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PINK FLOYD: “CHIT CHAT WITH OYSTERS” – INTERVISTA INEDITA DEL 1971 | PinkFloydItalia


Su PinkFloydItalia la segnalazione di un’intervista ai Floyd datata fine ’71, ritrovata integralmente da poco, in cui la band appare coesa e creativa come forse non lo è mai stata.

Un’intervista inedita del dicembre 1971 dei Pink Floyd allo Studio Europa Sonor in Francia è ora disponibile per la prima volta in versione integrale su YouTube. È stato necessario apportare solo alcuni ritocchi, tra cui il taglio di alcune riprese del Live at Pompeii a causa dei diritti d’autore. Un grande ringraziamento ad Adrian Maben e alla Cinémathèque Française per questa pubblicazione! Potete trovare il video originale di 52 minuti a questo link.
Adrian Maben ripercorre questa esperienza: “Sono riuscito a filmare questa sessione che testimonia la straordinaria complicità che esisteva all’epoca tra tutti i membri del gruppo. Si prendevano gioco di me, dei luoghi comuni dei giornalisti, del pubblico, della droga e di loro stessi. Erano i re dell’understatement, il loro umorismo secco era devastante, destabilizzante e spietato. Soprattutto quello di Roger Waters. Richard Wright, più discreto, si teneva un po’ in disparte rispetto agli altri. In seguito, acquisì il soprannome di “The Quiet One”. La giornata fu lunga. Per darsi forza, mandarono il “roadie”, Chris Adamson, a comprare qualche dozzina di ostriche e birra alla Brasserie Lorraine. Improvvisamente, il banchetto di ostriche divenne l’epicentro di una conversazione esilarante ed esplosiva. Parlarono e parlarono: Pompei, i computer che sostituiscono i musicisti (o meno), l’arrivo di David Gilmour dopo la partenza di Syd, le ostriche che attraversano i confini nazionali, la corale di Berlioz, i soldi e i metodi astuti che hanno inventato per smettere di litigare! Insomma, c’era un po’ di tutto per una mezza giornata di riprese. Bisogna capire che, all’epoca, i Pink Floyd non parlavano al pubblico, non rilasciavano interviste. Per loro i giornali erano privi di interesse, i giornalisti erano vecchi e non capivano nulla della loro musica. La pubblicità era inutile perché i loro concerti erano sempre esauriti, bastava il passaparola per riempire le sale. Questo documento semplice e divertente è unico. Le riprese non hanno richiesto molto editing e catturano lo spirito interiore della band di quattro persone. Tutto sommato, Pink Floyd: Live at Pompeii potrebbe essere proiettato dopo Chit Chat With Oysters, essendo l’uno la controparte dell’altro. Si tratta di un film, di un reportage o di mettere un disco in immagini? Quarant’anni dopo, ancora non lo so“.

Pink Floyd – Obscured by Clouds (Official Audio)


Un brano non molto conosciuto dei Floyd, datato 1972… Notevole!

Did Wish You Were Here Rip Pink Floyd Apart? | Louder


Un lungo articolo – in inglese – sul periodo che apre la decadenza finale dei Floyd, che certo si è dilungata in almeno tre album, forse quattro, prima che le cose implodessero e cambiassero davvero corso, o tornassero sui loro passi, dipende da come ognuno di noi vede la parte terminale della band. Un estratto, ma ne potrei prendere molti altri (da LouderSound):

Its torturous gestation, recorded in increasingly indolent sessions at Abbey Road across half a year, almost broke the band apart; as Roger Waters said in 1999, “The whole thing had fallen to pieces during Wish You Were Here.” It certainly paved the way for Pink Floyd’s third era – the final near-decade when Waters set himself up solely as bandleader, sidelining guitarist and co-writer David Gilmour, alienating drummer Nick Mason and ultimately dismissing founder keyboard player Richard Wright. It was the album on which, as Nicholas Schaffner spelled out so succinctly in his 1991 book Saucerful Of Secrets, “the Floyds, whether they realised it or not, were artistically at cross purposes. Gilmour and Wright were content that Pink Floyd’s music should keep transporting listeners into advanced states of REM. Waters was now determined… to wake them up.”

“The grimness may have been overstated as years have gone by,” Nick Mason chuckles down the line from California. “It wasn’t so much that it was truly grim, but we were just having great difficulty in getting to work on it.”

“In this post-Dark Side Of The Moon period, we were having to assess what we were in this business for,” Gilmour said in 2011. Suddenly having enough money to fulfil even the wildest teenage dreams proved problematic. Thanks to the all-conquering success of Dark Side…, expectations grew, and more and more people came to see their light show and as a result, it became a period where people talked solely about how many tons of equipment the group had and numbers of staff they had to operate their projections, rather than the music. Waters subsequently surmised, “The Dark Side Of The Moon finished the Pink Floyd off once and for all.” Gilmour was later to reply, “Roger has said that we may have been finished at that point, and he may have been right.” But Waters knew why the band stayed together: “We were frightened of the great ‘out there’ beyond the umbrella of this extraordinarily powerful and valuable trade name, Pink Floyd.”

RICHARD WRIGHT: GLI ALTI E BASSI DELLA CARRIERA SOLISTA DEL “SILENZIOSO” DEI PINK FLOYD | PINK FLOYD ITALIA


Su PinkFloydItalia un post che indaga i momenti meno clamorosi, se mail il clamore abbia mai visitato la sua vita, di Richard Wright, tastierista dei Floyd. Vi lascio ad alcune note scritte dalla figlia Gala e dal genero Guy Pratt:

Con la recente ristampa e Remix del primo album solista di Richard Wright, Wet Dream, si è venuto a ricreare un certo interesse per il tastierista dei Pink Floyd e della sua breve carriera solista, quindi in questo articolo (tratto da loudersound.com) ripercorriamo la carriera di uno dei più silenziosi musicisti della musica, cha ha pubblicato solo due album da solista e una collaborazione, preferendo invece andare in barca a vela.. Con interessanti interventi di Gala Wright e Guy Pratt.

Richard Wright, cofondatore dei Pink Floyd, ha ridefinito l’idea di “silenzioso” nel rock. Discreto fino all’invisibilità, Wright ha fatto sembrare altri leggendari membri taciturni del gruppo, come John Entwistle o George Harrison, decisamente sgarbati al confronto. Eppure, ciò che portò ai Floyd fu una brillantezza inconfondibile; il suo lavoro era semplicemente lì, scintillante e mutevole, molto meno definibile delle altre parti della somma. Dagli eterei “bip e bip” dei giorni di Syd Barrett al suo materiale più magistrale del periodo intermedio, fino a quella bellissima improvvisazione bluesy intorno a Old McDonald Had A Farm all’inizio di Sheep su Animals, Wright ha aggiunto una notevole magia. In modo silenzioso. In modo testuale. Così silenziosamente che pochi nel mondo si sono accorti che aveva lasciato il gruppo fino a quando il suo nome non è stato inserito nell’album The Final Cut del 1983.
Più felice sulla sua barca che in uno studio di registrazione, fu licenziato dai Pink Floyd da Roger Waters nel 1979, ma poi tornò notoriamente al tour di The Wall con un salario, essendo l’unico membro della band a essere pagato.
Wright rientrò nel gruppo come musicista session man nel 1987 prima di tornare a far parte a pieno titolo di The Division Bell nel 1994 e, dopo la sua triste scomparsa nel 2008, divenne – come Syd Barrett in Wish You Were Here – la principale ispirazione per un album dei Floyd, The Endless River nel 2014.

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The Harmony Codex: gli Ottanta secondo Steven Wilson


Mario Gazzola, dalle pagine di PostHuman, traccia un po’ le coordinate musicali dettate dall’ultimo lavoro di Steven Wilson, leader dei Porcupine Tree; vi lascio alle sue ardite e architetturali considerazioni, che solo un esperto musicale può permettersi di tracciare.

Il settimo album da solista del leader dei Porcupine Tree riesce a stilare un’elegante summa delle passioni del poliedrico musicista inglese dal prog all’electropop più recente, ben testimoniate dal monumentale archivio degli album storici di cui ha curato le rimasterizzazioni.
Secondo il sottoscritto uno dei musicisti più poliedrici e vari del panorama contemporaneo, viene catalogato come “neo prog” ma è capace di sporcarsi le mani col black metal (Opeth) come col techno pop dell’ultimo The Future Bites: per questo approccio l’abbiamo definito una specie di “nuovo Bowie”, più che per una specifica somiglianza stilistica. Ché quella magari giustificherebbe più il paragone con un moderno Peter Gabriel, che va sublimando nel proprio percorso solista il progressive macinato coi Genesis con l’elettronica e la new wave che appunto nei primi ’80 investivano come un tornado lui, i Pink Floyd e tutti i giganti della generazione precedente (qui sotto il clip della title track).

Il primo pensiero che mi ha attraversato mentre assimilavo il (sempre notevole) The Harmony Codex mi ha portato a quei mega successi dei primi ’80 firmati da superstar del decennio precedente, tipo Owner of a Lonely Heart o Follow You Follow Me (Genesis), per non parlare dell’ormai mitica Another Brick in the Wall Floydiana: ma vi ricordate che discussioni nel 1980 su quella batteria in 4/4 che andava ‘vergognosamente’ forte in discoteca allora, conquistando al concept di Waters il plauso di ragazzi che neanche sapevano cosa fossero Saucerful o Ummagumma (ma che tutt’al più ballavano la Mammagamma di Alan Parsons).
Impresentabili, eh? Infatti, mai avrebbe ammesso d’ascoltarli un Lo Mele dell’epoca, che vedeva sbocciare intorno a sé ogni settimana un Joy Division, un Cure, un Bauhaus e poi un Siouxsie. Eppure quella roba vendette milioni di copie nel mondo… tutte a degli scemi? No, allora solo a gente che magari non riusciva a digerire i duri del postpunk, anche se va ricordato che per esempio dietro Owner of a Lonely Heart c’era anche Trevor Horn, con Geoff Downes anima dei Buggles (Video killed the radio star) ma per un breve periodo parte dei tardi Yes…

Tutta questa rivisitazione serve a dire che oggi la cifra di Steven Wilson è un’intelligente e raffinata sintesi dell’anima ariosa e prog (diciamo alla Animals), con riferimenti anche a Genesis e Gabriel solista (le sentono anche su SentireAscoltare) dei brani lunghi come Inclination, Impossible Tightrope (con belle divagazioni jazzistiche di piano elettrico e sax), come la spaziale, minimalista e futuribile title track (con vibrante recitativo della moglie Rotem) e la conclusiva Staircase, uno dei brani più ruvidi e ritmati del levigato e crepuscolare orizzonte dell’album, con quelle più synth pop delle più asciutte Economies of Scale.

SYD BARRETT: “L’UOMO OLTRE IL MITO” – CON LA SORELLA ROSEMARY | PINK FLOYD ITALIA


Su PinkFloydItalia la segnalazione del podcast Fingal’s Cave Podcast che ha aperto uno scenario immenso sulla vita interiore di Syd Barrett, ovviamente anche dopo la sua dipartita dai Floyd. Nel podcast è la sorella di Syd a parlare, Rosemary Breen, e qui vi lascio un breve stralcio che spiega come lui fosse un artista puro, davvero disinteressato a qualsiasi altro atto che non fosse la creazione:

Rosemary ha dipinto un quadro di Syd non come la quintessenza della rockstar che molti potrebbero pensare, ma come un artista nel profondo. “La musica era un hobby, l’arte era lui“, ha spiegato, sottolineando che per Barrett la celebrità era un concetto estraneo, che non cercava né capiva. Rosemary dice: “Non ha mai voluto la celebrità, non la capiva“.
Le interazioni di Syd con la musica e il suono erano esplorazioni personali dell’arte, non tentativa di raggiungere le vette delle classifiche o di crogiolarsi nell’adulazione dei fan. Questa posizione portò Rosemary a riflettere sui rischi della fama, dicendo: “La celebrità è una cosa pericolosa“. Syd era interessato alla musica a livello personale, piuttosto che usarla per raggiungere la fama come altre popstar aspirazionali. “Poteva giocare con l’impianto audio e fare questo e quello, non aveva nulla a che fare, mai, con il pubblico o con il voler arrivare al numero uno, o altro, non è mai stato questo, non l’ha mai voluto e non ha mai capito nessuno che lo volesse“.

La vita di Syd Barrett prese una serie di svolte inaspettate quando scelse di dedicarsi alla musica, una mossa che la sorella considera una deviazione dalla sua vera passione, la pittura. Secondo Rosemary, inizialmente Syd si era unito a Roger Waters e agli altri Pink Floyd per divertirsi un po’ e aveva intenzione di tornare al Camberwell College. “Pensava che sarebbe stato divertente con Roger Waters e gli altri solo per divertirsi un po’, aveva intenzione di tornare [al Camberwell College] e sarebbe stato meraviglioso“, aggiungendo: “È stato danneggiato prima di poter tornare a quello che era“. Invece, è stato travolto da una marea di celebrità pop e dall’uso di droghe che, secondo la sorella, lo hanno allontanato dal suo percorso artistico. “Per me, e probabilmente anche per lui, farsi coinvolgere dalla musica è stato un errore, perché lo ha allontanato dal suo amore, che era la pittura“.

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Volano?


Ogni frame si misura col gradi di empatia espansa autogenerata: sei forse tu, il volano delle nazioni psichedeliche?

Il 1969 dei Pink Floyd, la strada per Ummagumma | OndaMusicale


Su OndaMusicale un articolo doppio – come doppio è l’album – su Ummagumma dei Floyd, articolo che in realtà copre un arco di tempo più ampio, soprattutto precedente al disco. Un estratto (qui la seconda parte):

Più di cinquant’anni fa, i Pink Floyd erano una band in un periodo di transizione, per non dire allo sbando. Syd Barrett era stato messo definitivamente fuori dal gruppo da Roger Waters – che pagherà per anni i sensi di colpa di questa decisione – e sostituito da David Gilmour. I tempi della psichedelia variopinta e dei singoli di tre minuti, sospesi tra pop e sperimentazione, sono ben lontani. A Saucerful Of Secrets è un lavoro che ancora risente della presenza – sebbene defilata – di Syd, e che non traccia in modo ben definito cosa saranno i Pink Floyd in futuro.
Il 1969 di Waters, Gilmour, Wright e Mason, inizia tuttavia come era finito l’anno precedente: suonando live a più non posso. Il 10 gennaio sono al Fihermonger’s Arms di Wood Green a Londra, dove sostituiscono in extremis Jimi Hendrix. Pochi giorni dopo suonano al Roundhouse di Camden Town e al Marquee. È l’abbraccio coi luoghi dove la band ha già costruito il suo piccolo mito, la sua nicchia di fedelissimi. Eppure qualcosa sta cambiando. Roger Waters si va imponendo sempre più come leader del gruppo: Ho dovuto assumermi la responsabilità del gruppo perché nessun altro voleva farlo – dichiara. Responsabilità che, lungi dal dargli fastidio, alla fine lo vedrà imporsi come leader e compositore unico; ma quei tempi sono ancora lontani.

La prima intuizione sono i concerti nelle università. Non più i club come l’UFO, le luci stroboscopiche e le pasticche tanto care a Syd; ora i Pink Floyd si esibiscono nelle aule magne e nelle palestre dei college, davanti a ragazzi più lucidi e attenti. Brighton, Edimburgo, Glasgow, Reading, Swansea, Blackpool, Manchester, Birmingham, Southhampton e Cambridge vedono la nascita di un nuovo modo di esibirsi, fatto di lunghe suite e happening sempre differenti, in luogo dei fulminanti pezzi di tre minuti barrettiani.
È un cambio di immagine e suoni totale. Colpi di gong, effetti sonori ambientali e trovate da teatro off, e una consapevolezza: nessuno dei quattro bravi ragazzi ha le sembianze del frontman. Waters ne ha l’ego ma non l’aspetto; Gilmour – ex modello – è ancora giovane e bello come un dio greco ma è timido e il suo stile alla chitarra è tutt’altro che definito. Wright e Mason si nascondono dietro l’imponente mole delle loro strumentazioni, defilati.

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Le 10 migliori canzoni “rare” dei Pink Floyd | Rolling Stone Italia


Su RollingStoneItalia un incredibile articolo di Fabio Zuffanti, che sa sempre come sorprendermi: un decalogo dei singoli più misconosciuti dei Floyd; lista che contiene un brano che non conoscevo – io, che mi considero uno dei massimi cultori dei Floyd, da non credere! – e una gran manciata di dettagli di vario tipo che mi erano sfuggiti e che danno un senso più compiuto e alto, ora, a tutto un mondo floydiano davvero immenso come non mai.

Nel variegato repertorio dei Pink Floyd non sono solo i brani inclusi negli album e i lati A dei singoli a destare interesse. Nel tempo sono state pubblicate ufficialmente molte rarità risalenti soprattutto ai primi anni, con qualche puntata nelle ere successive. Ecco le 10 migliori tra canzoni, strumentali, colonne sonore, progetti abortiti, versioni alternative e improvvisazioni che testimoniano il grado di sperimentazione del gruppo.

PINK FLOYD: SPECIALE WEMBLEY 1977 – REPORTAGE DEL “MELODY MAKER” | PINK FLOYD ITALIA


Su PinkFloydItalia uno splendido articolo che getta luce sulle problematiche e grandiosità dei tour floydiani delle seconda metà ’70, quelli che ribollivano di corposa creatività mai più raggiunta dopo. Un estratto:

Era il tardo pomeriggio del giorno del concerto di apertura dei Pink Floyd a Wembley e Roger Waters sembrava essere finalmente arrivato. L’intera giornata era stata tormentata da problemi tecnici e ora i rappresentanti del consiglio Londinese chiedevano di accendere tutte le luci della sala nel bel mezzo di una prova dei fari per assicurarsi che il maiale gonfiabile volante fosse assicurato da una corda di sicurezza come avevano ordinato.
“Alt, maiale!” Waters ordinò con la migliore voce del modulo di comando di Star Trek, mentre i ragazzi del consiglio guardavano in alto, rigidi e a disagio nei loro abiti, in questo raduno dove jeans sbiaditi, costose giacche di pelle e scarpe da ginnastica French Kicker sembravano essere abiti standard. “Ruota maiale! [la sua voce assume un tono sempre più maniacale]. Aprire lo sfiato posteriore. Thphthphthphthphthphthph…!” Imperturbabili, quelli del consiglio consultarono i loro appunti e fecero finta di non accorgersene. “Maledetti segaioli!” Waters mormorò tra sé in modo esplosivo e si allontanò a grandi passi.

Tutti i concerti dei Pink Floyd sono miracoli logistici, forse più di quelli di qualsiasi altra band. Il loro perfezionismo musicale significa che hanno già capito quel lato dello spettacolo prima ancora di pensare di andare in tour, quindi ogni membro della band dedica tutte le sue energie per assicurarsi che l’intera produzione si svolga in modo immacolato. Nel migliore dei casi c’è una certa tensione, ma a metà dello scorso martedì pomeriggio era decisamente esplosiva.
“Dopo tutto“, ha spiegato il manager Steve O’Rourke più tardi quella settimana, con tre concerti in programma e altri due da fare, “gli altri concerti sono solo concerti, ma questa è la loro casa. Quando suonano a Londra, deve essere perfetto. Non sono accettabili mezze misure.“

La pianificazione è iniziata lo scorso giugno, quando è diventato chiaro che né l’Olympia né l’Earls Court, le sedi preferite, sarebbero state disponibili. Una band che può vendere 40.000 posti e avere comunque gente in coda fuori tutta la notte sotto la pioggia finché non viene allontanata dal sempre efficiente personale di sicurezza di Wembley, ovviamente ha un numero limitato di posti in cui può suonare.
Doveva essere in questo periodo dell’anno, prima del prossimo tour negli Stati Uniti, quindi i locali all’aperto erano fuori uso. Arcobaleni e teatri di dimensioni simili erano troppo piccoli, quindi doveva essere l’Empire Pool di Wembley, dove la band aveva giurato che non avrebbero mai più suonato dopo l’ultima volta. Ma mentre non potevano fare nulla per la notevole mancanza d’atmosfera della sala, potrebbero pianificare le cose con largo anticipo per far funzionare il tutto senza intoppi.
A novembre gli incontri erano a buon punto. Sono stati fissati i requisiti per l’energia, è stato consultato il Cosiglio Londonese. Si stava installando un nuovo impianto elettrico, questo dovrebbe essere un vantaggio, anche se il mese scorso non erano ancora disponibili i dettagli esatti.
I Pink Floyd usano davvero moltissima potenza. Il loro PA emette circa 30.000 watt e affinché funzioni senza intoppi devono esserci molti margini di sicurezza in modo che nulla venga sovraccaricato.

“Abbiamo detto loro che volevamo 200 ampere“, ha detto Mick Kluczynski, che, nonostante il suo nome, ha il leggero accento del luogo dove si dice che parlino il miglior inglese delle isole britanniche, “ma non ci hanno risposto. Penseresti che ormai si renderebbero conto che sappiamo di cosa stiamo parlando, ma pensano sempre di saperne di più. Ho fatto un controllo casuale l’altra sera e allora stavamo assorbendo più di 100 ampere. Quando siamo arrivati ​​qui, abbiamo scoperto che invece di avere un circuito separato per luci e audio, tutto arrivava tramite lo stesso cavo, quindi sentivamo dei ronzii terribili, specialmente quando suonava Dave Gilmour. Abbiamo portato un generatore a 400 kVa in modo da avere forniture separate, ma questo non ha eliminato il rumore la prima notte. Quindi ciò significava che la fonte di alimentazione non era la vera spiegazione. Dopo lo spettacolo di martedì sera abbiamo esaminato l’intero circuito per scoprire cosa stava andando storto. C’erano circa 20.000 giunti saldati nel nostro intero sistema, quindi puoi immaginare che non sia stato facile. Una spina su una lampada sul nostro schermo di proiezione può ostacolarti se non è cablata esattamente nel modo giusto. Sai cosa abbiamo scoperto? Avevamo gente che lavorava tutta la notte dopo il primo spettacolo di martedì e alla fine abbiamo scoperto che, senza dircelo, quelli del consiglio avevano controllato il tutto lunedì sera, mettendo questi piccoli fili di terra su ogni cosa. Hanno detto in seguito che l’avevano fatto per ragioni di sicurezza, e quando abbiamo fatto notare che avevano rovinato un intero concerto, hanno detto che non gliene poteva fregare di meno. Tutto quello che gli importava era la sicurezza“.

 

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