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Archivio per Liberismo

Il rituale dei due mari | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di “Il rituale dei due mari”, di Stefano Spataro, racconto uscito per la collana weird di DelosDigital curata da Luigi Pachì; la quarta:

Taranto, futuro prossimo. L’ex industria siderurgica, ormai riconvertita a mega-corporazione nel campo alimentare, pare nasconda affari poco chiari riguardo alla produzione della carne. L’indagine è condotta da due agenti della Europol, una sorta di polizia federale europea, che arriverà a scoprire che nei sotterranei del Castello Aragonese si nasconde qualcosa di ancora più grottesco e surreale del “semplice” cannibalismo: un rito che si perpetua da anni e che coinvolge vari elementi e una creatura antica e mostruosa, che non attende altro che essere liberata dalla sua schiavitù.

La Zeitgeist di Fabio Aloisio@ non-aligned objects | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com la notizia dell’uscita di Zeitgeist, racconto di Fabio Aloisio edito nella collana che curo per DelosDigital, non-aligned objects; la quarta:

Ogni pensiero e azione della quotidianità cambia il modo in cui concepiamo noi stessi e il mondo che ci circonda. La somma di visioni chiamata “umanità” è una fittissima rete interconnessa che gode di vita propria. Quando logiche liberiste di mercato sfilacciano l’ordito e s’insinuano nei più profondi meandri della psiche umana, la coscienza collettiva trascende nel surreale, sfocia nell’inaudito. Lo sapeva già, Tommaso, tutto ciò?

L’ebook è acquistabile sul DelosStore e gli altri store online al prezzo di 1.99€.

Carmilla on line | Il paradigma Amazon


Su CarmillaOnLine un lungo articolo che illustra le dinamiche e metodologie che animano Amazon, qualcosa che è sempre bene tenere a mente; un estratto della recensione di Sandro Moiso a Da New York a Passo Corese. Conflitto di classe e sindacato in Amazon, saggio di Charmaine Chua, Spencer Cox, Marco Veruggio; un estratto:

“Una delle caratteristiche essenziali del modello Amazon è la trasformazione della forza-lavoro in commodity, materia prima indistinta. Non contano le differenze qualitative tra i singoli lavoratori, ma soltanto la loro capacità di fornire all’azienda una prestazione lavorativa conforme agli standard aziendali, perfetta incarnazione di ciò che Marx chiamava “lavoro sociale medio”. La parcellizzazione del lavoro, tipica del taylorismo e del fordismo, in mansioni elementari e ripetitive, così da imprimere al lavoro il giusto ritmo e controllarne ogni sua fase, qui, grazie all’innesto delle tecnologie digitali e all’intelligenza artificiale, viene portata alle estreme conseguenze. Se […] le mansioni della logistica risultano di per sé abbastanza semplici, la sussunzione del lavoro da parte degli algoritmi che regolano ogni più minuto aspetto della vita in Amazon cancella ogni residua autonomia del lavoratore, trasformandolo in una sorta di automa: «Sei una specie di robot, ma in forma umana. La puoi chiamare automazione umana» è l’icastica sintesi fatta da un’ex manager inglese di Amazon a una giornalista del Financial Times.
Alienazione e ritmi elevati consentono ad Amazon di imporre livelli di produttività (e di estrazione di plusvalore) elevati, ma rendono il lavoro estremamente sfibrante. L’impegno ad applicare la job rotation, raccontano lavoratori e sindacalisti, è ampiamente disatteso. Negli enormi magazzini grandi anche decine di migliaia di metri quadrati su più piani un picker arriva a percorrere anche 20 chilometri al giorno. Chris Smalls, oggi leader del primo sindacato riconosciuto ufficialmente da Amazon negli USA, Amazon Labor Union (ALU), mi ha raccontato che molti lavoratori del magazzino di Staten Island, a New York, per reggere i ritmi – negli USA si arriva a lavorare 12 ore al giorno e fino a 50-60 ore a settimana – conducevano uno specifico allenamento fisico. L’introduzione sempre più massiccia di robot per spostare la merce dai picker ai packer sta solamente attenuando il problema.
Nonostante ciò nella selezione del personale non vengono richiesti particolari requisiti fisici7.

Quest’ultimo punto è particolarmente importante, poiché all’interno di ciò che Chua e Cox definiscono come “fabbriche della vendita al dettaglio” «la catena di montaggio tipica del fordismo è potenziata dall’innesto delle più moderne tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale»8. Il che permette, per esempio, tramite un programma attivo da qualche anno:

“di fare il fattorino di Amazon in qualità di lavoratore autonomo, loggandosi ad Amazon Flex, la app che regola ogni aspetto del lavoro: basta avere 18 anni, un mezzo proprio e la patente. Una vera e propria “uberizzazione” delle consegne, che in Italia per ora ha ancora una portata limitata e che inscrive una quota ridotta dei lavoratori Amazon dell’e-commerce nel perimetro della cosiddetta gig economy (insieme a chi lavora per la piatta-forma di microlavoro Mechanical Turk, lanciata da Jeff Bezos nel 2005) 9.

Carmilla on line | Al ladro! Anarchismo e filosofia di Catherine Malabou


Su CarmillaOnLine la recensione a “Al ladro! Anarchismo e filosofia”, saggio politico di Catherine Malabou:

Questo libro inizia con una definizione precisa dei termini “anarchia” e “anarchismo” e della loro storia, con una panoramica delle questioni politiche contemporanee che rendono necessario un ripensamento di questi termini e del loro potenziale emancipatorio. Malabou presenta la riflessione di alcuni filosofi proprio sulla questione del potere. “La mia analisi del dominio si concentra su sei pensatori cruciali per la filosofia contemporanea che hanno posto l’anarchia al centro della loro riflessione smarcandosi però dal suo esito, l’anarchismo politico. Ed è questo che accomuna l’anarchismo ontologico di Schürmann, la responsabilità anarchica di Lévinas, la decostruzione di Derrida, l’anarcheologia di Foucault, il potere destituente di Agamben e l’uguaglianza radicale di Rancière: l’aver attribuito all’anarchia filosofica un valore determinante, senza tuttavia giungere a destituire una volta per tutte il principio archico”, scrive l’autrice.

Definendo il “paradigma archico”, il libro cerca di contribuire a un anarchismo che presupponga una rinnovata interrogazione del suo significato originario – l’assenza di governo – alla luce di letture dei filosofi che analizza. Il caos non è necessariamente dove ci si aspetta che sia. Il buon senso statale e il perbenismo vorrebbero che l’anarchia fosse sinonimo di disordine e l’anarchismo un’ideologia che nel peggiore dei casi è sinonimo di terrorismo e nel migliore di un dolce sogno a occhi aperti. Seguendo l’esempio dei pensatori anarchici, Malabou sostiene invece che il caos è inscritto nel potere statale. Lo abbiamo visto negli ultimi anni con la gestione della crisi sanitaria legata alla pandemia e con lo stato di degrado del sistema sanitario pubblico. Questo collasso è in gran parte il risultato dello smantellamento dello stato sociale sulla scia del neoliberismo, che ora è diventato ultraliberismo, ma anche del fatto che le organizzazioni gerarchiche esautorano la base della società, rendendola così permanentemente fragile.
Dopo la lettura del libro, per iniziare un dibattito, si potrebbe rilanciare con un aspetto – la prassi – che Malabou volutamente non prende in considerazione: forse vero quanto ha scritto nel 1985 Paolo De Toni, anarchico, misconosciuto teorico dell’ecologia sociale (che ha sviluppato con e oltre Murray Bookchin): “Per agire politicamente non basta (e spesso non occorre) essere dei buoni filosofi, è necessario avere il senso dell’azione, e in questo caso il pensiero viene un istante dopo l’azione e non può assolutamente mai sostituirla. In questo senso va chiarito […] che l’anarchismo è in primo luogo ribellione. Tutto il resto viene dopo”.

Tutte questioni con cui non è necessario essere d’accordo per definirsi anarchici, a mio mio di vedere, e ciò dimostra l’ineffabilità di questa sensibilità sociopoliticoeconomica, che sfugge rigorosamente a ogni inquadramento e lascia lo spazio giusto ed esuberante a ogni propria interpretazione, unica, cui probabilmente nessuno aderirà.

Carmilla on line | Elogio dell’eccesso/5: Giorgio de Santillana, “the cat who walks alone”


Se, infatti, la critica illuministica della religione aveva un reale fondamento politico, l’estensione della critica alla superstizione che ne reggeva ancora la funzione sociale a tutte le conoscenze che avevano accompagnato la crescita delle società umane precedenti e “altre” finiva infatti col condannare all’oblio, senza possibilità di appello, non soltanto le forme prevalentemente folkloriche di tante conoscenze tradizionali, ma anche, e forse prevalentemente, quelle che avevano formato il substrato conoscitivo della resistenza comunitaria all’emersione del capitalismo mercantile e della sua “scienza” (in cui iniziava ad esser considerata come tale anche quella “economica”) come forma dominante di indirizzo della produzione e riproduzione sociale. Dando così inizio a una prima e definitiva cancel culture, ben più radicale e totalizzante di quella ritenuta attualmente tale.

Questo è uno dei concetti cardini espressi nella critica di Sandro Moiso su CarmillaOnLine a “Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo 600 A.C. – 500 D.C.”, di Giorgio de Santillana, edito da Adelphi, saggio che offre uno spaccato su culture che non dovrebbero sovrastare le altre, in particolare si parla di scientismo vs. antiche conoscenze; da approfondire assolutamente.

J-Card | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni a J-Card, romanzo di Laura Scaramozzino dalle tematiche condivisibili, un po’ SF un po’ sociale; un estratto:

Laura Scaramozzino con J-Card trasporta il lettore in un labirinto di intrighi e emozioni viscerali, sfidando le convenzioni narrative e regalando un’esperienza letteraria senza precedenti. In un universo surreale e oscuro, Scaramozzino ci immerge in una società divisa e oppressiva, dove la fame di potere e privilegio è incarnata dalla misteriosa J-Card, simbolo di un accesso esclusivo a un mondo di lussuria gastronomica. È in questo contesto che incontriamo Adele, una donna combattuta dalle ombre del suo passato e dalle catene dell’isolamento emotivo. Ma è l’incontro casuale con Francesco, un bambino dalla provenienza oscura, a scuotere le fondamenta del suo mondo precario. Attraverso questo intricato intreccio di relazioni e segreti sepolti, Scaramozzino ci conduce in un viaggio emozionante alla ricerca della verità e della redenzione.
Il romanzo è un’esplosione di suspense e colpi di scena, mantenendo il lettore costantemente sul filo del rasoio. La maestria di Scaramozzino nel dipingere atmosfere cupe e inquietanti cattura l’immaginazione, trasportando il lettore in un vortice di emozioni contrastanti e sconcertanti. La caratterizzazione dei personaggi è un trionfo della complessità umana, con Adele che emerge come un’eroina tormentata dalla sua stessa ossessione e Francesco come un’icona della resilienza e della speranza in un mondo implacabile. Questi ritratti vividi e autentici conferiscono al romanzo una profondità e una risonanza che va al di là della mera narrativa. J-Card è molto più di un semplice thriller psicologico; è un’analisi acuta della società contemporanea, delle sue disuguaglianze e delle sue distorsioni.

Rollerball, il racconto originale | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com la segnalazione della prima pubblicazione in Italia di Rollerball, di William Harrison, il racconto che poi diede lo spunto alla realizzazione dell’omonimo film.

«Gli uomini più potenti del mondo sono i dirigenti. Sono a capo delle grandi corporation che decidono i prezzi, i salari, insomma l’economia in generale, e tutti sanno che sono persone squallide, che dispongono di potere e denaro praticamente illimitati – anch’io ho parecchio potere e denaro, eppure sono nervoso. Cos’altro posso desiderare, mi chiedo, se non al massimo altra conoscenza?». Rollerball – apparso sulla rivista «Esquire» nell’estate del 1973 – è il racconto di William Harrison che ha ispirato uno dei film di fantascienza più visionari della storia del cinema. I temi sono attualissimi: il dominio delle immagini, l’intelligenza artificiale, il controllo delle passioni, la falsificazione della verità, il cibo sintetico, il potere globale delle corporation, la lotta della memoria contro l’oblio.

Carmilla on line | Scambiare lucciole neocapitaliste per lanterne socialiste.


Su CarmillaOnLine una profonda analisi su cosa è la Cina ora e sui suoi rapporti che oscillano tra capitalismo e comunismo, una curiosa commistione che non ha eguali; ma si sa, l’impero cinese può molte cose…

Queste che seguono non hanno la velleità di costituire un saggio organico sulla Cina, ma semplicemente sono alcune note sparse, riflessioni nella fase in cui siamo giunti di sviluppo economico egemone di questo paese nel mondo e, nel contempo, di conflitto tra potenze capitalistiche, nell’era in cui assistiamo alla brutale e inesorabile decadenza dell’Occidente imperialista a guida USA. La Cina è una questione che dalla sinistra marxista non viene affrontata, a mio parere, con un approccio analitico che non sia di adesione acritica al nuovo papà ritrovato o, al contrario di critica libertaria che spesso si associa alla vulgata democraticista borghese della sinistra liberale. Quello che mi interessa, scevro da approcci dogmatici, è quello di parlare della Cina per comprendere quale socialismo in specifico sia realizzabile nei paesi come il nostro e, in generale, cosa sia oggi il socialismo possibile, a fronte dei fallimenti delle esperienza novecentesche. Senza trionfalismi e con tutto l’interesse dovuto a quelle esperienze che oggi lo proseguono sperimentando nella transizione problematiche nuove (mi riferisco per esempio a Cuba e al bolivarismo, che quivi non tratterò, ma che meritano un’analisi approfondita). L’argomento Cina l’ho già trattato su Carmilla qui, qui e qui, nonché in altri articoli anche del mio blog. Buona lettura.

La figura dell’androide come metafora della globalizzazione e del lavoro precario | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com l’editoriale del numero 253 di Delos, scritto da Carmine Treanni, che con profonda lucidità analizza il momento storico globalizzato in cui siamo calati, dal punto di vista del mercato, delle policy neoliberiste, delle deregolamentazioni di ogni tutela. Un estratto:

Analizzando le attuali trasformazioni del capitalismo, in particolare il passaggio dal paradigma fordista a quello postfordista, non si può prescindere dal fenomeno della globalizzazione e dalle molteplici implicazioni che ne derivano e che investono tutti gli aspetti dell’esperienza umana. Il processo globale, infatti, è caratterizzato da tendenze contrapposte, da forze che spingono verso una omogeneizzazione economica, sociale, politica e culturale, e da forze che esaltano la dimensione locale e le radici comunitarie, talora in contrapposizione all’appiattimento imposto dalla mondializzazione e dai paesi che ne sono leader e talora in funzione della espansione della stessa globalizzazione. Ma che cosa s’intende con la parola globalizzazione? Con questo termine si intende, in primo luogo, quel fenomeno economico caratterizzato dalla formazione di un mercato finanziario globale.
Alla base di questo fenomeno economico c’è l’enorme aumento su scala mondiale degli scambi finanziari, che – nel corso degli ultimi quarant’anni – è stato reso possibile dallo sviluppo delle tecnologie informatiche e della comunicazione. Ciò ha permesso alla finanza di essere sempre più slegata dal sistema della produzione. La globalizzazione interessa anche piani ben più materiali di quello finanziario, quale, in primis, quello lavorativo. Le grandi multinazionali sono, nell’immaginario collettivo, il vessillo della globalizzazione: queste grandi aziende, che superano le barriere delle distanze grazie ai mezzi tecnologici (Internet) e al progresso avvenuto nel campo dei trasporti, hanno creato un mercato globale sia tra le loro stesse filiali sia tra i vari gruppi, influenzando le filosofie di governo statali e lo stile di vita del singolo cittadino. Quest’ultimo è inoltre molto condizionato dalla delocalizzazione del lavoro che le multinazionali attuano verso quegli stati dove la manodopera costa meno, creando concorrenza e, complementarmente, in certi campi, disoccupazione nei paesi Occidentali.

Carmilla on line | Black marxism


L’ipotesi genealogica di Robinson è che il capitalismo sia sempre stato un sistema di dominio razziale fin dal suo emergere, fra il 3-400 d. C., cresciuto all’interno dell’Europa durante il Medioevo. Scrive nelle prime pagine: “le basi sociali della civiltà europea furono poste da coloro che i Romani chiamavano barbari” (p. 55) – evidente qui, e non solo, è il debito all’Orientalismo di Edward Said. Il capitalismo razziale, dunque, nasce incorporando via via una certa ideologia e un certo ordinamento razziale che fa capo ad una mitologia del sangue, del primato della cosiddetta “civiltà occidentale”, del privilegio di alcune stirpi razziali in grado di governare su altre. Col tempo questo sistema si va strutturando come una “macchina assiomatica” – per dirla con Deleuze e Guattari – tanto quanto si va organizzando il modo di produzione del capitalismo nascente, e successivamente durante l’espansione coloniale, con la schiavitù, diventando infine un sistema globale di dominio.

Questo è un passo della recensione a Black marxism. Genealogia della tradizione radicale nera, di Cedric J. Robinson, operata da Francesco Festa su CarmillaOnLine e che mette in risalto la genesi tardoantica del capitalismo. Rece che segue poi così:

L’elemento interessante nella transizione dal modo di produzione medievale a quello capitalistico è che il concetto di razza non nasce denotando una precisa linea del colore. Ciò che sostiene Robinson è che le prime popolazioni assoggettate non siano state nere – o non soltanto nere. I primi popoli assoggettati a questo dispositivo razziale di dominio erano i poveri europei e soprattutto le donne. In altri termini, la schiavitù medievale in Europa era rappresentata per lo più da donne, slavi, irlandesi e da popoli del Sud Europa. Questo è ciò che sostanzia il razzialismo, ossia l’intreccio storico tra razza, razzismo e capitalismo, il quale ha agito come dispositivo generando l’idea di razza fra il Sei-Settecento. Dispositivo che, a partire dalla schiavitù si condensa in termini fenotipici producendo il concetto di “supremazia bianca”. Il razzialismo mette in chiaro quali siano i rapporti di forza fra i gruppi sociali e i modi in cui questo si trasforma, poi, in una supremazia anche di tipo razziale.

Che, più o meno, potrebbe voler dire che il Mercato si serve di qualsiasi divisione sociale per promuoverne il riscatto affinché il business prosperi; che, mi pare, è più o meno quanto accade in questo scorcio storico, dove l’etica è di proprietà delle grandi corporate e, di fatto, del Mercato stesso.

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