un’onda nel presente e che determina ciò che è stata la vita di Art, Patrick e Tashi. Guadagnino è bravissimo a raccontare questo match come se fosse davvero una partita usando diversi piani temporali: il presente in cui i due ex amici si affrontano e il passato dove pian piano si ricostruisce la loro complessa personalità e ciò che li lega a Tashi. Ma è lei il personaggio più interessante del film poiché non viene di certo ritratta come una damigella contesa, ma neppure come una strega interessata solo alla celebrità. “Non sono una rovina famiglie” dice quando conosce i due, e in effetti la relazione tra di loro è influenzata più che dal sesso dalla sua necessità di controllo.

Il Re in Giallo | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni a “Il Re in Giallo”, di Robert W. Chambers, edito dai tipi dell’Ippocampo. Di cosa si tratta?

Nell’oscura vastità della letteratura fantastica, pochi volumi conservano la stessa aura enigmatica e il potere evocativo di Il Re in Giallo di Robert W. Chambers. In questa nuova incarnazione curata da L’Ippocampo, l’opera risplende di una fresca luminosità.
Sin dalla sua enigmatica presentazione, il lettore viene trascinato in un labirinto di angoscia e suggestione. I racconti racchiusi in questa collezione si ergono come monoliti dell’immaginazione distorta di Chambers, ciascuno offrendo una panoramica unica sull’abisso della psiche umana. I primi quattro racconti, noti come il nucleo del ciclo, tessono un tappeto di terrore cosmico  e ambizione umana, dipinto con le sfumature precise di uno spirito tormentato.
Ma la bellezza di Il Re in Giallo risiede anche nella sua capacità di catturare l’estetica decadente e romantica dell’epoca. Racconti impregnati di miti brettoni trasportano il lettore in un mondo di simboli e maschere, rivelando l’approccio unico di Chambers al fantastico, intriso di simbolismo e decadentismo.
L’edizione di L’Ippocampo non solo celebra il genio letterario di Chambers, ma getta anche nuova luce sulla sua influenza duratura nella letteratura fantastica. Attraverso la prefazione, l’appendice include il racconto di Ambrose Bierce Un cittadino di Carcosa e la postfazione di S.T. Joshi, il lettore è guidato in un viaggio affascinante attraverso il cuore oscuro di Il Re in Giallo. In conclusione, Il Re in Giallo di Robert W. Chambers, nella sua nuova incarnazione fornita da L’Ippocampo, si erge come un pilastro della letteratura fantastica. Con la sua prosa tagliente e la sua capacità di evocare visioni di un’oscurità primordiale, Chambers continua a esercitare il suo fascino sui lettori di oggi. Questa nuova edizione non solo soddisferà i fan fedeli, ma anche coloro che sono pronti a esplorare i confini del terrore e della bellezza, dove l’ombra e la luce si mescolano in un balletto eterno.

Il grande dio Pan | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni a “Il grande dio Pan”, di Arthur Machen, un classico edito nuovamente con alcune aggiunte; per cui, ecco Cesare che c’illustra le novità di quest’edizione:

Ma non è solo il romanzo a catturare l’attenzione del lettore. In questa nuova edizione, Ippocampo Edizioni ha incluso anche una serie di racconti che arricchiscono ulteriormente l’universo narrativo di Machen. La luce interiore, La storia del sigillo nero, Storia della polvere bianca e La piramide di fuoco (pur se si tratta di storie note e più volte antologizzate) s’inseriscono perfettamente nel contesto della Londra macabra e misteriosa creata dall’autore, aggiungendo nuovi elementi di terrore e fascino alla narrazione. Le prefazione di Guillermo del Toro aggiunge un ulteriore strato di profondità a questa opera, sottolineando la sua importanza nel panorama della letteratura dell’orrore.
Troviamo poi una preziosa introduzione dello stesso Arthur Machen intitolata in francese ovvero Par-delà le pont des années in occasione della riedizione del romanzo nel 1916 presso l’editore Simpkin. La postfazione di S.T. Joshi ci offre un’analisi approfondita delle influenze di Machen su autori successivi, come H.P. Lovecraft, evidenziando l’impatto duraturo di questo romanzo e dei suoi racconti nel mondo della narrativa fantastica. Infine, le illustrazioni di Samuel Araya completano l’opera, offrendo un accompagnamento visivo che amplifica il senso di inquietudine e meraviglia che permea ogni pagina. Il Grande Dio Pan in questa nuova edizione si rivela non solo un romanzo da leggere, ma un’esperienza da vivere, un viaggio nelle profondità più oscure della psiche umana, dove il terrore e il fascino si fondono in un turbine di emozioni contrastanti. Preparatevi a essere trasportati in un mondo dove il divino e il demoniaco si mescolano, dove ogni angolo nasconde un segreto, dove l’ombra del grande dio Pan attende di essere rivelata.

La gora del sacrificio e altre storie weird di Algernon Blackwood – Planet GHoST


Sul Club G.Ho.S.T. una recensione di Cesare Buttaboni a “La gora del sacrificio e altre storie weird di Algernon Blackwood”, a cura di Claudio Foti. Il tomo contiene una sequenza di racconti editi ma anche inediti del maestro inglese, così vi lascio alla rece di Cesare, che illustra molto bene le tematiche di Blackwood:

È un’immersione nel mistero, nella magia e nell’occulto che Blackwood ha saputo tradurre così abilmente nei suoi scritti. La raccolta abbraccia un ventaglio di racconti, alcuni dei quali erano ormai dimenticati e introvabili da decenni. Foti ci guida attraverso questo viaggio nel tempo letterario, mettendo in luce il valore storico e culturale di ogni singolo racconto. Resti Romani, La Follia di Jones, La Casa Vuota e gli altri, risplendono ancora una volta sotto la luce della sua cura editoriale, rivelando aspetti oscuri e inquietanti dell’immaginario di Blackwood. Ma è nei racconti inediti che questa raccolta raggiunge la sua massima potenza. Immaginazione, La Gora del Sacrificio, Stregonerie Egizie e Il Sacrificio si ergono come pietre miliari dell’opera di Blackwood, portando il lettore in territori ancora più remoti e misteriosi. In questi racconti l’autore si libra tra le nebbie dell’ignoto sondando le profondità dell’anima umana e dell’universo stesso. Ci troviamo di fronte a storie che non solo ci coinvolgono emotivamente, ma ci spingono a riflettere sulle più oscure e inspiegabili sfaccettature della realtà. Attraverso la prosa di Blackwood ci addentriamo in mondi in cui il confine tra il reale e il soprannaturale si dissolve, lasciandoci senza parole di fronte alla sua maestria nel dipingere atmosfere inquietanti e visionarie. In conclusione La gora del sacrificio e altre storie weird di Algernon Blackwood è molto più di una semplice raccolta di racconti. È un viaggio nella mente di uno dei maestri indiscussi del genere weird, un’esplorazione delle profondità dell’umano e dell’ignoto che ci circonda. Grazie a Claudio Foti, possiamo finalmente immergerci completamente in questo mondo oscuro e affascinante, lasciandoci rapire dalle sue infinite possibilità e dalla sua straordinaria capacità di incantare e spaventare allo stesso tempo.

Carmilla on line | Al ladro! Anarchismo e filosofia di Catherine Malabou


Su CarmillaOnLine la recensione a “Al ladro! Anarchismo e filosofia”, saggio politico di Catherine Malabou:

Questo libro inizia con una definizione precisa dei termini “anarchia” e “anarchismo” e della loro storia, con una panoramica delle questioni politiche contemporanee che rendono necessario un ripensamento di questi termini e del loro potenziale emancipatorio. Malabou presenta la riflessione di alcuni filosofi proprio sulla questione del potere. “La mia analisi del dominio si concentra su sei pensatori cruciali per la filosofia contemporanea che hanno posto l’anarchia al centro della loro riflessione smarcandosi però dal suo esito, l’anarchismo politico. Ed è questo che accomuna l’anarchismo ontologico di Schürmann, la responsabilità anarchica di Lévinas, la decostruzione di Derrida, l’anarcheologia di Foucault, il potere destituente di Agamben e l’uguaglianza radicale di Rancière: l’aver attribuito all’anarchia filosofica un valore determinante, senza tuttavia giungere a destituire una volta per tutte il principio archico”, scrive l’autrice.

Definendo il “paradigma archico”, il libro cerca di contribuire a un anarchismo che presupponga una rinnovata interrogazione del suo significato originario – l’assenza di governo – alla luce di letture dei filosofi che analizza. Il caos non è necessariamente dove ci si aspetta che sia. Il buon senso statale e il perbenismo vorrebbero che l’anarchia fosse sinonimo di disordine e l’anarchismo un’ideologia che nel peggiore dei casi è sinonimo di terrorismo e nel migliore di un dolce sogno a occhi aperti. Seguendo l’esempio dei pensatori anarchici, Malabou sostiene invece che il caos è inscritto nel potere statale. Lo abbiamo visto negli ultimi anni con la gestione della crisi sanitaria legata alla pandemia e con lo stato di degrado del sistema sanitario pubblico. Questo collasso è in gran parte il risultato dello smantellamento dello stato sociale sulla scia del neoliberismo, che ora è diventato ultraliberismo, ma anche del fatto che le organizzazioni gerarchiche esautorano la base della società, rendendola così permanentemente fragile.
Dopo la lettura del libro, per iniziare un dibattito, si potrebbe rilanciare con un aspetto – la prassi – che Malabou volutamente non prende in considerazione: forse vero quanto ha scritto nel 1985 Paolo De Toni, anarchico, misconosciuto teorico dell’ecologia sociale (che ha sviluppato con e oltre Murray Bookchin): “Per agire politicamente non basta (e spesso non occorre) essere dei buoni filosofi, è necessario avere il senso dell’azione, e in questo caso il pensiero viene un istante dopo l’azione e non può assolutamente mai sostituirla. In questo senso va chiarito […] che l’anarchismo è in primo luogo ribellione. Tutto il resto viene dopo”.

Tutte questioni con cui non è necessario essere d’accordo per definirsi anarchici, a mio mio di vedere, e ciò dimostra l’ineffabilità di questa sensibilità sociopoliticoeconomica, che sfugge rigorosamente a ogni inquadramento e lascia lo spazio giusto ed esuberante a ogni propria interpretazione, unica, cui probabilmente nessuno aderirà.

Recensione a “I Salmi dell’Apocalisse” di Miriam Palombi | di Walter Bianco


[Letto su KippleBlog]

Nuova recensione a I salmi dell’Apocalisse, romanzo di Miriam Palombi edito nella collana k_noir di Kipple Officina Libraria, curata da Paolo Di Orazio; autore della recensione è Walter Bianco, che dalle pagine del suo blog scrive ciò:

“I Salmi dellApocalisse” è un romanzo profondo e impegnativo che vincola in maniera totale il lettore che, assorbito da una curiosità quasi morbosa, viene spinto verso il limite per confrontarsi con una paura intima ed enigmatica che si manifesta in questo viaggio nella dimensione oscura che parte e ritorna dalla profondità dell’animo umano. Il libro esprime tutto l’interesse e la passione della Palombi riguardo la simbologia e in particolare per tutti gli elementi esoterici che, in in questo suo ultimo, assumono sfumature dai forti connotati Kafkiani.

Tantissimi complimenti alla bravissima Miriam Palombi che ancora una volta conquista attraverso una capacità stilistica che trasmette voglia di conoscenza su mondi oscuri e incomprensibili, che affascinano ancora di più perché rivelati in luoghi che abitualmente dovrebbero garantire tranquillità e sicurezza; le sue storie sono sempre capaci di disarmare certezze andando ad intaccare una fragilità umana che molto spesso, davanti a qualcosa che la ragione non può spiegare, viene scossa fin dalle viscere.

LA QUARTA Villa Daleth svetta tra le altre dimore borghesi di un distinto quadrante di Roma. È stata progettata nella sua forma ottocentesca dall’architetto Coppedè, famoso per aver dato il nome all’omonimo quartiere liberty. Ma il palazzo ha il suo senso, diverso da quello che si aspetterebbero i suoi garbati ospiti, e vive di un paradigma proprio. E poi la numerazione degli appartamenti in cui è suddiviso l’edificio ha una sua logica inspiegabile. E perché le connessioni di questo palazzetto affondano anche in altri luoghi dell’Italia, rincorrendo i fili tenaci e sottili della Storia? E cosa c’entra, infine, la psichiatria di Wilhelm Reich?

Scopri di più sul sito della Kipple Officina Libraria.

La Divina – Isabella Santacroce – recensione


Cesare Buttaboni recensisce La Divina, di Isabella Santacroce, nome che riemerge dagli abissi dell’oblio; però, sembra valerne la pena:

“Quando un uomo si innamora di me vorrei tagliargli la gola, vederlo crepare davanti ai miei occhi, dargli fuoco. Il potere di una donna è nel disprezzo”.
Pubblicato per scelta al di là dell’editoria convenzionale, “La Divina” vede la luce grazie alla Desdemona Undicesima Edizioni (la mia è la copia numero 415), conferendo al romanzo un’aura di indipendenza e originalità che si riflette nella sua trama audace e nelle sue tematiche complesse.

Il libro è dedicato a re Ludwig II di Baviera, il monarca considerato pazzo e deposto, che un giorno disse: «Voglio rimanere un eterno enigma, per me e per gli altri». Il riferimento al re Ludwig II di Baviera, il “re dei cigni”, e al suo desiderio di rimanere un enigma irrisolvibile, riflette il tema dell’incognita e del mistero che pervade anche il romanzo. Questa sensazione di essere un enigma universale, un sentimento con cui molti possono identificarsi, si intreccia con la ricerca personale di serenità, una dimensione che sembra sfuggire. La protagonista è Eva, “incantevole e folle, angelo pieno di demoni, regina della perdizione e della purezza, libera di sognare la felicità nell’impossibile”.
Nell’oscurità profonda di “La Divina” di Isabella Santacroce, ci si immerge come in un abisso avvolgente, un mondo intriso di colpa e desiderio, in cui l’eros e il thanatos danzano una danza macabra sotto lo sguardo implacabile della Divina Padrona. Attraverso uno stile colto e decadente, Santacroce ci conduce in un regno sospeso tra il terreno e il divino, in cui la figura della Divina domina sovrana, incarnando un’entità mitica che trascende la carne e l’anima. Sotto il suo regno, il BDSM diviene un rituale sacro, una via per l’estasi religiosa, in cui il dolore e la sottomissione sono vie per il riscatto e la redenzione. In questo labirinto di piaceri e tormenti, la Divina si erge come una Grande Madre, una Dea implacabile che trae potere dal disprezzo e dalla distruzione. Attraverso la sua figura, Santacroce esplora i confini estremi dell’esistenza umana, spingendo il lettore oltre i limiti della sua stessa natura. Tuttavia, dietro la maschera della dominazione e del piacere, si cela una discesa agli abissi dell’anima umana, un viaggio verso l’oscuro nucleo dell’esistenza. Come afferma la protagonista, “la vita è una cosa strana se ci pensi, anche quando splende è ignobile”, eppure è proprio in questa oscurità che si trova il nucleo intoccabile, il mistero insondabile che ci spinge ad andare avanti. Attraverso una prosa incisiva e visionaria, Santacroce ci svela i misteri dell’amore e della morte, mostrandoci la bellezza e la brutalità della condizione umana. “La Divina” non è solo un romanzo sul BDSM, ma un’opera che sfida le convenzioni e le certezze, spingendo il lettore verso l’ignoto, verso le profondità insondabili della propria anima.

La porta dell’irreale | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine una recensione di Cesare Buttaboni a “La porta dell’irreale”, di Gerald Biss, uscito per la collana “La biblioteca di Lovecraft” di Arcoiris; un estratto:

Nelle fitte pieghe del tempo e dello spazio, si cela un mondo oscuro e misterioso, dove le leggi della realtà vacillano e la magia dell’ignoto danza con l’immaginazione dell’uomo. In La porta dell’irreale, il capolavoro soprannaturale di Gerald Biss finalmente viene pubblicato in Italia grazie alle edizioni Arcoris nella collana “La biblioteca di Lovecraft” curata da Jacopo Corazza e Gianluca Venditti. Quest’opera, lodata persino dall’oscuro maestro Lovecraft, getta uno sguardo audace in un regno dominato da licantropi, nobili decaduti e misteri avvolti nel sottile velo della notte.

La porta dell’irreale non è solo un romanzo di licantropi e misteri gotici; è un’opera che sfida i confini della realtà e invita il lettore a esplorare le profondità dell’animo umano. Con la sua scrittura magnifica e la sua capacità di incantare e sorprendere, questo libro merita di essere annoverato tra i grandi classici del genere gotico. Gerald Biss si distingue come un maestro dell’oscuro e del sovrumano, e la sua opera non mancherà di lasciare un’impronta indelebile nel cuore di chiunque si avventuri attraverso la sua “porta dell’irreale”.

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